domenica 28 dicembre 2008

La merda in cattedra

Salvatore Ricciardi




« Quand la merda la monta in scagn
o la spuzza o la fa dann »
[1]




Capita che nella vita ci siano faccende infinitamente più importanti e vitali (per se stessi, per i propri familiari, per le persone con le quali si fa qualcosa per combattere le cavallette che da sette anni devastano Limbiate) delle quali responsabilmente ci si deve occupare prima di trovare non solo il tempo, ma anche la voglia di sopportare il tedio di dover rispondere alle turpitudini di Campisi, la Guida e Grande Timoniere del PD di Limbiate, che ha dichiarato di non voler più rispondermi (e quando mai l’avrebbe fatto?), ma non ha omesso di prodursi nelle sue solite bassezze [v. Ultima risposta a Salvatore Ricciardi]. È necessario, comunque, ancora una volta, mettere le cose a posto. (Beninteso, non è a Campisi che mi rivolgo. Sarebbe tempo sprecato, né ho mai avuto un qualsivoglia interesse per la sua persona. Mi interessa, invece, come sa chiunque abbia avuto la pazienza di leggere ciò che ho scritto su fatti politici, la sua figura, o meglio il ruolo della sua figura pubblica qui a Limbiate).

Tralascio le scusanti patetiche e infantili che egli ha escogitato a proposito degli orari di pubblicazione dei suoi post. Tralascio anche ogni considerazione sulla pretesa di spacciare per “riepilogo” l’estrapolazione dal loro contesto di mie frasi e parole ironiche, satiriche, sardoniche, sarcastiche, ma inserite in un contesto, condivisibile o meno, sempre di tipo argomentativo, che egli considera oltraggi alla sua dignità di vestale della politica locale [v. Epilogo]. Quanto alla precisazione sul ruolo di sua moglie nel Consorzio Nord Milano, che sia insegnante o impiegata, per quello che ho scritto, non cambia nulla. Devo invece rispondere all’ennesima turpitudine con la quale egli ancora una volta tenta di infamarmi. Egli dice, infatti, che sarei stato assunto dal CNM perché gravitavo “attorno al PCI”. Ancora una volta, purtroppo, per rispondere sarò costretto a riferirmi a fatti di trenta-quaranta anni fa, ma chi avrà la pazienza di leggere avrà altri elementi per capire come mai, ogni volta che critico fatti e personaggi pubblici senza adeguarmi all’orrendo costume di parlare male solo dei nemici tacendo le colpe e le connivenze dei (presunti) loro avversari, ciò fa venire l’itterizia a Campisi, che di certi fatti è responsabile e di certi personaggi è diretto ed esemplare erede, mentre di altri fatti e di altri personaggi è rispettivamente corresponsabile e complice politico. E regolarmente perde il lume della ragione e non si nega nessuna bassezza, nessuna viltà.


Io sono uscito dal PCI sbattendo la porta nell’autunno del 1969 (quello che poi fu chiamato ”caldo” e che per molti, che pure allora erano già adulti, solo dopo divenne un patrimonio mitologico appreso, ma nient’affatto vissuto), quando Campisi non era ancora nato. Da tempo criticavo la linea politica nazionale del partito e il modo in cui questo era diretto qui a Limbiate, e non ero il solo. In quel periodo importantissimo, non solo nella storia delle lotte politico-sociali italiane, ma nella storia italiana del Novecento tout-court, io, come altre migliaia e migliaia di giovani militanti in tutta l’Italia, mi svegliavo presto per andare a fare lavoro politico, spesso in fraterna collaborazione con sindacalisti della CGIL, davanti ad alcune fabbriche locali. Un pomeriggio, in una riunione di partito, constatai per l’ennesima volta quanto fosse effettivamente profonda la preparazione del piccolo notabile locale di allora. Costui, uno spiantato (e, come seppi molti anni dopo, un ex fascista che aveva fatto imprigionare alcuni partigiani, uno dei quali è ancora vivo) che coltivava l’ambizione di sistemarsi facendo il funzionario di partito, rispondeva sempre con sprezzante sufficienza alle mie sollecitazioni a mobilitare il partito per contribuire davvero all’organizzazione delle lotte di quel periodo. Per dimostrare la sua preparazione aveva l’abitudine di copiare quasi integralmente gli articoli di fondo dell’”Unità”, che poi faceva passare per relazioni di suo pugno. Il desolante imbroglio era davvero facile: pochissimi, nel corso della settimana, compravano il “giornale degli operai e dei contadini” fondato da Antonio Gramsci; quasi tutti lo compravano solo con la diffusione domenicale. Nonostante il fastidio deprimente che provavo, intervenni criticando l’indifferenza per le lotte operaie, in quei giorni particolarmente acute anche qui a Limbiate, ma mi fu impedito con la forza di continuare a parlare. La goccia fece traboccare il vaso: rinfacciai al misero notabile il suo “stile di lavoro”, qualificai la risposta violenta al dissenso interno per quello che era: un metodo da squadristi, e me ne andai.

