giovedì 15 gennaio 2009

Ennesimo falso del PD limbiatese sul P.I.I. di Via Monte Sabotino


Salvatore Ricciardi



L’uomo tende ad Icaro / ma la merda non vola

Jaroslav Hašek
[1]







Da un mucchio di carte e cartacce buttate là in attesa di trovare il tempo e la voglia di darvi uno sguardo, emerge casualmente un foglio del PD limbiatese, intitolato “Notizie”, distribuito forse da più di un mese. In realtà non di notizie è riempito il giornaletto, bensì di mediocrissima propaganda. Le ultime righe della quarta e ultima paginetta si riferiscono all’udienza del 4 dicembre 2008 del Tribunale Amministrativo Regionale di Milano, nella quale è stato discusso il ricorso presentato da alcuni cittadini avverso il P.I.I. di Via Monte Sabotino:

“Il ricorso in questione fa parte di un pacchetto di azioni che è stato finanziato anche dai consiglieri del PD con una quota simbolica ma significativa di 600 euro”.
È FALSO!

Il ricorso in questione non fa parte di nessun "pacchetto finanziato anche dai consiglieri del PD", perché quando il sottoscritto prese l’iniziativa di proporre ALTRE azioni legali sui P.I.I. approvati il 20 dicembre 2007 (Via Belluno e Via Sabotino), per il lavoro d’indagine preparatorio (necessario per chiarire quali erano le possibilità effettive di un ricorso) si era sbattuto per non poco tempo dapprima il sottoscritto, impiegando volontariamente il suo tempo, le sue energie e il suo denaro, senza il benché minimo intervento di nessuna natura di nessun politicante del PD; poi, nella fase finale, quand’era ormai accertato che per il ricorso esistevano fondati motivi, intervenne ovviamente uno dei diretti interessati. E si era ormai concluso anche il lavoro del legale che ha presentato il ricorso, che ovviamente si è fatto pagare. Per QUESTO ricorso le spese legali (assai consistenti) sono state sostenute interamente da chi ha firmato il ricorso e da un folto gruppo di altri cittadini del tutto autonomamente dal PD, al quale non è stato chiesto, e dal quale non è stato ricevuto, nessun sostegno.

I consiglieri del PD hanno invece accettato, ma molto malvolentieri (come subito fu chiaro, e successivamente dimostrato da loro stessi) la proposta del sottoscritto di contribuire al finanziamento di ALTRI RICORSI STRAORDINARI AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, sia per il P.I.I. di Via Belluno, sia per quello di Via Sabotino. Questo ultimo ricorso non è stato firmato da coloro che hanno firmato l’altro indirizzzato al T.A.R., bensì da altri cittadini estranei al PD. Per questi altri ricorsi, SOLO TRE CONSIGLIERI DEL PD HANNO MANTENUTO LA PAROLA CHE AVEVANO DATO, ma fra mille manifestazioni di riluttanza. Già al momento del primo modestissimo anticipo concordato, qualcun altro, fra i quali anche il sottoscritto, ha dovuto accollarsi l’esborso delle cifre non versate da chi NON HA MANTENUTO LA PAROLA DATA. Oltre alla misera cifra citata (che rappresenta assai meno del 10% della spesa complessiva per questi ricorsi), dai consiglieri del PD non è venuto alcun altro sostegno, nemmeno morale; anzi, quando a loro è stato chiesto di rispettare fino in fondo gli impegni presi per il saldo della spesa, hanno tentato di giustificare il loro sostanziale diniego in un modo talmente pretestuoso e talmente cafonesco (in ciò si è distinto l’illustre scienziato Archetti), che alla fine, fin troppo garbatamente e non da me, sono stati mandati a quel paese ed è stata rifiutata la miseria che DUE SOLI consiglieri del PD proponevano di versare.

Fin troppo garbatamente: tanto che i fatti furono resi pubblici da me solo quando fui costretto a smascherare l’appropriazione indebita di meriti che il PD può vantare solo in misura infima. Sullo squallore del comportamento dei politicanti del PD sono già stato costretto, infatti, a scrivere più volte [v. Gavroche nella Villa Mella (4 giugno 2008); Chi si batte contro lo scempio del territorio e il malaffare dei Piani Integrati d’Intervento di Via Monte Sabotino e di Via Belluno (4 settembre 2008) ; Cialtronerie "Quattro Stagioni" di un cementificatore fallito e connivente (17 settembre 2008)], ovviamente senza alcuna smentita, anche perché esistono testimonianze orali e scritte che da sole farebbero piazza pulita dei miseri pretesti dei quaquaracquà del PD. Ma più che di mancanza di consistenza umana e di serietà, sarebbe il caso di parlare di schizofrenia politica.

