mercoledì 9 dicembre 2009

Niente regali alle mafie, i beni confiscati sono cosa nostra



Tredici anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all'unanimità le legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l'impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.

Oggi quell 'impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. E' facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all'intervento dello Stato.

La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni.Per queste ragioni chiediamo al governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l'emendamento sulla vendita dei beni confiscati. Si rafforzi, piuttosto, l'azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan. S'introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti. E vengano destinate innanzitutto ai familiari delle vittime di mafia e ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie. Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un'Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti "cosa nostra"

don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele


Tra i primi firmatari: Andrea Campinoti, presidente di Avviso Pubblico - Paolo Beni, presidente Arci - Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente - Andrea Olivero, presidente ACLI - Guglielmo Epifani, segretario CGIL - Raffaele Bonanni, segretario generale CISL - Luigi Angeletti, segretario UIL - Francesco Miano, presidente Azione Cattolica - Filippo Fossati, presidente UISP - Marco Galdiolo - presidente US Acli - Marisa Ferro, Segreteria Nazionale ANPI - Paola Stroppiana e Alberto Fantuzzo, presidenti del comitato nazionale Agesci - Giuseppe Politi, presidente CIA (Confederazione italiana agricoltori) - Aldo Soldi, Presidente di Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori - Elisabetta Laganà, presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia - Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace - Carlo Petrini, Presidente Onorario Slow Food Italia e Presidente Slow Food Internazionale - Roberto Burdese, Presidente di Slow Food Italia - Loretta Mussi, presidente di "Un ponte Per" - Michele Curto, presidente di FLARE (Freedom, Legality and Rights in Europe) - Mani tese - Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom-Cgil - Giuseppe Gallo, segretario generale FIBA Cisl - Carla Cantone, segr. generale SPI-CGIL - Emilio Miceli, segretario nazionale SLC - C.G.I.L - Carlo Podda, segretario nazionale FP - CGIL - Michele Mangano, presidente Auser - Doriano Guerrieri, presidente nazionale CNGEI - Gianpiero Calzolari, Presidente di "Cooperare con Libera Terra" - Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco - Don Nandino Capovilla, coordinatore Pax Christi - Giuliana Ortolan, Donne in Nero di Padova - Addiopizzo Palermo - Giulio Marcon, portavoce campagna Sbilanciamoci - Aurelio Mancuso, presidente Arcigay - Lucio Babolin, presidente CNCA - Fabio Salviato, presidente di Banca Etica - Mario Crosta, Direttore Generale di Banca Etica, Giuseppe Gallo, segretario generale FIBA Cisl - Tito Russo, coordinatore nazionale UDS (Unione degli Studenti), Claudio Riccio, referente Link-coordinamento universitario, Antonio De Napoli, Forum Nazionale dei Giovani - Luca De Zolt, rete studenti medi - Sara Martini e Emanuele Bordello - presidenti FUCI, Giorgio Paterna, coordinatore Unione degli Universitari - Umberto Ronga, Movimento Eccesiale di Impegno Culturale. E inoltre: Nando Dalla Chiesa, Salvo Vitale, Rita Borsellino, Sandro Ruotolo, Roberto Morrione, Enrico Fontana, Tonio Dell'Olio, Pina Picerno, Francesco Forgione, Luigi De Magistris, Raffaele Sardo, David Sassoli, Francesco Ferrante, Rita Ghedini, Petra Reski, Esmeralda Calabria, Vittorio Agnoletto, Vittorio Arrigoni, Giuseppe Carrisi, Jasmine Trinca, Yo Yo Mundi, Sergio Rubini, Modena City Ramblers, Gianmaria Testa, Libero De Rienzo, Livio Pepino, Elio Germano, Subsonica, Vauro, Claudio Gioè, Roberto Saviano, Daniele Biacchessi, Giulio Cavalli, Elisabetta Baldi Caponetto, Moni Ovadia, Ottavia Piccolo, Giancarlo Caselli, Ascanio Celestini, Alberto Spampinato, Salvatore Borsellino, Federica Sciarelli, Haidi Giuliani, Fausto Raciti, Francesco Menditto, Antonello Ardituro, Benedetta Tobagi, Il Coro dei Minatori di Santa Fiora, Simone Cristicchi, Roberto Natale, Agnese Moro, Tana De Zuleta, Lella Costa, Armando Spataro, Maurizio Ascione, Nicola Tranfaglia, Franco Cassano, Marco Delgaudio, Carlo Lucarelli, Alex Zanotelli, Marcelle Padovani, Andrea Occhipinti, Johnny Palomba, Paolo Ferrero, Marianna Scalfaro, Natalia Aspesi, Mimmo Lucà, Luca Zingaretti, Renato Scarpa, Antonio Di Pietro, Titti De Simone, Giuseppe Lumia, Giuseppe Piccioni, Claudio Fava, Giorgio Bocca, Daniele Fichera, Gustavo Zagrebelsky, Ettore Scola ...

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giovedì 3 dicembre 2009

La madeleine della menzogna. Marcel-Terragni tanto gode nel farsi gabbare dalle frottole di Albertine-Cogliati sul bilancio, che le ripete


Nel 2006, Mario Terragni, vecchia cariatide della “politica” limbiatese, si rivolse al colto e all’inclita chiedendo di essere eletto sindaco. Parlò, pare, soprattutto di alcune cose che aveva fatto trent’anni prima. Non parlò di alcune altre cose che era meglio non mentovare, né delle molte altre che non aveva fatto (fra le quali: un vero Piano Regolatore Generale; denunciare l’ACNA per l’inquinamento della falda acquifera). Non omise, però, di esibire un vezzo del quale egli si è sempre compiaciuto, quello di épater les naïfs et les ignorants (visto l’argomento, il francese è obbligatorio) con un riferimento ad un’opera che, già solo a citarne il titolo, denota sublime statura intellettuale e gusti letterari sopraffini: À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Non saprei dire a quale dei sette tomi che compongono l’opera, tutti con titoli diversi, egli si sia riferito. Io entrai nella sala dove egli aveva parlato solo dopo la fine del suo discorso, e la prima frase che udii fu pronunciata dal futuro consigliere Daniele Cenci che, pieno di ammirazione, stava esclamando: “Mi pare che stiamo volando alto!”. Ricordo che subito mi pervase la sensazione di un certo disorientamento, poiché era sì evidente che quell’assemblea non era propriamente una situazione terrena, ma non mi sembrava che fossimo ad un’altezza aeronautica. Prima di orientarmi un po’ dovetti sorbirmi alcuni altri interventi strampalati, fino a quando, finalmente, un povero fesso disse la frase stellare: “Con un candidato che cita Proust, abbiamo già vinto!”. Confesso di aver fatto, di nascosto, un gesto su un particolare anatomico maschile che è doppio. Poco dopo, un tizio più disinibito di me andò al microfono per dichiarare apertamente che aveva fatto lo stesso gesto, e seppi poi che anche altri si erano abbandonati alla medesima pratica apotropaica. Ma tutti quei riti non bastarono: una parte del centro-sinistra, quella che è sensibile solo alla madeleine degli affari edilizi, preferì votare e far votare per il centro-destra; la coalizione di centro-sinistra perse sedici punti della percentuale ottenuta alle elezioni politiche di un mese e mezzo prima - e noi siamo ancora qui a farci vessare dalla banda del Tecoppa sub-aspromontano.

In un’altra occasione, però, sono stato più fortunato, ed ho potuto ascoltare Marcel-Terragni mentre si serviva di quella che forse è la più famosa metafora della Recherche, quella della cattedrale, che egli ha mostrato di saper usare, con grande perizia, come un portentoso strumento ermeneutico per penetrare nella complessa, elaboratissima architettura del bilancio comunale, opera di quel geniale ragiunatt brianzolo che è il Dr. Giuseppe Cogliati. Fra questi e il nostro Marcel-Terragni sembra esservi, a proposito di entrate ed uscite di bilancio, un rapporto analogo a quello che legava Albertine all’io narrante della Recherche. Come sfuggire a questa potente impressione, quando si ascoltano le lodi carezzevoli e amorose che, appena può, Marcel-Terragni rivolge al ragiunatt nel Consiglio Comunale? Marcel-Terragni è presidente della Commissione Finanze del Consiglio Comunale, e fra i due vi è una tale corrispondenza di amorosi sensi ragionieristici, che ormai capita di assistere a questo: Marcel-Terragni avvia un certo discorso, che poi viene svolto e concluso con disinvoltura da Albertine-Cogliati.

L’architettura del bilancio comunale, però, è alquanto traballante, e forse una buona parte della fabbrica quest’anno non potrà essere completata. Albertine-Cogliati in modo asettico cerca di dimostrare che, per colpa della crisi economica, molte entrate previste sotto la voce “da concessioni edilizie” non sono… entrate e non entreranno – e per conseguenza devono essere cancellati investimenti e spese correnti. Tuttavia, ci assicura, con un pilastrino qua e un’impalcatura là, la parte già rabberciata della fabbrica potrebbe restare in piedi. Marcel-Terragni, amorevolmente sollecito, corre ad aiutare la sua Albertine: non si limita a lodarne le capacità architettoniche, ma, a più riprese, cerca di porre la cattedrale al riparo dagli atti vandalici di qualche casseur che si mettesse a gironzolare nei pressi. La colpa, protesta Marcel, certamente è della Giunta che ha puntato troppo sugli oneri di urbanizzazione, ma è anche dello Stato, che ci fa penare prima di “trasferire” i soldi che ci deve mandare per la fabbrica. “Mancano - vero, mia dolce Albertine? - quattro milioni e mezzo di euro di trasferimenti dallo Stato! Se ci fossero i soldi dell’I.C.I. sulla prima casa, dell’I.C.I. sui fabbricati rurali, dell’addizionale IRPEF, della restituzione dei costi della politica – soldi che lo Stato ci ha tolto e non ci rimborsa - la fabbrica sarebbe quasi salva!”.

Si sa che a Marcel Proust bastava il solo ricordo di un dolce chiamato madeleine per cadere quasi in un deliquio. Nel caso di Marcel-Terragni non sappiamo se si tratti della madeleine della copertura, lungamente praticata quand’era sindaco, di funzionari felloni e di affari loschi, o semplicemente di ignoranza bella e buona, o di entrambe le ragioni. Mentre l’altro Marcel, malato, è vissuto per anni sprofondato nel suo letto e ha scritto la Recherche, questo qui è vissuto sprofondato nell’amministrazione locale per alcuni decenni, ma, per quanto possa sembrare incredibile, dell’amministrazione come apparato non ha imparato quasi niente. Quando era sindaco si dedicava, per l’appunto, a fare il sindaco, l’uomo di rappresentanza, mentre l’amministrazione era appannaggio di qualche suo compagno di partito (il P.S.I. craxiano), che amministrava il Comune al suo posto (con la connivenza del PCI). La funzione del perennemente macerato Marcel limbiatese era piuttosto quella di coprire, ostentando “umanità” e “disponibilità”, un bel po’ di porcherie, anche nel settore edilizio. Chi volesse constatare il livello, che forse non è nemmeno elementare, delle sue conoscenze di leggi e di procedure amministrative, comunali e statali, e quanto l’abitudine di coprire funzionari felloni gli sia rimasta introiettata, fino ad essere ormai inestirpabile, nelle più lontane scaturigini della sua rappresentazione del mondo - dovrebbe ascoltarlo, vincendo lo sconforto, quelle poche volte in cui cerca di leggere e interpretare qualche documento. Per limitarci ad un esempio un po’ comico, poco tempo fa questo Marcel ha confessato che si sentiva devastato dall’angoscia dell’alinea, parola che trovava ripetuta ossessivamente nella convenzione attuativa di un piano di lottizzazione. Quindi, in pieno Consiglio Comunale, ha chiesto qualche sollievo ad un povero architetto comunale che in quella convenzione di suo non aveva messo nemmeno una virgola. Costui non è certo il tipo di funzionario che, dopo aver letto (ammesso che la legga davvero) una convenzione interamente scritta da altri, osa suggerire una modifica letterale (neppure la più insignificante): il suo compito (lautamente compensato) è solo quello di apporre firme in calce a documenti preparati da altri e che spesso non ha nemmeno letto. Quindi, poiché nemmeno lui, come Marcel-Terragni, aveva pensato di aprire un vocabolario per scoprire che alinea significa “capoverso”, “comma”, “paragrafo”, “passare ad una nuova riga”, e che, pur essendo un po’ desueto, in quel tipo di testo il termine non era affatto fuori posto - se la cavò rispondendo: “Non è un termine dell’architettura”. “Allora sia espunto”, implorò Marcel. Pronti: l’alinea è stato espunto.