Questa rottura non influì, tuttavia, sui rapporti di amicizia con alcuni militanti di base non “in carriera”, della cui (reciproca) stima continuai e continuo a godere. Ma è ovvio che il mio ininterrotto interesse, anche nell’ambito dei miei studi, per quell’importantissimo fenomeno storico-politico, culturale e umano che era il PCI (continuai a leggere assiduamente “l’Unità”, “Rinascita” e “Critica marxista” fino ai primi anni Novanta), e i rapporti cordiali che conservai con alcuni suoi militanti, non possono essere compresi nei termini giusti da chi ha gli spaventosi limiti spirituali e mentali, l’incultura e l’antropologia gesuitico-stalinistica di un minuscolo notabile di paese come Campisi, che è stato allevato in batteria e con mangimi OGM in un partito che ha cambiato diversi nomi (PCI, PDS, DS, PD), ma i cui dirigenti non hanno mai cambiato la loro prassi corrotta, come hanno dimostrano (ma non ve n’era bisogno) anche i fatti portati alla luce in queste ultime settimane.

Ho cominciato a lavorare nel CFP di Limbiate nel 1978, quando Campisi aveva 6-7 anni, ben prima della fondazione del Consorzio per la Formazione Professionale Nord-Milano, che fu creato diversi anni dopo unificando scuole di diversi comuni, fra le quali quella di Limbiate, ed ereditandone tutto il personale. All’epoca, e per diversi anni ancora, il PCI locale si disinteressava totalmente della formazione professionale. Alla fondazione del CNM, la presidenza… figurativa fu sì assegnata a una tizia del PCI di un altro comune, ma solo per ragioni di proporzionalità lottizzata, che doveva essere rispettata, per l’appunto, almeno figurativamente. Costei, infatti, manifestamente non capiva nulla di formazione professionale e nei fatti, finché vi restò, nel CNM contò sempre meno del due di picche. In ogni modo era, e restò, per me del tutto sconosciuta, anche nell’aspetto (la sede della presidenza del CNM in quegli anni non era a Limbiate).

I miei rapporti con i “dirigenti” locali del PCI nel periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta possono essere illustrati dai fatti seguenti. Era l’epoca delle costruzioni su aree di proprietà pubblica cedute in comodato a cooperative create ad hoc e legate ai “partiti di massa” (PCI, PSI, DC). I finanziamenti erano distribuiti dalla Regione Lombardia, ma non alle cooperative costituite da lavoratori senza casa, bensì, tramite le grandi federazioni di cooperative di abitazione (ognuna legata ad un partito), direttamente alle ditte costruttrici. Nessuna cooperativa, e nemmeno un gruppo di cooperative, avrebbe mai potuto ottenere i finanziamenti pubblici se si fosse collocata al di fuori di questo meccanismo lottizzante e corrotto, che il Comune di Limbiate (allora in mano a PCI e PSI) si guardava bene dal mettere in discussione.

Ora, quali erano le conseguenze di questo meccanismo? Che, per esempio, le casette prefabbricate costruite per una cooperativa locale del PCI costavano ai soci molto (anche tre volte) più di quanto quelle casette, costruite con quei materiali e con quelle modalità, sarebbero costate sul mercato se le cooperative assegnatarie dei terreni e dei finanziamenti avessero potuto contrattare autonomamente con una ditta costruttrice.

Io mi resi conto di questa forma di corruzione inizialmente quasi per caso. Visitando un compagno e amico constatai che, per i materiali usati, per le dimensioni e per la disposizione dei locali, le casette prefabbricate, nonostante qualche tentativo di abbellimento, erano manifestamente brutte e scadenti. I prezzi che mi furono comunicati anche da altri che le avevano acquistate mi sembravano esagerati. Ne parlai con un affermato e onestissimo professionista del PCI, presidente (in un altro comune vicino) di una storica cooperativa edificatrice del PCI che allora ormai da molti anni non costruiva più niente. Questo professionista progettava e realizzava come privato interventi edilizi in autonomia dai partiti, lontano dalla nostra zona ma sempre nell’hinterland di Milano, e quindi aveva, tra l’altro, larga e profonda esperienza del mercato edilizio e dei finanziamenti che si potevano ottenere dalle banche anche senza la copertura dei fondi pubblici. Egli, listino prezzi alla mano, mi mostrò quali fossero sul mercato i prezzi reali, “chiavi in mano”, di quel tipo di casette, e quali fossero i tassi d’interesse che le banche praticavano per i finanziamenti a imprenditori privati che realizzavano lo stesso tipo di intervento. Quei tassi erano notevolmente inferiori a quelli che invece dovevano pagare i soci delle cooperative del PCI obbligati a rivolgersi esclusivamente a determinate ditte che erano scelte dalle grandi federazioni di cooperative di abitazione (nel caso in questione, da quella che in Lombardia era dominata dal PCI). Ecco perché, a conti fatti, in alcuni casi quelle casette costavano agli acquirenti due e anche tre volte più dei reali costi di mercato. Si trattava di uno dei tanti meccanismi approntati e gestiti dai grandi “partiti di massa” per spartirsi la torta dei finanziamenti pubblici per l’edilizia popolare.