I notabili lillipuziani del PD, offrendo una versione locale e fra le più svaccate di un fenomeno ormai storicamente consolidato nelle società occidentali – ed ampiamente studiato - fanno alla giunta Romeo-Mestrone un’opposizione del tutto fittizia, esclusivamente funzionale al contenimento della costante erosione (più che al mantenimento) del loro elettorato, che Romeo e Mestrone esercitano con successo facendo la stessa politica, ma con una capacità di attuazione assai maggiore, del PDS-DS-PD. Infatti, se i casi di coloro che sono capaci di passare dalle parole ai fatti sono ovviamente rarissimi fra i notabili veri, fra quelli cioè che almeno esprimono discorsi di una qualche (apparente) consistenza, figuriamoci se ciò può accadere nel caso di notabili paesani, come quelli del PD di Limbiate, che non riescono mai ad andare oltre la ripetizione di alcuni poveri e stantii clichés da due soldi al chilo, per esempio in fatto di politica edilizia e di ambientalismo.

Altro che “aspre critiche”, come si dice nelle righe alle quali mi riferisco! Di critiche capitali (e non “aspre”: per queste si può far passare qualsiasi intervento vociante) al modo in cui era congegnato il P.I.I. di Via Monte Sabotino, se ne potevano fare moltissime. In particolare, come ho più volte mostrato, erano (sono) molti i danni erariali, risultanti da violazioni di legge dai risvolti anche penali, che quell’intervento edilizio causerebbe. Solo che per individuarli bisognava provare a leggere i documenti; ma né la Guida e Grande Timoniere del PD Campisi, né Gavroche-Archetti, che recentemente si è cinto il capo con l’alloro dello scienziato, si sono piegati verso tale bassura. Anzi, l’analisi dei documenti, e le proposte di azioni legali contro il malaffare, basate sugli elementi concreti che erano emersi dall’analisi, sono state apertamente svalutate e addirittura disprezzate (con scemenze del tipo: “non è così che si fa politica” [fatti recenti hanno chiarito perché: il PD è pieno di corrotti!]; “meglio fare opinione fra la gente” [ovvero: ripetizione ossessiva di frasette ideologiche, veri esempi di falsa coscienza], ecc.).

La manutenzione del consenso elettorale, tuttavia, per i politicanti è ragione di vita, e allora non c’è nulla che possa frenare la schizofrenia politica: mentre si continua a ripetere che i ricorsi al TAR non servono, si inventano (in campagna elettorale) esposti del PD alla Corte dei Conti (che mai sono stati presentati, e nemmeno scritti) e sostegni finanziari (rimasti infimi) a “pacchetti” di azioni legali (ai quali non si è mai, in alcun modo, collaborato). Particolarmente attivo, (vale a dire schizofrenico), è stato Archetti, che ha anche esibito la sua presenza all’udienza del 4 dicembre, della quale ovviamente non ha capito nulla. E tuttavia il solo ascolto dei discorsi dei legali delle parti, ciascuno durato non più di 15-20 minuti, ed in particolare di quello dell’avvocato del Comune di Limbiate, che ha tentato di convincere i giudici che è giusto costruire sull’area di Via Sabotino perché attualmente sarebbe infestata da ratti e da malavitosi! - discorso esilarante, ma che secondo Archetti avrebbe distrutto qualsiasi argomentazione a sostegno del ricorso - è bastato a questo poveretto perché la sentenza la pronunciasse lui, in anticipo sul collegio dei magistrati: i ricorrenti, è chiaro, hanno perso, e quindi è stato dimostrato che i ricorsi al T.A.R. non servono a niente! È corso quindi a convincere di ciò anche chi, fra gli abitanti presso la Villa Rasini Medolago, ha deciso di difendere il suo diritto di restare nella sua casa anche chiedendo al T.A.R, se fosse necessario, di costringere la Giunta Comunale e Frua De Angeli Holding a rispettare leggi e norme. (È stato il fermo rifiuto di questi cittadini di trattare non solo con la Holding, ma anche con Romeo, che, facendo presagire la minaccia di un ricorso, ha indotto entrambi a ridurre l’area d’intervento, nel tentativo – vano, ovviamente - di mascherare un’operazione truffaldina che il PDS aveva preparato e ora come PD condivide. Altro che “bluff”!).