Tornando al bilancio, Marcel-Terragni, o perché non lo sa, o perché una simile idea non può passargli nemmeno per l’anticamera del cervello, non dice che Albertine-Cogliati, anche se il suo incarico di dirigente vale solo pro-tempore (è un uomo di fiducia del sindaco), ha delle precise responsabilità per l’iscrizione in bilancio, ogni anno da almeno dieci, di entrate che sa bene che non saranno mai accertate. Queste previsioni vengono iscritte nel bilancio in aperta violazione di criteri, il cui rispetto sarebbe imposto dalla legge, fra i quali vi sono la veridicità delle previsioni e la loro determinazione sulla base di valutazioni storico-analitiche. Ora, se si da un’occhiata alle cifre dei bilanci preventivi e consuntivi pubblicate sul sito web del Ministero dell’Interno, si rileva una tale ricorrenza di entrate da concessioni edilizie iscritte nelle previsioni, ma poi in gran parte non accertate, che non solo risulta palese l’inosservanza dei due criteri richiamati, ma anche che essa non può essere casuale. Si direbbe, anzi, che il mancato accertamento della maggior parte delle entrate da concessioni edilizie sia una delle poche previsioni fondate.

In un prossimo articolo richiamerò le cifre che dimostrano e spiegano nel dettaglio quanto ho appena scritto; per il momento mi basta sottolineare che il richiamo delle cifre pubblicate nelle schede inviate dal Comune al Ministero dell’Interno ci consente di uscire dalle madeleines terragnicole e di cominciare a capire quali menzogne ci vengono ammannite a proposito del bilancio, e perché.

1) Con l’abolizione dell’I.C.I. sulla prima casa, il Comune non ha subito alcuno scippo (come sbraita un altro perennemente infinocchiato, Ti-che-te-tarchett-i-ball). Innanzitutto, l'abolizione dell'I.C.I. è stata solo l'ultimo passo di un cammino iniziato nel 2006 che, se non proprio a metà, era già arrivato almeno a due quinti dell'opera: il 40 per cento degli immobili individuati dalla Finanziaria 2008 approvata dal governo Prodi (cioè le «unità immobiliari adibite ad abitazione principale») era già uscito dall'obbligo del tributo per effetto della riduzione ordinaria (103,29 euro, che i Comuni avevano facoltà di innalzare fino a 200 euro) e dell’ulteriore detrazione dell'1,33 per mille dalla base imponibile prevista dall'allora ultima legge di bilancio. Il mancato introito causato dall’abolizione totale voluta dal governo Berlusconi è stato tempestivamente compensato dallo Stato. Tenendo conto che dai dati del bilancio consuntivo 2007 risulta che il Comune, per “accertamenti” e “riscossioni”, aveva iscritto rispettivamente 1.100.000 e 920.185 euro, lo Stato, come “Contributo compensativo minori introiti ICI prima abitazione”, ha già pagato nel 2008 più di quanto il Comune di Limbiate aveva riscosso nel 2007:

07-07-2008: 549.500,00 +
12-12-2008: 398.123,31 +
13-12-2008: 93.720,99 =
Totale: 1.041.344,30 > 920.185,00

Inoltre, questa cifra sarà elevata fino a 1.180.648,96 euro, sulla base dell’intesa siglata il 3 giugno 2009 nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni-Autonomie Locali.

Nella stessa conferenza è stata stabilita la spettanza per il 2009, che per il Comune di Limbiate è di 1.073.467,14 euro (nel Bilancio preventivo 2009 la cifra iscritta è 1.170.000 euro). Ebbene, lo Stato ha già pagato l’intera spettanza 2009:

15 giugno 2009: 549.500,00 euro
27 novembre 2009: 523.967,14 ”
Totale: 1.073.467,14


2 - L’I.C.I. sui fabbricati rurali non deve essere più pagata a partire dall’anno d’imposta 2007, ma i comuni non hanno perso nulla, perché i fabbricati rurali contribuiscono al reddito dominicale dei fondi, e quindi concorrono a formare l’I.C.I. dei terreni agricoli, e inoltre il Decreto-legge 23 novembre 2009, n. 168 ha stabilito che: “per l'anno 2009, fatti salvi eventuali conguagli, il Ministero dell'interno è autorizzato a corrispondere ad ogni singolo comune, a titolo di acconto, un contributo pari all'ottanta per cento della differenza tra l'importo certificato per l'anno 2007 e la corrispondente riduzione del contributo ordinario operata per il medesimo anno”. Infatti, il Comune ha già ricevuto l’”Acconto restituzione detrazione I.C.I. ex rurale (D.l 168/2009)”:

25 novembre 2009: 353.810,84 euro

Nota bene: il pagamento è stato effettuato il giorno prima che Marcel-Terragni, tacitamente assecondato dal sorrisino di Albertine-Cogliati, facesse l’ultima recita sui “mancati trasferimenti” dello Stato).

3) - L”Addizionale IRPEF” dal 2008 (anno d’imposta 2007) è ri-versata quasi immediatamente ai Comuni dopo il versamento dei contribuenti. La Finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) al comma 143 dell’unico articolo, ha disposto che a partire dall’anno d’imposta 2007 (versata a saldo alla metà del 2008) i versamenti delle addizionali comunali all’Irpef, dovute tanto dai contribuenti per imposte proprie, quanto dai sostituti d’imposta per i soggetti sostituiti, venissero effettuati direttamente ai comuni attraverso appositi codici tributo attribuiti a ciascun comune. Lo stesso articolo ha rinviato per le modalità operative al decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 5 ottobre 2007, pubblicato sulla G.U. n. 247 del 23 ottobre 2007. Il decreto ha stabilito che, dal 1° gennaio 2008, i contribuenti (per le imposte proprie) e i sostituti d'imposta privati sono tenuti a versare l'acconto e il saldo dell'addizionale tramite modello F24, evidenziando mediante il codice catastale - sulla base del domicilio fiscale dei contribuenti al 1° gennaio dell'anno cui si riferisce l'addizionale - quanto dovuto a ciascun Comune.

Cosa è cambiato rispetto al passato?

Fino all'anno d'imposta 2006 la ripartizione tra i Comuni delle somme versate a titolo di addizionale era effettuata dal ministero dell'Interno, come stabilito dal decreto legislativo 360/1998, sulla base di dati forniti dal ministero delle Finanze, risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e dei sostituti d'imposta. Il meccanismo era tanto lento che ai Comuni venivano accreditate in acconto delle somme solo successivamente sottoposte a conguaglio, con evidenti ritardi nella determinazione degli importi definitivamente spettanti.

Quindi, questa è la ragione vera del “ritardo” nel “trasferimento” dell’addizionale IRPEF 2007: è un “ritardo” che deriva dal meccanismo di calcolo delle spettanze del Comune previsto dalla legge. Tuttavia, per il 2007 le cose stanno così: nel bilancio preventivo 2007 erano stati iscritti 2.331.921 euro come “previsione”; nel consuntivo l’accertamento iscritto era 2.149.416 euro; per questo anno d’imposta, per il quale valgono le vecchie disposizioni del decreto legislativo 360/1998, le rate di acconto sono state le seguenti:

12 novembre 2007: per un imponibile di 358.236.040,00 euro: rata di acconto di 282.023,91 euro;
30 ottobre 2008: per un imponibile di 374.691.630 euro: rata di acconto di 112.937,54 euro.

Per il 2008 e il 2009: sul sito del Ministero dell’interno sono disponibili solo le cifre del Bilancio preventivo 2008 e 2009, e quindi troviamo la previsione di 2.331.921 euro di “addizionale IRPEF” 2008 e 2.447.277 per il 2009; non è disponibile la cifra del consuntivo 2008 (e, ovviamente, nemmeno quella del consuntivo 2009). Il comune, tuttavia, secondo il decreto del M.E.F del 5 ottobre 2007, dovrebbe aver già ricevuto direttamente l’addizionale IRPEF 2008 (già a novembre 2008 scadeva il termine per l’acconto, e il saldo a maggio 2009; l’addizionale IRPEF 2009 sarà ricevuta nel 2010). Perché il ragiunatt-Albertine, Dr. Giuseppe Cogliati, non rende pubblica la cifra che risulta già versata sul conto corrente postale del Comune?

4 – La “Restituzione costi della politica anno 2008 (art.2, c.32, legge 24 dicembre 2007 n. 244)” è già stata pagata. Dalle schede del Ministero dell’Interno risulta il seguente pagamento:

10 novembre 2009: 58.476,37 euro.

Anche in questo caso, il pagamento risulta effettuato prima dell’ultima recita dell’indignazione per i “mancati trasferimenti” dello Stato che Marcel-Terragni, confortato dal sorrisino ingannevole di Albertine-Cogliati, ha fatto nel Consiglio Comunale.

Come mai questa indignazione viene assecondata tanto prontamente non solo dal ragiunatt, ma anche dalla maggioranza di centro-destra e dallo stesso sindaco, fino al punto di accettare di inviare una vibrata protesta al governo nazionale? Per questa semplice ragione: il rallentamento del mercato edilizio, riducendo ulteriormente la quantità di oneri da concessioni edilizie che ogni anno vengono effettivamente accertati, mette allo scoperto la pratica, costante per almeno gli ultimi dieci anni, di iscrivere nelle previsioni grandi cifre, che poi in gran parte non sono accertate poiché sono lasciate nelle tasche dei palazzinari, i quali “compensano” gli oneri non versati con opere che costano la metà di quanto dichiarato nei computi metrici estimativi, che quasi sempre sono opere stradali, che quasi sempre sono inutili e quasi sempre sono sovradimensionate - ma che in ogni caso sono funzionali all’ulteriore valorizzazione delle loro palazzine. La causa principale dei mancati investimenti e della riduzione delle spese correnti sono questi mancati introiti, che ovviamente non possono figurare fra gli accertamenti, ma che assommati darebbero sicuramente diversi milioni di euro. Le opere, anche di semplice manutenzione, finora non realizzate sono innanzitutto il risultato di questo modo di gestire il bilancio. I pochi investimenti realizzati sono stati finanziati in gran parte con altre entrate.

La banda di affaristi che ha in mano il governo di Limbiate trova dei validissimi alleati in consiglieri come Terragni e come Archetti (che come il primo si beve avidamente le stesse frottole di Albertine, a cominciare da quella che la responsabilità di ciò che viene scritto nel bilancio è esclusivamente dei dirigenti politici del Comune!). Grazie a questi inetti la diffusione delle mistificazioni con le quali quella banda copre l’uso dell’amministrazione pubblica per fini privati non solo non è impedita, ma anzi è incrementata. L’inettitudine politica dell’uno e dell’altro (eletti con i voti di chi ha votato per la coalizione di centro-sinistra, fra i quali il sottoscritto) è evidenziata dalla loro totale dipendenza dalle interessate (dis)informazioni che (a loro richiesta!) gli vengono rifilate, anche nel Consiglio Comunale, oltre che dal ragiunatt-Albertine, da:

- un ex-droghiere che continua a vendere fette di salame anche facendo il Presidente del Consiglio Comunale, e che noi paghiamo con uno stipendio di più di 1.000 euro mensili;
- un segretario comunale condannato per tangenti e per danno all’immagine del Comune di Pieve Emanuele (le condanne ormai sono definitive);
- un sindaco che, appena eletto, pur di far fuori due dirigenti a lui sgraditi, ha provocato al Comune diverse centinaia di migliaia di euro di danni (i fatti sono stati accertati definitivamente dalla Corte di Cassazione; il Comune sta già pagando il risarcimento ai due licenziati).