Mi capitò di dire queste cose in pubblico, addirittura mentre ero seduto ad un tavolo di una festa dell’”Unità”. Uno dei presenti, assessore del PCI, si alzò stringendo i pugni e spostando il busto in avanti per urlarmi, rosso in viso e letteralmente schiumando bava: “Chi dice queste cose è un democristiano, oppure un fascista, oppure un mafioso!”. Un altro personaggio, assai più pacato, e che per il suo mandato ben conosceva certi procedimenti amministrativi regionali, tentò invece di convincermi che la cosa era la più normale di questo mondo e, anzi, mi spiegò meglio il meccanismo che criticavo!

Pochi anni dopo, scoppiarono varie vicende che provocarono molte denunce incrociate alla magistratura, che coinvolsero molti dirigenti delle cooperative locali legate al PCI (e almeno un assessore). Ancora qualche altro anno dopo, le vicende venute alla luce con l’inchiesta “Mani pulite”, dimostrarono quanto certe pratiche fossero diffuse anche nel PCI, il quale avrebbe dovuto (ma ancora ne avrebbero l’obbligo i suoi eredi) fare un monumento a quel Primo Greganti che, unico, non parlò di fronte ai giudici e quindi non avviò quell’”effetto domino” che fece crollare altri partiti. Adesso Campisi, che della storia del suo partito conosce solo qualche brandello della vulgata agiografica e propagandistica, pretende di invocare lo spirito di “Enrico”… [v. Questione morale] “Ma mi faccia il piacere!”, direbbe il Principe Antonio De Curtis).

Certo, Campisi preferirebbe che le responsabilità sue e del suo partito non fossero ricordate, né quelle vecchie, i cui responsabili sono ancora in campo, né quelle più recenti, delle quali è responsabile anche lui, e che si prendessero in considerazione solo le fanfaluche che egli produce con le sue recite da leader che “porta la responsabilità di un grande partito”…, ma questi sono solo pii desideri di un politicante da strapazzo. Egli si vanta di fare politica (quella che per lui è la politica) “ormai da quindici anni”, ma non ha ancora imparato (ma cosa si può imparare se si fa “politica” solo stando rinserrato nella sala del consiglio comunale?) che solo i fatti veri sono “la politica”, e non le fanfaluche, non le autorappresentazioni vanagloriose.

Costui, che sarà cattolicissimo ma nient’affatto cristiano, dopo avermi psichiatrizzato a distanza nel cuore della notte, decretando che denoterei “un evidente comportamento isterico compulsivo”, ora vorrebbe farmi da precettore spirituale per insegnarmi “a stare al mondo”. A me pare, invece, che la citazione che riporto in nota gli si attagli perfettamente.




[i] "« Quand la merda la monta in scagn » dice la versione piacentina di un vecchio proverbio « o la spuzza o la fa dann ». Il riferimento originario era alle classi basse che cominciavano a emergere, occupando posizioni prima riservate alla nobiltà e alla borghesia: da che ho memoria, l’ho però sempre sentito usare solo contro la bassezza morale (così come « canaglia », un tempo spregiativo classista). Quando i cialtroni gli incapaci i ladri (« la merda ») montano in cattedra (« scagn », scanno), o puzzano o fanno danno. Dove la congiunzione o non ha propriamente valore disgiuntivo, alternativo. Di fatto, la merda e puzza e fa danno. Io l’intendo così, che i cialtroni ecc. sono nocivi, rovinosi, ma se anche per avventura non lo fossero, sempre puzzano: sono un pessimo spettacolo; un’offesa, quanto meno, per il naso.