Terragni e Archetti (e i loro sodali), lungi dal rappresentare chi li ha eletti, rappresentano solo la loro ignoranza, la loro mancanza di intelligenza politica e la loro incapacità di fare l’opposizione.

martedì 1 dicembre 2009

Il progetto governativo di riforma del processo penale: quali i fini?

di Giovanni Palombarini


Dormiva tranquillo, da mesi, nei cassetti del Ministero della giustizia. D’improvviso, grazie a due sentenze, quella del Tribunale di Milano sul "lodo Mondadori" e quella della Corte Costituzionale sul "lodo Alfano", qualcuno s'è ricordato della sua esistenza. Dopo che si è provveduto ad opera di esponenti della maggioranza e dei media amici a riversare su quei due giudici ogni genere di sospetti e ingiurie, si è sviluppato un pubblico dibattito, con toni inevitabilmente accesi, che ha accompagnato le proposte esplicitamente formulate, senza troppa attenzione ai principi costituzionali, per tirare fuori rapidamente dai guai giudiziari il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Più silenziosamente, accanto all'opera dei guastatori, qualcuno da quei cassetti ha rispolverato un progetto di riforma del processo penale... [per leggere l'articolo intero cliccare su

mercoledì 25 novembre 2009


martedì 24 novembre 2009





lunedì 23 novembre 2009

Le risorse idriche in Italia


Riccardo Petrella: le risorse idriche in Italia. Un'intervista video

Lunga intervista a Riccardo Petrella, fondatore del “Gruppo di Lisbona”, che da anni si batte per la difesa del diritto universale di accesso alle risorse idriche, realizzata per gli extra del DVD del film di Irena Salina Per amore dell’acqua. Flow (DVD + libro di 96 pagine, euro 14,9, acquistabile anche online: laFeltrinelli.it)

Inoltre: Leggi l'estratto da Le guerre dell'acqua di Vandana Shiva.

venerdì 20 novembre 2009

Campagna nazionale “Salva l'acqua” - Il governo privatizza l'acqua!


Comunicato stampa

Approvato l'Art. 15: acqua privata per tutti!
La battaglia non si ferma: andremo avanti nei territori e a livello nazionale

Oggi con il voto di fiducia alla Camera dei Deputati si è concluso l'esame del decreto 135/09 il cui Art. 15 sancisce la definitiva e totale privatizzazione dell'acqua potabile in Italia.

Il Governo impone per decreto che i cittadini e gli Enti Locali vengano espropriati di un diritto e di un bene comune com'è l'acqua per consegnarlo nelle mani dei privati e dei capitali finanziari. Ciò avviene sotto il falso pretesto di uniformare la gestione dei servizi pubblici locali alle richieste della Commissione Europa mentre non esiste nessun obbligo e le modifiche introdotte per sopprimere la gestione “in house” contrastano con i principi della giurisprudenza europea. Nonostante sia oramai sotto gli occhi di tutti che le gestioni del servizio idrico affidate in questi ultimi anni a soggetti privati, sperimentate in alcune Provincie Italiane o a livello europeo abbiano prodotto esclusivamente innalzamento delle tariffe, diminuzione degli investimenti e un aumento costante dei consumi, si continua a sostenere che mercato e privati siano sinonimi di efficienza e riduzioni dei costi.

Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua è sceso da subito in campo per contrastare questo provvedimento con la campagna nazionale "Salva l'Acqua" verso la quale si è registrata un'elevatissima adesione.

Ad oggi abbiamo consegnato al Presidente della Camera 45.000 firme a sostegno dell'appello che chiedeva il ritiro delle norme che privatizzano l'acqua.

Inoltre, migliaia di persone hanno manifestato il proprio dissenso e contrarietà all'Art.15 in un presidio svoltosi lo scorso 12 Novembre a Piazza Montecitorio e in varie mobilitazioni territoriali, migliaia di persone hanno inviato mail ai parlamentari per chiedere di non convertire in legge il decreto 135/09, molte personalità hanno espresso da una parte la loro indignazione e dall'altra il loro sostegno alla campagna.

In questi giorni è cresciuta nella società la consapevolezza che consegnare l'acqua al mercato significa mettere a rischio la democrazia. Nonostante questa mobilitazione della società civile e degli stessi Enti locali, il Governo ha imposto il voto di fiducia e non accoglie le richieste e le preoccupazioni espresse anche molti Sindaci di amministrazioni governate da maggioranze di differenti colori politici.

Come Forum dei Movimenti per l'Acqua siamo indignati per la superficialità con cui il Governo, senza che esistessero i presupposti di urgenza, ha voluto accelerare la privatizzazione dell’acqua.

A questo punto siamo convinti che la contestazione dovrà essere ricondotta nei territori, per chiedere agli Enti Locali che si riapproprino della podestà sulla gestione dell'acqua tramite il riconoscimento dell'acqua come diritto umano e il servizio idrico integrato come servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e nel contempo di sollecitare le Regioni ad attivare ricorsi di legittimità nei confronti del provvedimento.

Queste percorsi di mobilitazione sono percorribili così come dimostrano le delibere approvate dalla Giunta regionale pugliese, dalle tante delibere approvate dai consigli comunali siciliani e nel resto d'Italia, da ultimo quello di Venezia.

Il popolo dell'acqua continuerà la battaglia per la ripubblicizzazione del servizio idrico assumendo iniziative territoriali e nazionali volte a superare l'Art. 15 del decreto legge.

Come Forum dei Movimenti, chiediamo a tutta la società civile di continuare la mobilitazione e far sentire il proprio dissenso anche dopo l’approvazione dell’art. 15 attraverso mobilitazioni sui territori ed invio di messaggi a tutti i partiti, ai consiglieri comunali provinciali e regionali, ai parlamentari locali.

Ai Sindaci ed agli eletti chiediamo di dar vita nelle rispettive istituzioni a prese di posizioni chiare che respingano la legge e di dar vita a iniziative di protesta nelle istituzioni stesse.

Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua.


È possibile firmare la petizione online cliccando qui: http://www.petizionionline.it/petizione/campagna-nazionale-salva-lacqua-il-governo-privatizza-l-acqua-/133

domenica 15 novembre 2009

Rinviato a giudizio per reati ambientali e falsità ideologica in atto pubblico. Ma il Comune modifica il territorio ad uso e consumo della sua società


Parte I

Ilario Galimberti, proprietario di un gruppo commerciale con un fatturato annuo di oltre 250 milioni di euro e 500 dipendenti, presente sul territorio di Limbiate con una grande superficie di vendita (EURONICS) e con il suo quartier generale, il 29 ottobre 2009, alla fine dell’Udienza Preliminare di un procedimento per reati ambientali, è stato rinviato a giudizio avanti il Tribunale di Milano, Sezione X Penale, per il giorno 4 febbraio 2010. I reati di cui dovrà rispondere, in qualità di legale rappresentante e gestore di fatto della ditta Galimberti S.p.a. (che controlla EURONICS), sono i seguenti:

a) aver gestito rilevanti quantità di rifiuti speciali pericolosi senza autorizzazione, in particolare parecchie centinaia di elettrodomestici usati (frigoriferi, lavatrici e televisori) e non bonificati al mese, che poi conferiva a soggetti non autorizzati, compresi fra i 12 per i quali era stato chiesto il rinvio a giudizio (reato di cui all’art. 51 comma 2 del D.L.vo 22/97, ora art. 256 comma 2 del D.L.vo 152/2006)[1]

b) aver omesso di compilare il formulario relativamente allo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi, rifiuti che invece gestiva tutti come non pericolosi con un unico cod. CER 1602004 (reato di cui all’art. 52 comma 3 del D.L.vo 22/97, ora art. 258 comma 4 del D.L.vo 152/2006[2], in relazione alla violazione dell’art. 483 del Codice Penale[3]).

L’udienza preliminare, cominciata il 27 ottobre 2008, ha avuto vari aggiornamenti, nel corso dei quali alcuni degli imputati hanno patteggiato la pena. I reati di cui è accusato Galimberti sarebbero stati commessi in Limbiate fino al 2 febbraio 2006 (teniamo a mente questa data), e per questo motivo il Comune di Limbiate è stato indicato fra le “persone offese” (le altre sono: il Ministero dell’Ambiente, la Regione Lombardia, la Provincia di Milano, il Comune di Milano, il Comune di Novate Milanese).

La Giunta Comunale di Limbiate, tuttavia, l’1/10/2008 ha deliberato di “non proporre (…) azione d’intervento [del Comune] quale parte lesa”, con la seguente “motivazione” che mistifica totalmente (cioè falsifica) la richiesta di rinvio a giudizio del P.M.:

“in quanto anche nel caso dell’eventuale accertamento di un danno ambientale lo stesso non potrebbe essere territorialmente collocato in Limbiate ma in ambito più esteso di più stretta competenza delle altre parti lese” (click here)

La frase riportata afferma che sarebbe scarsamente probabile l’accertamento del danno ambientale e cerca di suggerire del tutto abusivamente che sono stati commessi reati in un ambito non meglio precisato che comprende anche Limbiate, ma soprattutto altrove, per escludere categoricamente che il danno possa essere collocato in Limbiate. Ma la realtà è diversa: a Galimberti e ad altre ben individuate persone sono state ascritte specifiche responsabilità per specifici reati che sarebbero stati commessi in Limbiate. Gli stessi, o analoghi, reati sarebbero stati commessi anche altrove da altre persone, ma senza che fossero in rapporto di continuità territoriale e/o temporale con quelli commessi in Limbiate. In altri termini: anche altri soggetti sono stati accusati di aver gestito altrove rilevanti quantità di rifiuti speciali pericolosi senza autorizzazione, di averli conferiti ad altri soggetti non autorizzati, i quali anch’essi avrebbero omesso di compilare il formulario relativamente allo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi, in relazione alla violazione dell’art. 483 del Codice Penale, e li avrebbero conferiti allo stesso impianto dello stesso soggetto al quale venivano conferiti i rifiuti gestiti da Galimberti. Per questo motivo Galimberti e tutti gli altri sono inclusi nel medesimo procedimento. Ne consegue che, se per i reati commessi altrove dovesse essere riconosciuto un danno ambientale ad altri enti, esso dovrebbe essere riconosciuto anche al Comune di Limbiate, sul territorio del quale sarebbero stati commessi reati qualificabili nello stesso modo.

E quindi, quella “motivazione” manifestamente non è una vera argomentazione. La forma di una specie di responso oracolare con il quale la Giunta, confortata dal parere del Dirigente Affari Generali e Servizi alla Cittadinanza, l’autorevolissimo Avv. Micaela Curcio, avrebbe scritto in anticipo una sentenza, come se sapesse già quale sarà lo svolgimento e la conclusione del procedimento, nasconde qualcosa di assai più grave. La preoccupazione che con essa si è cercato di accreditare subliminalmente, quella di evitare al Comune un esborso inutile, non ha alcuna nobiltà. L'unica e vera preoccupazione della Giunta Comunale è stata quella di non mettersi contro qualcuno che personaggi con la struttura ossea e morale, e con lo "stile" e i precedenti amministrativi dei Romeo, Mestrone, ecc., non sono in grado di contrastare.