Ovvio il succo. Quella che a me pare straordinaria è l’immagine della « merda che monta in cattedra ». Intanto, la riduzione sintetica a merda di diversi disvalori: ignoranza e boria, idiozia e disonestà, incompetenza, villanìa, prepotenza... E poi questa merda - questa che è soltanto, nient’altro che merda - che ascende e s’impanca, e dal posto elevato che ha raggiunto pretende di insegnare e comandare e imporsi come modello...” (Piergiorgio Bellocchio, La merda in cattedra, in “ Diario “, a. VIII, n. 10, giugno 1993, pp. 49-50; ora in Al di sotto della mischia. Satire e saggi, Libri Scheiwiller, Milano 2007, pp. 169-170. La parafrasi del celebre titolo Au-dessus de la mélée di Romain Rolland – autore amatissimo dal giovane Gramsci, è di Norberto Bobbio [ibidem, p. 180]).



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lunedì 22 dicembre 2008

Il gioco delle tre carte: far sparire 5.862 mq di aree standard per far perdere alla cassa pubblica 1.406.880 euro e farli guadagnare ai palazzinari

Salvatore Ricciardi



Sarà capitato a molti di osservare nelle più affollate stazioni della metropolitana l’abilità di certi delinquentucoli che, spostando a velocità ridotta tre carte su un tavolinetto, danno a chi si ferma ad osservarli l’illusione di riuscire a seguire gli spostamenti della carta vincente. Però gli illusi che fanno delle puntate perdono regolarmente: nella posizione nella quale credono che sia finita la carta vincente ne scoprono un’altra. Ma si tratta di un gioco tutto sommato modesto e ormai preistorico. Nella metropolitana c’è solo un sottoproletario che per sbarcare il lunario maneggia tre sole carte, e per coprire i suoi trucchi si serve di un’abilità esclusivamente manuale. Costui, inoltre, è aiutato solo dall’iterazione ossessiva di pochissime parole per stordire un po’ chi vuole farsi abbindolare, da un paio di compari che fanno finte puntate vincenti per convincere i gonzi a tentare il gioco, e da un altro paio che stazionano nei pressi, con la funzione di “palo”, per avvertire in tempo dell’arrivo della polizia.


Il gioco delle tre carte in versione sofisticata

Altre versioni del gioco delle tre carte sono assai più sofisticate, ma ne conservano, tuttavia, la sostanza originaria. Ovviamente, quando il gioco è praticato in una di queste versioni non ci si colloca a Cadorna FN nell’ora di punta, bensì in uffici pubblici e studi professionali discreti, comodi e ovattati, dove non servono né i compari che fanno puntate finte, né i “pali” per avvertire dell’arrivo della polizia, perché questa quasi mai arriva. Né, per tenere il banco, ci si affida ad abilità esclusivamente manuali e al concorso di alcuni sottoproletari. Servono piuttosto giocatori che siano in possesso di titoli accademici e che svolgano professioni che godono di grande apprezzamento sociale. Non si usano tre carte da gioco da spostare velocissimamente su un tavolinetto, ma ci si serve di carte più grandi che riempiono diversi faldoni e sono piene di termini presi da due o tre linguaggi settoriali, di grafici, di disegni, di decine e decine di segni e simboli uno più criptico dell’altro. A differenza del vecchio gioco delle tre carte, in questo gioco si fa largo uso (e abuso) di norme, leggi, regolamenti uno più lungo, complicato e astruso dell’altro.

Nel gioco delle tre carte nelle stazioni della metropolitana perde solo chi è tanto sciocco da parteciparvi. In certe versioni sofisticate del gioco, invece, i perdenti sono moltissimi, anche un’intera collettività di cittadini, i quali perdono anche se non hanno partecipato al gioco, e spesso nemmeno sanno di aver perso, e quanto, perché tutto è coperto dal segreto almeno di fatto delle procedure dell’”apparato” amministrativo pubblico, magari guidato da uno che è stato tangentista e poi reo confesso e condannato, come il dottor Gennaro Cambria, Segretario Generale del Comune di Limbiate [1]. Se poi fra i cittadini perdenti qualcuno comincia ad avere qualche sospetto, tutto l’altro apparato, quello politico, si mobilita per fargli credere che no, al contrario!, ha ottenuto meravigliosi “benefici” sotto forma di mattonelle auto-bloccanti e cordoli prefabbricati! Glielo assicurano, per esempio, alcuni piazzisti dallo stile aiazzonico-berlusconiano travestiti da assessori e da sindaci [v. http://it.youtube.com/watch?v=M8YZmBFqnIU], che si appoggiano all’autorità delle funzioni e dei titoli di funzionari e consulenti che proclamano, anche per iscritto, che certe speculazioni edilizie migliorano la vita dei cittadini e accrescono il patrimonio comunale di nuove superfici “a standard” (di aree, cioè, destinate a funzioni pubbliche).