La decisione di non costituirsi come parte civile (con quella “motivazione”!), che ho segnalato già un anno fa (v. Una costituzione di parte civile inventata), è stata presa da una Giunta Comunale che ogni anno decide di spendere decine e decine, forse centinaia di migliaia di euro del bilancio comunale per impegnarsi in un’infinità di cause, anche in quelle nelle quali sa già che perderà. Al Comune (cioè a noi) è capitato di essere condannato a pagare anche risarcimenti di molte centinaia di migliaia di euro, solo perché un personaggio come Romeo formalmente può decidere di pagarsi con i soldi pubblici il lusso di fare il gradasso. Molti di questi contenziosi potrebbero essere evitati se, innanzitutto, l’istruzione di certi atti non fosse affidata a “funzionari”, “dirigenti” e/o “consulenti” che frequentemente dimostrano una perizia inversamente proporzionale alla quantità della loro boria; e se, in generale, la Giunta governasse con una maggiore probità amministrativa, della cui penuria si avrebbe il diritto di sospettare anche considerando solo l’enorme numero di liti nelle quali il Comune è costantemente impelagato. Un esempio (ma ve ne sarebbero molti): la Giunta, poco prima di decidere di non costituirsi parte civile in un procedimento contro il padrone di un medio impero commerciale, aveva deliberato di costituirsi quale parte lesa (e quindi di nominare un difensore, con una spesa di alcune migliaia di euro) per il recupero di danni patrimoniali che ammontavano a 837 euro (click here). Questa somma (che, beninteso, era giusto recuperare, attribuendo al recupero anche una funzione “pedagogica”) era stata quantificata su istanza del legale dei responsabili dei danni (alcuni ragazzini che avevano danneggiato una panchina e una pattumiera), ed era quindi un credito facilmente dimostrabile che si poteva recuperare con un semplice decreto ingiuntivo, la cui pratica sarebbe costata molto meno del patrocinio in giudizio. La decisione di procedere in questo modo non solo avrebbe giustificato validamente la non costituzione nel giudizio, ma avrebbe anche alleviato l’onere di questo ai genitori dei teppistelli (tutte brave persone di modeste condizioni economiche).

Potrebbe sembrare che la Giunta Comunale abbia deliberato di non costituirsi senza aver preso visione degli atti delle indagini sui reati ambientali, ma in realtà Romeo, Mestrone & C. sapevano benissimo chi c’era fra gli accusati, ed hanno sminuito coscientemente le conclusioni del Pubblico Ministero, fino a farle passare come irrilevanti per Limbiate. Si trattava invece di accuse basate sui risultati di indagini lunghe e meticolose fatte da numerosi agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria. Il magistrato ha indicato il Comune fra le “persone offese” sulla base delle numerose prove documentali e testimoniali raccolte nel corso di queste indagini, che dimostrerebbero che i presunti reati di cui è accusato Galimberti e altri compresi fra gli imputati del procedimento sono stati commessi ripetutamente sul territorio di Limbiate. La reale consistenza dei fatti addebitati ai vari imputati, fra i quali Galimberti, in realtà è stata valutata dalla Giunta tanto attentamente… da decidere di considerarli irrilevanti.

Potrebbe accadere, dunque, che per i reati ambientali che sarebbero stati commessi in Limbiate siano condannate le persone che ne sono imputate, fra le quali Ilario Galimberti, e che il danno ambientale sia accertato, ma non riconosciuto al Comune di Limbiate, che non essendosi costituito parte civile non potrebbe chiedere alcun risarcimento. A questo bel risultato si arriverebbe grazie a Romeo, Mestrone & C. che, fra le tante (allegre) spese legali, ne decidono anche una di alcune migliaia di euro per ottenere che alcuni ragazzini teppistelli indennizzino il Comune dei danni ad una panchina ed ad una pattumiera, ma non decidono di fare i passi necessari affinché sia riconosciuto al Comune, eventualmente, un danno ambientale protrattosi sul suo territorio per molto tempo, e che per la collettività ha un valore morale, oltre che economico, di gran lunga superiore a quello di una panchina e di una pattumiera. I cittadini (fra i quali la mia famiglia) che hanno acquistato elettrodomestici da Ilario Galimberti, e gli hanno conferito quelli vecchi per lo smaltimento, hanno pagato un prezzo aggiuntivo, e lo hanno fatto convinti di affidare quei rifiuti pericolosi non all’ultimo rottamatt brianseu abusivo, ma ad un imprenditore specializzato in grado di mobilitare il know how, l'organizzazione e la tecnologia necessari per evitare all’ambiente i danni di uno smaltimento fai-da-te…

(Ma forse, per arrivare a 250 milioni di euro di fatturato, anche un medio impero commerciale deve turlupinare i cittadini-clienti e danneggiare l'ambiente!).

(segue)



NOTE

[1] Art. 256 Attività di gestione di rifiuti non autorizzata
1. Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:
a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2.

[2] Art. 258 Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari
4. Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all'articolo 193 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all'art. 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto.

[3] Art. 483 Falsita' ideologica commessa dal privato in atto pubblico
Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto e' destinato a provare la verita', e' punito con la reclusione fino a due anni. (…)



sabato 14 novembre 2009

Il blog di Qumran? (con una segnalazione teatrale)


Poiché giunge dopo un tempo quasi biblico, segnalo che gk ha lasciato un commento sul post "Ogni volta che la leggo mi commuovo di più". Avanti di questo passo, e potrò dire che il mio blog è candidato a diventare, nell'ambito dei blog, qualcosa di analogo alle grotte di Qumran!

Ma, prendendo in prestito il fluente eloquio del più alfabetizzato dei consiglieri comunali di Limbiate (nonché esilaratissimo consigliere di quell'aberrazione istituzionale che è la Provincia di Monza e della Brianza), "a parte i scherzi": mi piace segnalare il progetto di allestimento teatrale di gk: http://www.umteatro.it/progetti/creativi-per-rosa-luxemburgcreativi-per-rosa-luxemburg.html, e se qualcuno si mette a fare connessioni abusive con l'inaugurazione, in questi giorni, del Teatro del Tecoppa (sub-aspromontano), come diceva Amedeo Nazzari in un film: "peste lô côlga!


lunedì 9 novembre 2009

Saldare il conto, please. (Una sentenza sulle monetizzazioni degli standard urbanistici di "Milano Citylife" che non fa dormire Romeo, Mestrone & C.)


Il T.A.R. di Milano non ha ancora pubblicato le motivazioni della sentenza, ma solo il dispositivo, che tuttavia è di un tenore da non lasciar spazio a dubbi [click here]: le monetizzazioni degli standard urbanistici del mega P.I.I. “Milano Citylife” sull’area Portello-Fiera (quello dei grattacieli storti che anche Berlusconi ha raccomandato di raddrizzare) devono essere pagate come dice l’art. 46 della l.r. 12/2005:

la convenzione [per l’attuazione del P.I.I.; ndr] può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione [delle aree; ndr], che all'atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all'utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree.

I costruttori (Generali, Allianz, Ligresti e la famiglia romana Toti), che dopo l’approvazione del progetto, nel 2005, se l’erano cavata con la modica cifra di 4 milioni di euro, e che solo dopo la variante del 2008 ne avevano pagati altri 39, molto probabilmente dovranno sborsare al Comune di Milano altri 120 milioni di euro.

Questa sarebbe la conseguenza più che probabile della sentenza del T.A.R. di Milano che ha accolto uno dei ricorsi presentati dall’Associazione "Vivi e progetta un’altra Milano", limitatamente alla parte “attinente la monetizzazione degli standard urbanistici”, nella quale i ricorrenti sostenevano appunto che la monetizzazione degli standard deve essere calcolata come prescrive il citato articolo della legge urbanistica lombarda. Va sottolineato che il T.A.R. ha ribadito il dettato della legge e non si è fatto sviare dalla valutazione dell’area che il Comune di Milano aveva commissionato all’Agenzia del territorio al momento della variante (poiché dopo la prima approvazione del P.I.I. i ricorrenti avevano già puntato il dito sull’entità irrisoria delle monetizzazioni). I giudici amministrativi hanno ritenuto che anche questa valutazione non era “commisurata all'utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione”, e comunque era “inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree”. Che proprio questo poi si ritroverà argomentato nelle motivazioni della sentenza sembra essere condiviso, nella sostanza, anche da Carlo Masseroli, assessore all’urbanistica del Comune di Milano, il quale ostenta non solo soddisfazione perché la sentenza “consente il proseguimento del progetto”, ma anche “contentezza” perché la sentenza farà arrivare molti milioni nella cassa comunale! Ovviamente cerca di oscurare, in questo modo, il regalo ultramilionario che il Comune di Milano aveva ripetutamente tentato di fare a Ligresti & C. (Ma altri due esposti sono all’esame della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano).

Tuttavia, il P.I.I. “Milano Citylife”, pur uscito dall’esame del T.A.R. sostanzialmente indenne per quanto riguarda gli aspetti urbanistici fondamentali, potrebbe essere affossato dalla moltiplicazione per quattro della somma delle monetizzazioni, poiché, mentre siamo ancora nel pieno di una crisi economica che potrebbe durare ancora a lungo, sembra che i costruttori abbiano grandi difficoltà a trovare i 2,1 miliardi di euro per finanziare il progetto. L’aggiunta di 120 milioni di monetizzazioni, che dovrebbero essere pagati immediatamente, aggraverà ancor più queste difficoltà. [click here]

Ma di difficoltà ve ne sono altre. Sembra ovvio prevedere che per i pubblici ministeri della Procura del Tribunale di Milano che stanno approfondendo la conoscenza della questione delle monetizzazioni (e che hanno già ascoltato i cittadini), la sentenza dei giudici amministrativi inevitabilmente farà giurisprudenza, tanto più autorevole in quanto prodotta dalla magistratura speciale amministrativa. I giudici ordinari presumibilmente cercheranno piuttosto di acquisire elementi per capire attraverso quali procedure extra-amministrative, e con il concorso di chi, è stato determinato un valore delle aree da monetizzare enormemente più basso di quello di mercato (400 euro invece di 2000!), sia al momento dell’approvazione del P.I.I., sia al momento della variante, e chi (oltre ai costruttori, ovviamente) ne ha tratto vantaggio, poiché operazioni tanto rischiose certo non vengono fatte gratis.

Un analogo approfondimento certamente sarà fatto (ma probabilmente viene già fatto) dai magistrati che si occupano dei fatti e delle “procedure”, appunto del tutto analoghe, che io ho cercato di delucidare e documentare con i miei esposti sui vari P.I.I. e piani di lottizzazione di Limbiate. La dimensione di questi “affari” ovviamente è proporzionata alla piccola dimensione del Comune di Limbiate, tuttavia anche qui abbiamo degli standard urbanistici monetizzati in misura irrisoria, tanto da far mancare alla cassa comunale l’introito di diversi milioni di euro. Ma vi sono anche alcune peculiarità locali: oneri di urbanizzazione (ed anche il contributo sul costo di costruzione) “scomputati” abusivamente; prezzi di materiali e lavori che dovevano essere scontati prima dello "scomputo", ma che sono stati invece scomputati interamente; un’area né ceduta né monetizzata, ma letteralmente fatta sparire con una specie di gioco delle tre carte; un’area che la Provincia di Milano avrebbe dovuto vendere al Comune per quattro soldi affinché vi facesse un parcheggio pubblico, ma che il Comune vorrebbe “girare” per quattro soldi ad un’impresa privata; l’esproprio di alcuni terreni per opere di urbanizzazione primaria che dovrebbe essere accollato all’”operatore privato” (eufemismo per “speculatore”), ma che invece si vorrebbe pagare con soldi pubblici; infine, un’area di proprietà pubblica che è stata venduta per meno della metà del valore di mercato.

La svendita dell’area pubblica ad uno speculatore (pardon: a un “operatore privato”) non è certo il danno maggiore alla cassa pubblica, ma è esemplificativa delle procedure amministrative (se si possono chiamare così) con le quali vengono preparate e portate avanti operazioni speculative come quelle dei P.I.I. Per esempio, per dimostrare che il valore di un terreno pubblico sarebbe meno della metà del valore di mercato, l’esimio architetto Franco Zinna, che era capo, fra l’altro, anche di un Ufficio Espropri del Comune che egli ha sempre tenuto in clandestinità, non si è rivolto all’Agenzia del Territorio (come ha fatto il Comune di Milano, tuttavia senza riuscire ad abbindolare il T.A.R.), ma ha preferito pagare, per l’ennesima volta e con i nostri soldi, una fanciulla con il suo stesso titolo affinché periziasse (si fa per dire) i terreni compresi in un modo o nell’altro nel P.I.I. di Via M.te Sabotino. Costei, grazie agli incarichi ricevuti dal sunnominato esimio architetto, in quattro-cinque anni ha incassato dal Comune circa 200 milioni di euro [Recte: 200 mila euro!]* per compiti da "specialista della materia” (fra i quali il ri-disegno dei vialetti di giardini pubblici che sono stati rifatti lì dov’erano e con le stesse dimensioni di prima!). Nella perizia, tuttavia, la fanciulla ha dimostrato di essere così finemente specializzata da riuscire anche a sbagliare qualsiasi calcolo aritmetico. E se quella perizia doveva fungere da giustificazione autorevole dell’operazione-svendita, un’altra, che era stata preparata seguendo procedure ormai dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale, doveva fungere (anche) da giustificazione della monetizzazione irrisoria degli standard.

Ma a volte il destino è cinico e baro. Entrambe le perizie, che erano già state adottate, ovviamente senza alcun controllo (nemmeno da parte degli inetti dell'opposizione!), sono finite sotto gli occhi di un essere malvagio come il sottoscritto, e quindi il babbo della "specialista della materia" è stato costretto a venire due volte ad esibire patetiche giustificazioni dell’operato suo e della figlia. In entrambe le occasioni, i farfugliamenti sempre più avviluppati del "perito" tradivano uno stato d’animo che in quelle settimane non doveva essere propriamente olimpico; tuttavia egli è riuscito sia a dire che gli errori di calcolo erano dovuti ad una svista, sia a scivolare nel grottesco proponendo una correzione che a sua volta conteneva un errore di calcolo, sia a smentire se stesso e la sua figliola esibendo un’altra perizia, nella quale il valore del terreno questa volta era molto vicino al prezzo di mercato, sia, infine, ad inventarsi (spalleggiato da un avvocato/assessore davvero valente) un’innovativa giurisprudenza secondo la quale quando la Corte Costituzionale sentenzia che una norma è illegittima, si continua a seguirla finché non viene sostituita da una nuova norma!

Non contento di tutto ciò, il babbo si è spinto oltre, e dopo qualche mese di chissà quali e quante ambasce paterne e filiali, è andato ancora una volta da solo (lui che non aveva ricevuto l’incarico della perizia!) a giurare in Tribunale sulla veridicità di tutte le perizie sue e della figlia. Ma, (talis pater…) nel confezionare un paio di fascicoli di documenti, il babbo ha talmente pasticciato che anche un bambino capirebbe agevolmente lo scopo vero di un atto tanto maldestro, ma non per questo meno grave: impressionare quello che costui considera il vulgo dei cittadini con un "giuramento", al fine di scoraggiare chi si fosse fatto venire l'uzzolo di andare a mettere sotto gli occhi di un sostituto procuratore le copie dei suoi scartafacci. Infatti, esibendo due perizie in contrasto fra loro, più un’altra elaborata con una procedura già dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, costui ha tranquillamente (?) giurato “di aver bene e fedelmente proceduto alle operazioni e di non aver altro scopo di quello di far conoscere la verità”! Ma io, che com'è noto sono un essere insensibile, non mi sono fatto impressionare. Vedremo quale è stato l’effetto che le perizie hanno fatto sui magistrati della Procura del Tribunale e della Corte dei Conti.

Con perizie fornite da consulenti di questo tipo si è preteso di giustificare sia la svendita del terreno comunale, sia la monetizzazione delle aree standard, e mentre il valore/mq dell’area comunale è stato abbassato a meno della metà, il valore delle aree da monetizzare è stato ulteriormente abbassato fino ad un quarto del prezzo di mercato! Che i magistrati vi dedichino il massimo dell’attenzione (e non vedo come ciò potrebbe non accadere), sembra solo ovvio, come sembra ovvio che su quanto emerge dall’esame delle perizie, delle convenzioni e dei fatti che ho abbondantemente esposto e documentato si riverberi anche la recente giurisprudenza del T.A.R. sul P.I.I. “Milano Citylife”.

Si può quindi ritenere plausibilmente che, dopo la sentenza sulle monetizzazioni di “Milano Citylife”, siano aumentate le probabilità di un deciso intervento della magistratura penale, che potrebbe innanzitutto sindacare la legittimità degli atti di molte persone che, ricoprendo ruoli diversi, nelle fasi di elaborazione e di approvazione dei P.I.I. di Limbiate si sono prodigate (spesso con abilità da autentici... peracottari) per assicurare regali milionari ad alcuni palazzinari, e poi disapplicare questi atti qualora li ritenesse illegittimi, salva restando la competenza del Giudice Amministrativo per la loro eventuale rimozione.

Ma, oltre alle difficoltà (chiamiamole così) che potrebbero essere create dalla magistratura penale e che riguarderebbero diverse persone, l’obbligo di monetizzare gli standard sulla base del valore di mercato delle aree potrebbe far diventare l’affare P.I.I. non più tanto appetibile (come nel caso di "Milano Citylife" e pur facendo le debite proporzioni). E pertanto potrebbe avvenire che i P.I.I. non fossero annullati dalla giustizia amministrativa, ma che, riaffermato l’obbligo di monetizzare gli standard come dice la l.r. 12/2005, si rivelassero non più tanto profittevoli e quindi nei fatti inattuabili.

A giusto titolo, quindi, Romeo, Mestrone & C. non riescono a dormire.


* (15/11/2009) Fino ad oggi il post è stato letto da molte decine di persone, alcune delle quali mi hanno anche telefonato per commentarlo, ma nessuno mi ha segnalato il ciclopico lapsus, del quale mi sono accorto per puro caso da solo. In quel contesto, il Maligno deve averci messo la coda, perché 200 milioni di euro è tutto il bilancio del Comune per diversi anni! Per il lapsus (del resto evidente) mi scuso con gli interessati, ma quello che ritengo di dover dire sul loro operato (e che del resto dico da tempo) non cambia e non cambierà, in nessuna sede.

domenica 8 novembre 2009

Cala, Trinchetto, e occhio alla corvetta della Capitaneria!


Da un fogliaccio locale, il 6 novembre 2009 abbiamo appreso che Antonio Romeo, pro tempore sindaco di Limbiate, parlando della sala che faticosamente sta sorgendo in quel di Pinzano, ha detto:

“Sarà il comune a gestire un così importante teatro, il più bello di Milano dopo gli Arcimboldi, a mio parere, perché è il Comune che investe nella cultura e crede in quello che fa”

“Non prenderò in considerazione quelle associazioni che ci hanno già pubblicamente criticato rivendicando uno spazio, loro non lo avranno”.

Una volta, uno dei più grandi pensatori del Novecento, l’operaio metalmeccanico Cipputi, ammise: “A volte ho delle idee che non condivido”. Anch’io (si parva licet componere magnis) a volte ho delle idee che non condivido e, dopo aver letto la prima frase, ho pensato che forse sarebbe l’ora di unirmi a quelli che chiedono l'abrogazione della legge Basaglia. Ma per fortuna subito dopo mi è tornato il ricordo di un Carosello di 45 anni fa:




Sulla seconda frase, c’è poco da dire: Tecoppa, anche se veste i panni di Capitan Trinchetto (siamo sempre nel teatro), conserva l’animo del capomanipolo.


http://www.teatroarcimboldi.it/gallery.php


(9 novembre 2009) A grande richiesta, ecco un'immagine immaginaria, diffusa da chi crede di esserne il proprietario, del nuovo Teatro di Tecoppa (che non è stato ancora completato, e quindi nemmeno fotografato): click here

lunedì 2 novembre 2009

Le menzogne spudorate di un altro magliaro, pro tempore assessore aiazzonico alla pianificazione della distruzione del territorio


L’assessore aiazzonico [1] è riemerso alla luce, ma sempre agghindato come un necroforo, ed ha affidato al peggiore dei giornali-pattumiera locali la diffusione di una serie di menzogne incredibilmente spudorate, seguite da farneticamenti, megalomanie, wishful thinking. Sul “Giornale di Desio” del 27 ottobre questo tristo figuro ha fatto stampare:

1) in otto anni sono stati proposti solo quattro Programmi Integrati d’Intervento.

Prima menzogna spudorata. L’assessore aiazzonico vorrebbe maldestramente incartare i P.I.I. in una bella confezione, oppure indorare una pillola che a lui fra i primi potrebbe andare di traverso (e forse già gli è andata di traverso). Il tentativo di dimostrare che, suvvia, i P.I.I. sono stati pochi potrebbe anche risultare esilarante, ma, appunto, l’assessore aiazzonico mistifica (cioè dice il falso) spudoratamente. I quattro Programmi Integrati d’Intervento sono stati approvati non in otto ma in circa quattro anni. Dopo gli ultimi due approvati alla fine del 2007, non ne sono stati proposti altri semplicemente perché… la fifa ha fatto e continua a fare novanta. È noto che sui Programmi Integrati d’Intervento il sottoscritto ha presentato alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti alcuni esposti analitici e abbondantemente documentati che non sono stati archiviati. La quantità e il tipo di guai che ne potrebbero derivare per i molti che hanno congegnato i P.I.I., soprattutto fuori dall’amministrazione comunale, ovviamente sono ben ponderati da costoro.

Gli interessi delle imprese, dei professionisti che lavorano per loro, dei politici di rango superiore a quello paesano (con i quali in realtà si concordano e si programmano trasversalmente certe operazioni) coincidono solo parzialmente con quelli di alcuni spiantati che sono riusciti ad occupare alcune postazioni strategiche del mercato politico-economico locale. Questi, privi non solo del savoir-faire, ma anche dei numeri minimi per aspirare ad una seppur piccola carriera da “politico”, vivono perennemente corrosi dall’ansia di sfruttare per tempo le posizioni che (come sanno bene) occupano solo provvisoriamente. Poter decidere (diciamo così), finché si è in tempo, sulle porzioni possibilmente più grandi delle rendite create dall’amministrazione pubblica, per costoro è una necessità immediatamente vitale. Quegli altri, invece, hanno risorse (di ogni genere) ben più grandi, ed interessi economici e “politici” che pur essendo della medesima natura sono assai più consistenti e tendono necessariamente ad essere duraturi. Inoltre, a differenza dell’assessore aiazzonico, che ogni tanto tenta di assumere le pose e il farfugliare di quello che lui crede che sia il “politico pensante” , quelli sono in grado di “pensare” davvero.

E dunque, visto come si sono messe le cose dopo l’approvazione degli ultimi P.I.I. alla fine del 2007, chi “pensa” ha caldamente “consigliato” (anche all’assessore aiazzonico) di mettere da parte i Programmi Integrati d’Intervento, almeno per il momento. Ve n’erano, infatti, molti altri da lanciare (si chiamassero o no Programmi Integrati d’Intervento: questa, infatti, è solo un’etichetta sotto la quale si fanno passare operazioni di tutt’altra natura). L’assessore aiazzonico era convinto di poterne approvare altri prima delle elezioni amministrative del 2011, ma già agli inizi del 2008 l’aria che tirava per queste operazioni non era propriamente saluberrima. Lui proprio non voleva, ma alla fine qualcuno gliel’ha fatto capire per forza: per il momento, niente fretta e profilo basso. E mettesse da parte, anche, la pretesa di candidarsi ad alcunché.