In questa opera di persuasione si è distinto anche il “Nucleo di Consulenza per la valutazione dei Programmi Integrati d’Intervento” composto dall’avvocato Pietro Carlo Sironi, dall’architetto Antonio Ricciardi (non è mio parente e nemmeno lo conosco!) e dall’architetto Franco Zinna (a quel tempo responsabile del Settore Tecnico del Comune di Limbiate), che al prezzo di (non si sa quante ma sicuramente molte) migliaia di euro ha espresso la sua “valutazione” del P.I.I. di Via Monte Sabotino in ben 9 righe (formule di circostanza comprese), con le quali ha affermato:

a) “si ritiene che l’intervento consente di migliorare l’utilizzo delle aree a standard previste dal P.R.G., di riqualificare importanti tratti di viabilità primaria, nonché di acquisire nuove superfici a standard al patrimonio comunale”;

b) “si sottolinea l’aspetto di permeabilità futura verso il Parco delle Groane mediante la previsione di attraversamenti ciclo-pedonali in sicurezza”.

Ora, che non si possa “migliorare l’utilizzo delle aree a standard ecc.” se esse vengono totalmente coperte da costruzioni private; che per “riqualificare importanti tratti di viabilità primaria”, attualmente in ottimo stato, non è necessario fare un P.I.I. su un’area destinata dal P.R.G. a verde pubblico attrezzato; che “l’aspetto di permeabilità futura verso il Parco delle Groane mediante la previsione di attraversamenti ciclo-pedonali in sicurezza” è una “previsione” che il progetto del P.I.I. non giustifica affatto, ed è quindi una balla grande come il Duomo di Milano, poiché non è giustificata nemmeno da due tronconi di strada cieca che da strade urbane portano ad autorimesse private – tutte queste sono obiezioni facili e immediate.

Sembra meno facile, invece, rendersi conto e dimostrare che l’”acquisizione” di “nuove superfici a standard al patrimonio comunale” è una balla ancora più grande, e che questa balla nasconde un consistente danno erariale. Infatti, se si va a verificare quale sarebbe l’estensione delle “nuove superfici a standard“ che avrebbero aumentato il “patrimonio comunale” ci si imbatte in alcune addizioni e sottrazioni (volutamente) confuse, che tuttavia possono essere seguite con più calma di quanto si possa seguire il gioco delle tre carte nelle stazioni della metropolitana – e alla fine il trucco salta fuori.


Partiamo dall’art. 90, comma 1, della Legge Regione Lombardia n. 12/2005 che stabilisce:

“I programmi integrati di intervento garantiscono, a supporto delle funzioni insediate, una dotazione globale di aree o attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, valutata in base all’analisi dei carichi di utenza che le nuove funzioni inducono sull’insieme delle attrezzature esistenti nel territorio comunale, in coerenza con quanto sancito dall’articolo 9, comma 4”.

Se il Comune è dotato del piano dei servizi, è in relazione alle previsioni di tale strumento che si deve valutare l’incidenza dei carichi di utenza. Se questo strumento manca, come nel Comune di Limbiate, e se si incide, come avviene nella fattispecie, su aree destinate a standard, il criterio da seguire resta quello di cui all’art. 6, comma 3, della l. r. n. 9/99:

“Qualora il programma integrato abbia ad oggetto aree in tutto o in parte destinate ad attrezzature pubbliche o di uso pubblico e ne preveda una differente utilizzazione, esso deve assicurare il recupero contestuale della dotazione di spazi pubblici in tal modo venuta meno”.

Lo stesso criterio è espresso dal “Documento di inquadramento”, ai sensi del quale, per le aree a standard in cui potrà essere prevista la collocazione di un P.I.I., occorre assicurare

“oltre alla quota minima determinata in base alle disposizioni legislative vigenti, anche il recupero della dotazione di standard in tal modo venuta meno “ (punto 5.4 del “Documento”)

Orbene, il P.I.I. in questione prevede di insediare 230 nuovi abitanti in un’area la cui superficie era quasi per intero destinata a standard. Quest’area, quindi, dovrebbe essere recuperata (anche altrove), oppure non ceduta dall’operatore privato ma pagata (“monetizzata”) al comune secondo il valore di mercato. A questa superficie “da recuperare”, quanta superficie standard, indotta da questi 230 nuovi abitanti, dovrebbe essere aggiunta (vale a dire ceduta gratuitamente al comune o monetizzata)?

La "Relazione Tecnica" del progetto del P.I.I. della società Marzaiola S.r.l. (alla quale è poi subentrata la SAN INVEST S.r.l), firmata dall’architetto Andrea Milella, a questo proposito presenta alcuni conteggi alquanto funamboleschi, e inoltre disposti in un modo che non ne favorisce la comprensione.