2) ancora nessun mattone su via Sabotino, dove pende una sospensiva del Consiglio di Stato e sul P.I.I. di via Belluno, dove alla firma della convenzione ha visto seguire un ricorso al Presidente della Repubblica.

Seconda menzogna spudorata. “Su via Sabotino” non “pende” nessuna sospensiva. Il ricorso al T.A.R., fino al momento della sentenza, di per sé non poteva provocare alcuna sospensione. Adesso, nulla e nessuno potrebbe impedire di cominciare i lavori, poiché il Consiglio di Stato ha sospeso l’esecuzione della sentenza (con la quale il T.A.R Lombardia aveva annullato la delibera di approvazione del P.I.I.) con la motivazione che dall’esecuzione della sentenza (= impossibilità di cominciare i lavori) potrebbe “derivare un danno grave e irreparabile” per il Comune e per l’operatore privato. Dunque, questi potrebbe cominciare a costruire. Certo, ci sarebbe qualche rischio… che evidentemente nessuno vuole correre, almeno per il momento, tanto più che nella “Convenzione” firmata il 10 giugno 2008 i termini per iniziare i lavori sono stati stabiliti nel modo seguente (art. 13, comma 1):

“Gli interventi previsti dal programma e dalla presente convenzione dovranno avere inizio entro un anno dal rilascio del primo permesso di costruire, denuncia di inizio di attività ovvero altro idoneo titolo abilitativo, che dovrà essere richiesto entro sei mesi dalla data odierna …” (qui, come negli altri passi riportati, i corsivi sono miei; ndr).

Quindi, il termine per l’inizio dei lavori (anche per le opere pubbliche) sarebbe il 10 dicembre 2009. E si comincia già a vedere che è una menzogna anche quello che l'assessore aiazzonico vorrebbe sostenere più avanti, e cioè che i ricorsi e gli esposti, impedendo l’inizio dei lavori, avrebbero provocato un danno al Comune!

Per quanto riguarda il P.I.I. di via Belluno, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato quasi un anno prima della firma della “Convenzione”, non ha alcun effetto sospensivo. La stipula del contratto è stata tirata per le lunghe (per 15 mesi!) per la paura che il ricorso al T.A.R. contro il P.I.I. di via Sabotino, e soprattutto l’esposto alla Procura della Repubblica (la quale istruisce procedimenti penali), hanno ingenerato sia nell’operatore privato sia nella giunta comunale. Gli uni e gli altri sanno bene, infatti, che gli stessi aspetti illegittimi caraterizzano entrambi i P.I.I., e allora hanno inscenato la seguente pantomima (resa possibile dalla legge): innanzitutto, anche se sarebbe stato obbligatorio firmare la convenzione entro un anno dall’approvazione del P.I.I., vale a dire entro il 20 dicembre 2008, volutamente ciò non è stato fatto. Quindi, formalmente seguendo la legge, ma in realtà seguendo un copione concordato, il sindaco ha “diffidato” l’operatore privato a firmare la convenzione entro i successivi 90 giorni. La pantomima serviva per prendere tempo, infatti la convenzione è stata firmata solo allo scadere del novantesimo giorno, il 20 marzo 2009. In mancanza della firma, il 21 marzo il P.I.I. sarebbe decaduto.

3) “ritardando la partenza di questi due ultimi interventi – ha spiegato l’assessore – abbiamo avuto un danno economico perché non entrando oneri non abbiamo potuto fare le opere pubbliche di cui avrebbe beneficiato la collettività”

Terza, e triplice, menzogna spudorata. Primo: con la convenzione per Via M.te Sabotino è stato stabilito che per gli oneri di urbanizzazione non doveva essere pagato nemmeno un centesimo, poiché sia gli OO.UU. primaria sia gli OO.UU. secondaria sarebbero stati compensati con opere costruite dai privati; per lo stesso motivo, con la convenzione per Via Belluno è stato stabilito che non dovevano essere pagati gli OO.UU. primaria. (Le opere da costruire come compensazione, in realtà, come dimostrano i progetti allegati ai P.I.I., sono quasi esclusivamente lavori di pacchiano restyling di opere già esistenti e in ottimo stato).

Secondo: con la firma delle convenzioni il Comune ha incassato totalmente quanto era previsto che incassasse. Per Via M.te Sabotino il Comune ha incassato le cifre seguenti (art. 18 della convenzione):

- cessione area e diritti volumetrici: € 384.839,10;
- monetizzazione aree per urbanizzazione secondaria: € 15.808,00;
- monetizzazione standard di qualità: € 467.961,75.
Totale incassato per Via M.te Sabotino: € 868.608,85.

Per Via Belluno il Comune ha incassato la cifra seguente (art. 9 della convenzione):

- monetizzazione aree standard: € 467.955,60.

Somma degli incassi per i due P.I.I.: 868.608,85 + 467.955,60= 1.336.564,45 €.

Nessun “danno” economico, quindi, è stato provocato dalla “ritardata partenza” dei P.I.I. approvati alla fine del 2007.

Dove sono finite le somme incassate?

Terzo: con la convenzione per il P.I.I. di Via Belluno (firmata il 20 marzo 2009, cioè, torno a sottolineare, quasi un anno dopo la presentazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica) l’operatore privato ha contratto con il Comune, fra gli altri, i seguenti obblighi:

1) “gli interventi relativi agli edifici privati previsti dal programma e dalla presente convenzione dovranno avere inizio entro un anno dal permesso di costruire, o altro idoneo titolo abilitativo, che dovrà essere richiesto entro 6 mesi dalla data della stipula del presente atto”;

2) “il rilascio del permesso di costruire o di altro titolo abilitativo per le opere pubbliche… dovrà essere contestuale al rilascio di permessi di costruire, o di altri idonei titoli abilitativi, relativi agli interventi privati previsti dal Programma”;

3) “segnatamente le opere di urbanizzazione primaria e secondaria dovranno essere eseguite come segue:

a) l’inizio dei lavori delle opere a standard qualitativo… deve avvenire entro sessanta giorni dalla stipula della presente convenzione;

b) le opere relative alla riqualificazione della Via Belluno come da progetto allegato agli atti del P.I.I., completo di tutti i servizi ed il collegamento fra l’area ad ambito del P.I.I. e la Via Jenner, devono iniziare entro 60 giorni dalla stipula della presente convenzione”.
[2]

Dalla combinazione del punto 3 con il punto 2, risulta che per poter iniziare i lavori delle opere pubbliche i permessi dovevano essere chiesti (con quelli per gli edifici privati) entro il 19 maggio 2009. Ora, nonostante per Via Belluno non vi sia mai stato alcun ostacolo all’inizio dei lavori, siamo già nel mese di novembre e non solo questi lavori non sono stati cominciati, ma nemmeno si ha notizia della richiesta dei permessi di costruire. (Sul testo della convenzione avrebbe lungamente lavorato un rubizzo geometra che gode della fama, che egli stesso alimenta, di tecnico che “le cose le fa per bene”, addirittura "alzando la voce" anche con i “politici”! Costui ha più volte millantato di aver "messo a posto" diverse parti del testo della convenzione, ma la persistenza delle clausole richiamate dimostra che anch’egli è un peracottaro. Se queste clausole fossero rispettate davvero (cosa che il Comune dovrebbe imporre, ma non lo fa), esse potrebbero mettere in seri guai, come vedremo fra poco, sia il Comune sia i costruttori).

È questa palese violazione degli obblighi contrattuali, semmai, che ha creato un danno economico al Comune, poiché le opere che ancora non sono state costruite erano state contrattate come compensazione degli oneri di urbanizzazione non versati e come contropartita a favore dell’ente pubblico per l’approvazione del P.I.I. L’assessore aiazzonico e il suo socio Tecoppa sub-aspromontano ovviamente omettono di diffidare la ditta (ufficialmente) responsabile a rispettare il contratto. Perché?

L’assessore aiazzonico e il sindaco nel consiglio comunale si sono profusi in assicurazioni sulla validità dei P.I.I., che sarebbe stata assicurata da una fase di progettazione durata, come hanno infinocchiato, ben due anni, e certificata (con la bellezza di 9 righe!) da un nucleo di valutazione composto da due tecnici esperti e da un valente avvocato. Delle due, una: o i P.I.I. sono inappuntabili, e allora ben si potrebbero cominciare i lavori; oppure, poiché ben si conoscono gli aspetti illegittimi dei P.I.I. e se ne temono le conseguenze non solo amministrative, ma anche penali... la fifa fa novanta. Ecco perché i due non faranno mai alcunché per far rispettare i contratti e, con essi, l’interesse della collettività che l'assessore aiazzonico richiama pretestuosamente: se i P.I.I. dovessero essere annullati dal Consiglio di Stato o dal Presidente della Repubblica dopo la costruzione delle opere pubbliche (ed entrambe le decisioni sarebbero inappellabili) l’operatore privato potrebbe chiedere i danni al Comune. E coloro che dovrebbero rispondere personalmente dei danni causati predisponendo e facendo approvare un P.I.I. illegittimo, sarebbero diversi…

Ovviamente l’assessore aiazzonico e il Tecoppa sub-aspromontano si dedicano ad altro. Nella borsa politica del centro-destra le loro azioni ormai sono solo junk bonds. Cosa è possibile fare per tentare di risollevarne il corso? Il sindaco ha la risorsa del teatro, che spera di poter utilizzare per una operazione di ricostruzione del consenso, ma, anche se dopo venticinque anni di discorsi ha imparato ad azzeccare almeno qualche congiuntivo, quello della cultura non è propriamente il suo terreno. E comunque, anche la sua sorte personale è segnata già da tempo. Le risorse dell’assessore aiazzonico invece sono molto più modeste, e può solo pateticamente affidarsi ai servizi di una “giornalista” ignorante e incapace e ad un giornale-pattumiera, sicuro che gli stamperanno, senza batter ciglio e riproducendone fedelmente anche la sconclusionatezza, tutte le sue volgari menzogne. Fra le quali vi è quest’altra:

4) “preciso che nel nostro mandato non abbiamo reso edificabili terreni, ma chi costruisce lo fa attraverso le possibilità offerte dalla precedente giunta di centro sinistra”

Quarta spudorata menzogna. Caratteristica specifica dello strumento chiamato P.I.I. è quella di essere un autentico grimaldello per scardinare qualsiasi regola urbanistica. Infatti con i P.I.I. sono state approvate varianti al Piano Regolatore Generale che hanno reso edificabili aree che prima non lo erano, e fra esse anche aree che erano destinate ad usi pubblici, comprese alcune aree di proprietà pubblica. (Varianti simili sono state approvate anche con l’operazione “alienazione degli immobili patrimoniali”, e senza che gli inetti della finta opposizione aprissero bocca, anzi si sono affrettati a presentare emendamenti alle destinazioni delle cifre che si presume di incassare). Va bene che il centro-sinistra si era già messo alacremente a far diventare edificabile l’ingente quantità di aree che secondo il P.R.G. di allora non lo erano, ma ormai sono passati otto anni dalla sua fine. Il centro-destra ne ha seguito le orme, e quindi come può pretendere, costui, di scaricarsi di ogni responsabilità?