Ma vediamo: nella tabella 1 di pagina 1, è riportato che l’azzonamento del P.R.G. vigente al momento dell’approvazione del P.I.I., per le attrezzature collettive indicava la superficie di mq 13.629 [2] (quindi da recuperare), mentre nel testo, a pagina 5, a proposito dello standard indotto, la relazione dice che

“la superficie minima di urbanizzazione calcolata utilizzando lo standard per abitante, determinato dal Comune in mq 34,16, è la seguente:

ab. 230 x mq 34,16 = mq 7.856,8 arrotondati a mq 7.857 [3].

Il fabbisogno complessivo del P.I.I. è quindi pari a

13.629 mq (standard pre-esistente) + 7.857 mq (standard indotto) = 21.486 mq

Questo fabbisogno di aree standard è soddisfatto per una parte con la cessione, e per la restante con la monetizzazione.

Per la cessione l’art. 8 punto 1 della “Convenzione” stabilisce che

“per il soddisfacimento dello standard richiesto dal Programma Integrato di intervento, si rende necessario il reperimento di aree per una superficie complessiva di mq 7.857”

e pertanto,

“la società SAN INVEST S.r.l. (…) si impegna a cedere gratuitamente al COMUNE DI LIMBIATE le aree della superficie complessiva di mq 5.105, ecc.”

destinate al soddisfacimento degli standard nell’ambito del perimetro che individua le aree interne.

Poiché nella convenzione non sono stabilite altre cessioni di aree da destinare a standard, la superficie residua (standard preesistente da recuperare + standard indotto) da monetizzare, è (sarebbe) pari a 16.381 mq (21.486 mq — 5.105 mq).

Nella “Convenzione” attuativa, però, la monetizzazione è calcolata per una superficie minore. Infatti, a quanto ammontano le monetizzazioni che vi sono stabilite? L’”Articolo 9 - Monetizzazione” della “Convenzione”, al punto 1 ne indica solo due:

- la monetizzazione della “restante quota di aree per urbanizzazione secondaria”, mq 2.752 (differenza fra mq 7.857 e mq 5.105);
- la monetizzazione dello “standard qualitativo richiesto dal Programma Integrato d’Intervento”, per una superficie di mq 7.767 [4].

Se facciamo la somma mq 2.752 + mq 7.767 otteniamo il

totale delle aree standard monetizzate: 10.519 mq < 16.381 mq.


Come far sparire più di mezzo ettaro di terreno...

Della restante parte di mq 5.862 (differenza fra 16.381 mq da monetizzare e 10.519 mq effettivamente monetizzati) nella “Convenzione” non vi è più traccia, né sotto forma di aree monetizzate, né sotto forma di aree cedute gratuitamente al Comune. Per ritrovarne una, seppure solo “virtuale”, dobbiamo ritornare ai calcoli funamboleschi della relazione tecnica, dove nella tabella 3 di pagina 2 troviamo una “variante proposta” di “area (con) destinazione pubblica” di mq 5.862, ottenuta sommando:

- mq 757 destinati a viabilità, che non potrebbero essere conteggiati negli standard!;
- mq 5.105 di superficie già calcolati come area da cedere per urbanizzazione secondaria.

Ed eccolo qui, il trucco: un’area “virtuale” di mq 5.862 viene sottratta dalla preesistente area destinata a standard di mq 13.629, per ottenere una presunta “riduzione di (soli) mq 7.767 della superficie con destinazione pubblica” da compensare “con la corresponsione della somma definita dalla Convenzione di attuazione del P.I.I.”.

Ma in questo modo, con una sorta di “gioco delle tre carte” da stazione della metropolitana,
i 5.105 mq che erano già stati sottratti una prima volta dallo standard indotto, sono stati sottratti di nuovo dallo standard pre-esistente!!!


...per far guadagnare un sacco di soldi ai palazzinari

Più che di prestidigitazione, si tratta di vera magia! Infatti: mentre la monetizzazione della “restante quota di aree per urbanizzazione secondaria” (2.752 mq) e dello “standard qualitativo richiesto dal Programma Integrato d’Intervento” (7.767 mq), è stata calcolata, seppure al ribasso, sulla base di perizie commissionate e preparate “ad hoc” che hanno stabilito del tutto abusivamente il valore di 60,25 €/mq, per la parte dell’area a standard pre-esistente e da monetizzare, semplicemente non è stato necessario nessun calcolo al ribasso da dover “giustificare” con perizie compiacenti, perché l’area è stata fatta… sparire. È bastato un giochetto aritmetico un po’ più abile ma della stessa natura di quello delle tre carte nelle stazioni della metropolitana, dove l’abilità manuale di chi tiene il banco consiste solo nel creare l’illusione che la carta vincente si trovi in una certa posizione, mentre immancabilmente si trova in un’altra. Qui la “carta” vincente, ovverosia un’area di 5.862 mq (più di mezzo ettaro!), che doveva essere ceduta o monetizzata, letteralmente è stata fatta sparire dal ”banco”.

L’imbroglio è mascherato con i calcoli funamboleschi delle tre tabelle contenute nella pagina 2 della “Relazione Tecnica”!

In questo caso, però, non si è trattato di alcune decine di euro perdute da un singolo gonzo di passaggio. Secondo il calcolo che sembrerebbe corretto alla luce dell’articolo 46, comma 1, lettera a. della Legge Regionale n. 12/2005
[5], vale a dire tenendo conto del valore venale delle aree edificabili stimato dal Comune di Limbiate come base per il calcolo dell’I.C.I (240 €/mq), con il funambolismo aritmetico di cui sopra alla cassa pubblica è stato causato un danno calcolabile nel modo seguente:

mq 5.862 x 240 € = 1.406.880 €.

Questo danno si aggiunge agli altri già indicati a suo tempo [v.
Chi è stato beneficiato da chi con il P.I.I. di Via Monte Sabotino]. Vale la pena di riepilogarli, ricordandosi anche di confrontare il prezzo della vendita del terreno comunale (105 €/mq) con quello di un’altra vendita, quella del terreno della Marzaiola S.r.l. avvenuta presso lo stesso notaio un’ora e venti minuti prima che il Comune di Limbiate e la SAN INVEST S.r.l (subentrata alla Marzaiola S.r.l) sottoscrivessero la Convenzione che, fra l’altro, ha stabilito questi danni. La Marzaiola S.r.l. (che aveva proposto e concordato il P.I.I. con il Comune) è uscita dall’affare vendendo alla SAN INVEST S.r.l un terreno di circa 8.497 mq., posto in buona parte al di sotto del piano stradale (fino a oltre 3 m.), solo parzialmente suscettibile di utilizzazione edificatoria, praticamente intercluso ma attiguo al terreno comunale - che invece è in piano, al livello delle strade circostanti e totalmente suscettibile di utilizzazione edificatoria - per la… modesta cifra di 5.800.000,00 €, ovvero per 682,59 €/mq!


Come realizzare sovrapprofitti senza investire un centesimo.
Riepilogo dei danni erariali provocati con il P.I.I. di Via Monte Sabotino


1) Vendita del terreno comunale:

- prezzo "convenuto": (105 € x 5.759,08 mq) = 604.703,40 €;
- prezzo secondo la stima a suo tempo approvata dal Comune:(240 € x 5.759,08 mq) = 1.382.179,20 €;
- risparmio regalato all'operatore privato: 777.475,80 €.

2) Monetizzazione delle aree per gli standard di urbanizzazione secondaria:

- monetizzazione "convenuta": (60,25 € x 2.752 mq) = 165.808,00 €;
- monetizzazione secondo la stima del Comune:(240 € x 2.752 mq) = 660.480,00 €;
- risparmio regalato all'operatore privato: 494.672,00 €.

3) Monetizzazione degli standard qualitativi:

- monetizzazione "convenuta": (60,25 € x 7.767 mq) = 467.961,75 €;
- monetizzazione secondo la stima del Comune:(240 € x 7.767 mq) = 1.864.080,00 €;
- risparmio regalato all'operatore privato: 1.396.118,25 €.

4) Costo dell'esproprio per opere di urbanizzazione secondaria

(ma in realtà solo primaria) accollato al Comune
(= risparmio regalato all'operatore privato) : 219.864,30 €.

5) Oneri di urbanizzazione primaria non versati: 141.910,00 €.

6) Oneri di urbanizzazione secondaria non versati:
493.580,00 €.


Totale dei regali all'operatore privato (e danno per la cassa pubblica) : 3.303.756,05 €.


Nella convenzione sono indicate una serie di opere di urbanizzazione primaria e secondaria “in eccesso”, che non sono scomputabili, per un valore presunto di 1.481.964,62 €. In ogni caso, all’operatore privato questi lavori costerebbero, nei fatti, la metà. Ma l’esame del computo metrico estimativo dimostra che si tratta quasi esclusivamente di opere di urbanizzazione primaria, e pertanto sarebbe scomputabile solo la parte di opere pari al valore degli OO.UU. 1 calcolati secondo la tabella comunale: 141.910 €. Pertanto, il danno erariale effettivo dovrebbe essere calcolato nel modo seguente:

3.303.756,05 € - 141.910,00 € = 3.161.846,05 €
,

che sommati a 1.406.880 € sottratti “virtualizzando” parte delle aree standard pre-esistenti darebbe come risultato un

danno per la cassa pubblica di 4.568.726,05 €.