Ma non basta. L’assessore aiazzonico, che sa bene che cosa ha rovinato la sua attuale carriera, ma ovviamente nulla sa del concetto di responsabilità politica, coltiva tuttavia delle ambizioni da teorico, e si mette anche a dare giustificazioni “ragionate” della “modernità” dei P.I.I. Ma di questo in un prossimo articolo

Note

[1] V. http://it.youtube.com/watch?v=M8YZmBFqnIU

[2] Va segnalato che nella convenzione firmata dall’ architetto Enrico Galbiati, per il Comune, e dalla società Immobiliare San Norberto Sei di Negri Vittorio e C. s.a.s., in questo punto è stata omessa inspiegabilmente l’importante clausola approvata dal Consiglio Comunale: “il tutto… dovrà essere in conformità con quanto previsto dal successivo art. 11.3", che così recitava: “il progetto edilizio relativo agli edifici potrà – in fase di esecuzione – introdurre modificazioni delle caratteristiche volumetriche e tipologiche degli edifici senza la necessità di preventiva approvazione di variante al P.I.I. a condizione che non risultino alterate le caratteristiche morfologiche di impostazione del programma, indicate nel planivolumetrico allegato, che non vengano modificate le quantità globali di SLP e che non diminuisca la dotazione di aree (anche equivalenti) a standard” (corsivo mio; ndr), che già non era esattamente quanto stabilito dal richiamato art. 14, comma 12 della L.R 12/2005.: “Non necessita di approvazione di preventiva variante la previsione, in fase di esecuzione, di modificazioni planivolumetriche, a condizione che queste non alterino le caratteristiche tipologiche di impostazione dello strumento attuativo stesso, non incidano sul dimensionamento globale degli insediamenti e non diminuiscano la dotazione di aree per servizi pubblici e di interesse pubblico o generale.” Intanto, come si legge, la legge parla di aree per servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, e non fa alcun riferimento alle aree equivalenti a quelle “a standard”, come nella convenzione approvata dal Consiglio Comunale, ma quali sarebbero queste aree equivalenti? Perché nella frase “il tutto… dovrà essere in conformità con quanto previsto dal successivo art. 11.3” queste ultime parole sono state sostituite con un generico “dalla presente convenzione”?

mercoledì 21 ottobre 2009

Il magliaro illusionista



Michelangelo Campisi, (minuscolo) notabile politico locale e psichiatra notturno a distanza, sabato scorso ha partecipato ad una “marcia” per difendere il Parco delle Groane. La “marcia” ha percorso una distanza di ben 200 metri, e quindi nella storia delle marce di lotta si colloca al terzo posto, dopo la Coluna Prestes (Brasile, 1925-1927: 24.000 km) e la Lunga Marcia (Cina, 1934-1935: 6.000 km).

Dopo aver superato indenne ogni sorta di ostacoli, fra i quali ben due dei famigerati “rialzi di carreggiata” di 15-20 cm di altezza, posti uno all’entrata e l’altro all’uscita di un angusto incrocio con rotatoria, sui quali non ci lasciano le penne solo le più corazzate fra le coppe dell’olio delle automobili, Campisi e gli altri marciatori (circa un centinaio, se si contano anche i bambini e gli infanti sui passeggini spinti da diverse mamme e babbi) hanno finalmente raggiunto “la porta del Parco delle Groane”, ovverosia, quello che oggi come oggi non è niente di meno del “limite della ragione e della capacità di urbanizzare in modo consapevole e sostenibile”: un prato, lungo la via F.lli Cairoli, per metà spelacchiato, ma compreso nel Parco delle Groane. Conficcate nel terreno alcune paline con il triangolo rosso “Parco delle Groane”, per ben delimitare la base da difendere, tutte le forze sono state dispiegate, come una formazione di armigeri pronti per la battaglia, di fronte… ai telefonini con videocamera incorporata. Già nel pomeriggio dello stesso sabato, le immagini erano nel blog dell’Italia dei Valori di Limbiate. La colonna che ha conquistato il prato non si vede affatto. Si vede però la cocuzza di Campisi nell’atto di aspirare robuste boccate di fumo da una sigaretta (si stava giusto difendendo l’ambiente), più un paio di suoi, credo, amici di partito.

Ai protagonisti di epici episodi di guerra guerreggiata un certo tasso di manicheismo, ed anche di esaltazione, deve essere perdonato. Come si può pretendere sobrietà di pensiero, misura nei giudizi e senso autocritico da chi ha ancora l'animo perturbato dagli inenarrabili patimenti della lotta sopportati fino a ieri? Se poi certi atti di ardimento sono stati compiuti con tanta nonchalance da riuscire, nel frattempo, a farsi una bella sigaretta, si deve anche considerare con umana simpatia la tendenza di certi reduci alla vanteria e alla mancanza di pudore.

Ma non c’è niente di peggio di quegli arditi che poi, nella vita normale, non sapendo come altrimenti sbarcare il lunario, si mettono a vendere merci di nessun valore e dalla dubbia provenienza, servendosi, per gabellarle, dei meriti accumulati in guerra. Il nostro minuscolo notabile politico locale (e psichiatra notturno a distanza), tornato alla vita normale dopo l’epica marcia del sabato, il lunedì successivo ha dovuto necessariamente rivestire panni borghesi e rimettersi a maneggiare il solito bric-à-brac, con il quale, ormai da alcuni lustri, pretende di coltivare e di vendere un’immagine di sé che denoti eleganza, cultura e preparazione politica. Eleganza, cultura e preparazione politica posseduti in misura tale da non aver avuto, fino a ieri, alcuna remora ad ubbidire servilmente ai personaggi che lui ha venerato come maestri, ma che erano solo disonesti, beceri, ignoranti e politicamente inconsistenti. Nessuno stupore, quindi, qualche mese fa, quando, insieme ad uno statista postelegrafonico, Campisi ha improvvisamente abbandonato il PD in piena campagna elettorale, proprio alla maniera dei sorci che abbandonano la nave che affonda. Il motivo reale dell’abbandono (la frustrazione delle ambizioni sue e dell’altro a candidature più o meno prossime) dapprima è stato gabellato per “motivi personali”, e poi per critiche all’incapacità di fare opposizione del partito che aveva diretto fino a pochi giorni prima. Giusto perché sarebbero state formulate in un Partito “Democratico”, di queste critiche non si era mai avuto alcun sentore. E pensare che chi si permetteva di mettere in dubbio la reale consistenza dell’”opposizione” del PD e l’autonomia di pensiero di Campisi, veniva definito da costui “bizzarro”, “bislacco”, “strampalato” (durante il turno diurno), e certificato come “affetto da delirio isterico compulsivo” e denunciato al Sant’Uffizio (durante il turno notturno come psichiatra).

Il passaggio ad un marchio che in quel momento stava conquistando nuove fette del mercato politico, l’IDV (che, appunto, per la maggior parte dei suoi membri è solo il marchio che attualmente va per la maggiore), tuttavia non ha comportato affatto un cambiamento di stile (chiamiamolo così), né una revisione autocritica della propria storia politica, resa finalmente possibile dalla libertà da certi legami politici. Al contrario, mantenendo l’unico pattern mentale che gli sia consueto (all’incirca il seguente: Romeo è cattivo, quindi io sono buono), con il passaggio al partito di Di Pietro Campisi è regredito alla difesa a spada tratta degli errori che nel 2001 hanno provocato la consegna del Comune a quell’altra nullità politica, culturale ed amministrativa di Romeo. E dire che un paio di anni fa il ragazzotto mal cresciuto si era spinto fino a fare, nel consiglio comunale, la seguente sconvolgente ammissione (accompagnata da alcuni vezzosi volteggi delle manine): “L’intervento edilizio di Piazza della Repubblica non lo voterei più, perche devo riconoscere che la piazza ora è… brutta”. Adesso, poiché Romeo fra gli altri beni demaniali vuole vendere anche una ex scuola, Campisi fa marcia indietro. Anche se tutto lo spazio della piazza è stato occupato da un enorme condominio (tanto brutto da far venire l’angoscia anche a chi non sa che lì c’era una piazza), dalle sue pertinenze e da una strada a serpentina, egli riesce a dire: “lo spazio pubblico a disposizione dei cittadini si è mantenuto sostanzialmente invariato"!

L’incredibile disinvolta affermazione si trova in un post anonimo ma manifestamente scritto da Campisi, pubblicato nel blog dell’Italia dei Valori di Limbiate (Romeo si vende una scuola). Il misero voltagabbana prepara la truffa scrivendo, poco prima, che Fortunati avrebbe venduto solo le volumetrie, ma non (insinuazione sub-liminale) la superficie, come se il condominio fosse stato costruito altrove! E tenta di scaricarsi di ogni responsabilità, passando sotto silenzio che EGLI, Campisi, ha votato quello scempio come capogruppo del PDS!

Mentre scrivevo questo post, qualcuno intanto gli manifestava di scandalizzarsi per tanta impudenza, ma Campisi si è spinto oltre: “noi (ndr: dell’IDV) non eravamo in maggioranza quando Fortunati ha scelto di edificare in piazza della Repubblica”, cercando di nascondere le sue responsabilità dietro una sigla allora inesistente! E ancora: “chi ha fatto il Piano Regolatore sulla base del quale è stato possibile per Fortunati concludere quell'operazione?”, imbrogliando sul fatto che il PRG del quale è stata votata la variante che ha reso possibile l’orrendo scempio edilizio era stato firmato, alla metà degli anni ottanta, proprio dal suo mentore Fortunati, allora assessore alla partita!

Campisi, tra l’altro, dice che Romeo ora è “inaspettato [??] emulo del suo predecessore Fortunati”. Proprio perché ho scritto più volte che la banda attualmente al governo di Limbiate non ha fatto altro che proseguire e attuare la politica edilizia di Fortunati, votata servilmente da Campisi, costui ha più volte dato in escandescenze e ha proposto la mia messa al rogo. E quindi, "che gli dovremmo dire adesso”, a lui che si fa emulo, ovviamente a livello paesano, di Letizia Moratti (la quale include nella somma delle aree verdi di Milano anche il verde delle terrazze dei grattacieli, oltre a tutte le aiuole stradali), e, pensando di giustificarsi, ancora insiste con protervia e impudenza: “noi [cioè lui; ndr] intendevamo solo dire in maniera asettica [sic!] e stando alle carte che la superficie attuale calpestabile per strade, piazzette, marciapiedi, aiuole, spazi verdi e parcheggi ha mantenuto sostanzialmente invariato lo spazio pubblico a disposizione dei cittadini” - che gli dovremmo dire adesso? Che quei sottoproletari che una volta sbarcavano il lunario vendendo, come ambulanti, stoffe e tessuti dalla dubbia provenienza e di pessima qualità, ma spacciate per merci di qualità, si chiamavano magliari? Quelli, però, qualcosa almeno la vendevano, anche se poi si rivelava di pessima qualità. Campisi, invece, non si accontenta di fare il magliaro, pretende di fare anche l’illusionista, e, superando il Totò di un celebre film, cerca di vendere come esistente una piazza che non c’è più.



P.S. (22/10/2009) Per rendersi conto di com'era la piazza prima che i vandali Fortunati e Campisi decidessero di coprirla di cemento, click here. Il contorno giallo delimita la piazza, quello rosso l'ex scuola abbattuta (un edificio storico degli anni trenta; a proposito di scuole messe in vendita!), quello verde i due piccoli giardini, dei quali sono rimasti solo un paio di piante.


mercoledì 23 settembre 2009

De profundis? 2. Alcune banali (seppure amare) verità...


...sottaciute o dissimulate dagli ambientalisti finti del “comitato” semiclandestino ora denominato “+Limbiate –cemento”.

Parte 2.