Vale a dire che la SAN INVEST S.r.l, prima ancora di posare il primo mattone di una costruzione per la quale, secondo il “Piano finanziario” del P.I.I., sono previsti investimenti per 15.020.190 € e utili per 1.816.174,09 €, ha già realizzato un utile preventivo di 4.568.726,05 €!


Note:

[1] V. i seguenti articoli del “Corriere della sera”, da me reperiti e segnalati, alcuni mesi fa, ad alcuni consiglieri. L’invereconda Guida e Grande Timoniere del PD locale, Campisi, cementificatore fallito e connivente, li usò, senza citare chi aveva fatto la ricerca, per la sua solita grottesca autorappresentazione di “fustigatore” della politica limbiatese.

esproprio lumaca. davanti al giudice il comune di Pieve;
espropri a Pieve Emanuele, assolto Sardella;
arrestato Maurizio Ricotti signore delle grandi opere;
Pieve, ex sindaco " pentito " svela il giro mazzette;
il paese delle bustarelle;
piovono manette a Pieve;
Pieve raggiunge quota 36 arresti;
Pieve, fuga da Tangentopoli;
nuova bufera su Pieve. sequestrati i contratti di gas, mense e rifiuti;
folla di tangentomani;
Tangentopoli scende a patti;
Ex colonnello finisce in manette. anche la guardia di Finanza nella Tangentopoli di Legnano;
Dalle mazzette al traffico di scorie.

[2] Il dato è riportato, oltre che nella relazione tecnica, pag. 1, anche in molti altri documenti del P.I.I., fra i quali la convenzione attuativa, art. 8.

[3] Per il calcolo dello standard indotto dal P.I.I. si è fatto riferimento ai parametri del piano regolatore, piuttosto che ai minimi di legge, in quanto il documento di inquadramento espressamente prevede che ‘fino all’approvazione del Piano dei Servizi le aree da cedere o da asservire ad uso pubblico non possono essere quantifìcate in misura inferiore a quanto stabilito dal vigente PRG”.

[4] Il paragrafo che vi è dedicato come “giustificazione” è un autentico capolavoro d’incongruenza e di fumosità. “Ai sensi dell’art. 90, comma 4 della L.R. 12/2005 e del Documento d’Inquadramento del Comune di Limbiate si dà atto che il soddisfacimento dello standard qualitativo richiesto dal Programma Integrato di Intervento produce una diminuzione di standard del P.R.G. vigente pari a mq. 7.767,00 e pertanto il valore a mq. stimato dalla perizia sopra citata di un’area destinata a standard risulta pari a Euro 60,25/mq ". Innanzitutto il riferimento all’ art. 90, comma 4 della L.R. 12/2005, è alquanto incongruo, poiché, in realtà, oggetto di quell’articolo sono le condizioni per l’ammissibilità della (eventuale) monetizzazione; poi, il P.I.I. richiede in realtà un aumento di standard; infine, dalle “premesse” (chiamiamole così) che precedono non “risulta” affatto “il valore a mq. stimato dalla perizia sopra citata di un’area destinata a standard pari a Euro 60,25/mq”, poiché il calcolo del valore monetizzato degli standard deve seguire le prescrizioni dell’art. 46, comma 1, lettera a. della Legge Regionale n. 12/2005 (v. la nota n. 5).

[5] ”Qualora l'acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione, che all'atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all'utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione [sott. mia; ndr] e comunque non inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree”.

[6] Per le fonti delle cifre:

- 105 € x 5.759,08 mq = 604.703,40 : l’ormai famigerata perizia della ditta Bensi;
- 240 €: è la stima del valore delle aree edificabili approvata dal Comune per il calcolo dell’ I.C.I. 2007 e 2008 (delibera C.C. n. 2 del 27/02/2007; delibera C.C. n. 17 del 02/04/2008);
- 60,25 € x 2.752 mq = 165.808,00 : atto notarile “Convenzione…P.I.I.… Via Monte Sabotino" del 10/06/2008, art. 9;
- 60,25 € x 7.767 mq = 467.961,75 €: ibidem;
- 219.864,30 €: ibidem, art. 4;
- 141.910,00 €: ibidem, art. 11, e tabella comunale OO.UU. primaria;
- 493.580,00 €: ibidem, art. 11, e tabella comunale OO.UU. secondaria;
- 1.481.964,62 €: ibidem, art. 11.