Mauro Varisco ormai viene dipinto come un eroico ed inespugnabile baluardo contro la cementificazione di Limbiate, ma non è mai stato capace, in realtà, di uscire da quella forma di grettezza sociale che in sociologia viene indicata con il termine “NIMBY”, acronimo di Not In My Back Yard, “non nel mio cortile”. Il “cortile”, nel caso di Varisco & C., era abusivo. Infatti, egli e i suoi amici hanno sempre avuto come vero interesse solo il “recupero” di un’area in parte pubblica, praticamente interclusa e nei fatti accessibile esclusivamente a loro, dalle loro villette di via M.te Sabotino n. 5, nella recinzione di diverse delle quali era stato aperto del tutto abusivamente un ingresso al terreno comunale. E si badi: si trattava non di ingressi provvisori ad un terreno non usato dal proprietario, bensì di una serie di solidissimi cancelletti metallici tutti uguali, costruiti ed installati a regola d’arte. Potendo accedervi così comodamente, molti si erano infatti “ritagliata” un’area in corrispondenza della propria villetta, e l’avevano delimitata con piccole siepi. Questo abuso è andato avanti per molto tempo, tanto che già nel 2004 la situazione era stata registrata,  con la specifica simbologia, nella Cartografia Aerofotogrammetrica ufficiale del Comune di Limbiate.



Da Google maps: sono visibilissimi i segni delle coltivazioni [Aggiunta il 29-6-2013]

(N. B.: anche se si legge "® 2013" l'immagine mostra la situazione di circa 5 anni fa; infatti sono ancora visibili le piante abbattute nell'autunno del 2008; inoltre, se sul sito Google maps si sposta l'immagine verso sinistra, si può notare che all'inizio di Via M.te Sabotino non c'è ancora la nuova costruzione di proprietà del Comune, che è stata edificata successivamente)

[Click Aerofotogrammetrico.zip (occorrono circa 3 minuti per caricare tutto il documento); v. tavola n. 4, e legenda: "orto" e "palizzata-cancellata"; click anche articolo 1158 c.c.] 

Orti, siepi e cancelletti erano tuttavia invisibili dalla via M.te Sabotino, perché nascosti da altre siepi naturali molto alte e da piante ed arbusti vari più vicini alla strada. Quando un anno fa tutto ciò è stato eliminato [dal proprietario privato, che ha anche diffidato Varisco & C. ad eliminare gli abusi edilizi; aggiunta del 29 giugno 2013], orti, siepi e cancelletti sono diventati visibili da chiunque passasse da lì (questo era il vero scopo dei lavori “di pulizia” fatti dalla SAN INVEST) ed è divenuto visibile, anche, che su quell’area non vi è mai stato qualcosa che effettivamente potesse essere chiamata “bosco”, ma solo un po’ di arbusti spontanei e al massimo alcune piante malate che in ogni caso dovevano essere abbattute. (Nemmeno l’altra area attigua ma esterna all’area da edificare - quella di proprietà dei tre ricorrenti al TAR, da espropriare parzialmente per opere di urbanizzazione - può essere definita “un bosco”, poiché un’ottantina - a voler essere generosi - di piante rachitiche e malate non sono “un bosco”! Ma su questo particolare mi soffermerò più avanti).

Per ottenere consenso su un generico ma mistificante discorso ambientalista (tanto che, come discorso generico, non vi è più chi non lo condivida) è stata inventata la panzana del bosco, alla quale Mauro Varisco ne ha aggiunte altre, espresse con stentate frasette (poiché nemmeno le forme più banali della comunicazione politica si possono imparare dall’oggi al domani) sull’”ecomostro” e sulla “colata di cemento”, e con ridicolaggini a proposito di “vaccini” e “ricette”. Con tali discorsi egli si presenta con i suoi amici a scroccare soldi alla cittadinanza per battaglie in “difesa dalla cementificazione”, ma continua a dimostrare di non capire chi sia e cosa sia la cittadinanza! (Mi riferisco, evidentemente, alla collettività e al concetto).

Infatti, costui non ha saputo (né voluto) dare un’impronta davvero pubblica e collettiva alla sua azione nella fase di approvazione del P.I.I., e non ha saputo individuarne i punti deboli, che non sono certo le presunte “distruzioni ambientali”, né ha capito che in ciò l’”opposizione” non era in grado di (e nemmeno veramente voleva) aiutarlo. Anche l’unico argomento degno di questo nome portato autonomamente da Varisco & C. (quello della vendita del terreno comunale al di sotto del suo probabile valore di mercato) è stato usato del tutto strumentalmente, come mero espediente polemico, e infatti il valore/mq della perizia di un tecnico comunale (abitante anch’egli in via M.te Sabotino n. 5!) per lungo tempo è stato indicato con una cifra errata, poiché né Varisco né i suoi amici politici si erano preoccupati di fare una verifica sui documenti della stima comunale, né su quelli della stima dell’ineffabile “perito” privato allegata al P.I.I. E infatti la funzione centrale delle varie “stime” in tutto il meccanismo truffaldino del P.I.I. non era stata minimamente colta.

Beninteso, è vero che, come amava dire il filosofo Benedetto Croce, “nisciuno nasce imparato”, ma una disposizione meno gretta, meno esclusivamente gelosa del proprio “cortile”, e più intelligentemente (oltre che civicamente) propensa a considerare la questione dal punto di vista di tutta la collettività e in particolare dal punto di vista dell’intero quartiere Mombello (e non del solo ghetto del civico n. 5 di Via M.te Sabotino) avrebbe consentito, già prima dell’approvazione, di capire come fosse effettivamente congegnato il P.I.I., e quindi sarebbe stato possibile cominciare ad imparare come trovare gli argomenti per fare denunce sì politiche, ma nel senso che avrebbero messo in luce sia le varie lesioni del diritto inalienabile di tutta la collettività agli “standard” urbanistici, sia gli ingenti danni alla cassa pubblica, sia, infine, i metodi truffaldini usati per mascherare tutto ciò. Questi erano gli argomenti utili per organizzare una ben più numerosa opposizione capace di coinvolgere almeno tutta la collettività di Mombello. La rivendicazione giusta, infatti, quella veramente civica (e quindi veramente politica), non poteva che essere quella della realizzazione delle strutture pubbliche (che non comprendono solo il verde), di cui il quartiere è carente, su quell’area che a ciò era destinata, anche servendosi di uno strumento urbanistico come il Programma Integrato d’Intervento, che si chiama così perché (ed è tale solo quando) prevede l’integrazione di funzioni pubbliche e funzioni private. E sarebbe stata anche un’ottima base sulla quale cercare ed imporre, eventualmente, una mediazione. Magari si poteva progettare di costruire sul terreno comunale un centro civico o un altro edificio pubblico. Ma Varisco & C. non hanno mai perseguito un obbiettivo del genere poiché, come hanno più volte sostenuto (ecco, per esempio, la grettezza), una costruzione dietro le loro villette le avrebbe deprezzate! Costoro erano talmente convinti della validità dell’argomento del “deprezzamento” (di alcune normalissime villette a schiera!) da inserirlo in un esposto indirizzato, all’inizio del 2008, alla magistratura, che conteneva anche un’altra perla, presa in prestito dal frasario consociativista dell’attuale coordinatore del PD: il P.I.I. era da condannare poiché era stato approvato dalla sola maggioranza! Ovviamente di quell’esposto non si è più saputo nulla. Sarà stato cestinato.

Un’azione di questo tipo avrebbe sicuramente ottenuto la simpatia di tutta la popolazione limbiatese, la quale tuttora quasi nulla veramente sa della questione. Dappertutto, nel mondo, chiunque sia stato costretto ad auto-organizzarsi per difendere la sua condizione e i suoi diritti di cittadino ha dovuto presto imparare che non si può sperare di trasformare in coscienza collettiva le proprie pur sacrosante rivendicazioni, se non si informa correttamente la cittadinanza. In mancanza di ciò, non si può ottenere alcun reale sostegno. Per questo scopo, l’esperienza insegna, non vi è altra possibilità se non quella di produrre e diffondere direttamente le informazioni. L’originalissima “ricetta” di Mauro Varisco, invece, è la seguente: periodicamente fa uno show compiaciuto in quelle che lui chiama “conferenze stampa”, nelle quali in realtà non informa, e nelle quali quattro ragazzotti smandruppati non fanno mai quello che tutti i giornalisti veri fanno in simili occasioni: fare domande per stimolare o addirittura costringere chi tiene la conferenza a dare effettivamente informazioni. Le domande non vengono fatte perché, anche dopo aver scritto articoli su articoli, nessuno di questi ragazzotti è riuscito ad accumulare un minimo di vere conoscenze sulla questione. Ovviamente, in quello che poi scrivono brillano solo le omissioni, le incongruenze, le autentiche asinerie, l’incultura generale.

Questo tipo di azione avrebbe inevitabilmente fatto pagare alla giunta Romeo-Mestrone un prezzo politico che non tutti, nella maggioranza di centro-destra, sarebbero stati disposti a pagare a cuor leggero (e avrebbe anche messo in chiaro davvero il rischio altissimo, per qualcuno, di essere costretto a prendere domicilio in Milano, Piazza Filangieri n. 2). Infatti, i primi a sapere quali magagne nascondono operazioni come il P.I.I. di via M.te Sabotino sono ovviamente coloro che le approntano: tecnici, funzionari, “politici”, i quali contano però sull’opacità delle procedure amministrative, sulla connivenza dell’opposizione (magari compensata con concessioni su altri innocui provvedimenti), sulla frantumazione sociale, sulla tendenza di molti cittadini a restare rinserrati nel proprio particolare, sulla loro scarsa disposizione (favorita da tutto ciò che li circonda) a stabilire relazioni non condizionate da credenze di vario tipo e da falsi miti, nonché, in generale, sulla mancanza di cultura civica in senso proprio. Chiaro: è possibile ribaltare questa situazione solo con un’azione politica che richiede tempo e fatica da spendere personalmente. Ovviamente è più comodo servirsi del tempo e della fatica fornita gratis (in ogni senso) da qualcun altro, sul quale, al momento opportuno, ma solo in sua assenza, si può riversare grettezza, calunnie, cattiveria : nevvero, Mauro Varisco?

Tuttavia, non esistono alternative: chi vuole opporsi alle prepotenze dei governanti è costretto a cambiare, almeno in una certa misura, tutto ciò; e si tratta, ovviamente, di una lotta faticosa in cui inevitabilmente si deve pagare lo scotto di cambiare anche se stessi. Mauro Varisco questo non l’ha ancora capito, come non ha mai voluto capire che se il P.I.I. era stato comunque approvato (nonostante nella maggioranza fossero diversi ad essere consapevoli della sua impresentabilità) ciò era avvenuto perché in realtà l’azione della minoranza del Consiglio Comunale e quella di qualche banchetto di fronte alla chiesa non avevano avuto alcuna incisività, e non avevano nemmeno lontanamente minacciato di far pagare qualche prezzo politico alla Giunta Comunale e alla maggioranza. E quindi, incapace e anzi rifiutando con protervia di riflettere su tutto ciò, e di trarne le dovute conseguenze sul piano dell’azione, dopo la sentenza del TAR, nonostante ormai si fosse calato nella parte dell’eroico baluardo contro la cementificazione di Limbiate, egli (con i cinque partiti che lo sostengono) ha lasciato che passasse del tutto liscia la decisione della Giunta Comunale di ricorrere in appello, disattendendo totalmente l’indicazione che, di fatto, avevano ribadito i giudici amministrativi: prima dell’approvazione di un P.I.I. è necessario effettuare la V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica).


Tutto ciò proprio nel momento in cui la crisi interna alla maggioranza diveniva ormai irreversibile, tanto che è ormai evidente che gli equilibri interni sono cambiati. (Anche più recentemente, nessun tentativo di incidere su questa crisi è stato fatto dalla minoranza consiliare, come sempre cieca ed inetta). E quindi del tutto tranquillamente quelli della banda Romeo-Mestrone hanno imposto alla giunta e alla maggioranza la decisione di spendere altri 23.000 euro in avvocati, ben consapevoli tutti che, pagato dai cittadini questo prezzo, loro non avrebbero pagato nessun prezzo politico.


(segue)