La schizofrenia politica, tuttavia, può essere spiegata, anche da chi non ha la preparazione psichiatrica di Campisi, che è in grado di fare diagnosi a distanza, e di notte. Dunque: per un partito, come il PD, pieno di corrotti di ogni risma, parlare di ricorsi alla magistratura, anche se contro gli atti della giunta di Romeo-Mestrone, è peggio che parlare di corda in casa dell’impiccato. Purtroppo, però, c’è chi se ne infischia del politicantismo dei piddisti e i ricorsi li fa. Questi ricorsi suscitano consenso. Chi li promuove, e chi li fa, inevitabilmente occupa parte dello spazio politico, sottraendone ad altri (e soprattutto a chi ne occupa abusivamente), poiché, com’è noto, lo spazio politico non è estensibile. Allora, terrorizzati dalla perdita di spazio, i quaquaraquà del PD corrono per ogni dove a dire che i ricorsi non servono, perché di sicuro i ricorrenti perderanno. Ma, in realtà, non ne sono davvero convinti. Chissà, potrebbe darsi che i ricorrenti vincano. Non volevano, i policanti, partecipare ad UNA di queste iniziative, ma alla fine hanno ceduto… dunque è meglio, intanto, cercare di raccogliere un po’ di consensi. Se poi i ricorrenti vinceranno, meglio ancora: a maggior ragione (cioè con maggiore consenso) si potrà, eventualmente, rivendicare un merito. Et voilà, ogni tanto costoro utilizzano un ossicino non per ricostruire lo scheletro di un dinosauro, bensì per dare l’illusione di uno vivente.

Non si potrebbe trovare esemplificazione più chiara di cos’è la politica politicante, nella quale la schizofrenia è norma di vita: da una parte la rivendicazione di meriti presunti per la presentazione di ricorsi legali contro l’unica politica, quella edilizia, che mettono in campo le cavallette che da sette anni devastano Limbiate, e dall’altra l’inciucio sull’uso del risarcimento dei danni ambientali provocati dall’ACNA [v. Un successo del Pd per l’ambiente: “Il Partito Democratico di Limbiate ha presentato all’Amministrazione Comunale, che li ha condivisi e finanziati, 7 progetti per l’ambiente”; la sottolineatura è nel testo, un cumulo di mistificazioni – “scientifiche”, naturalmente! - sul quale tornerò]. Un inciucio del tutto naturale, considerando che a farlo sono le due frazioni dello stesso Partito, quello del Cemento, e preannunciato da molti segnali in questi ultimi mesi; con esso ognuna delle due parti pensa di “finanziarsi” la raccolta di voti nelle prossime elezioni provinciali. Quest’inciucio viene concordato proprio mentre Romeo e Mestrone sono ai ferri corti fra loro e nel loro partito, e mentre, finalmente, insieme con diversi funzionari al loro servizio – che già tremano - potrebbero essere investiti da diverse grane giudiziarie. Una bella ciambella di salvataggio!

Molti anni fa, sia il PCI, sia il PSI (nel quale allora si arrabattava Romeo, transfuga dal PSDI in cambio di un posticino da assessore), sia i consiglieri di Democrazia Proletaria, avversarono fieramente (e derisero) la proposta che sulla questione dell’inquinamento dell’ACNA il Comune presentasse almeno un esposto alla magistratura (infatti il Comune entrò nel procedimento giudiziario avviato dalla Regione solo all’epoca di Cattabeni). Ma quasi nessuno si ricorda più di quei tempi, del movimento di cittadini (mamme di scolari, soprattutto) che costrinse il Comune a prendere qualche provvedimento sanitario, ma non riuscì a far sì che l’allora sindaco Terragni Cuor di Leone prendesse carta e penna per scrivere alla Procura della Repubblica (il diniego fu sostenuto anche da vari Binacchi). E quindi perché mai farsi lo scrupolo di darsi un po’ di decoro, almeno chiamando i cittadini a dibattere su come spendere i soldi di un risarcimento, che fosse stato per loro mai sarebbe arrivato? La partecipazione è qualcosa che si mangia? Ma certo, soprattutto quando si tratta della torta elettorale! (E infatti della parola, usata in modo mistificante, si riempie la cavità orale Archetti, in ambito locale personificazione perfetta (seppure, ovviamente, al livello più basso) dell’ideal-tipo del notabile politico di cui ha scritto Max Weber – sebbene il ragazzotto vociante, fra le tante altre cose, ignori certamente anche il grande sociologo e scienziato - lui sì - della politica).



Note



[1] Per una prima informazione sull’autore de Il bravo soldato Švejk, v. http://www.mandragola.com/librarsi/biografie/hasek.htm. Su Hašek, su Švejk e su molto altro sono bellissime le pagine di Angelo Maria Ribellino in Praga magica, Einaudi, Torino 1973, pp. 279-317.


domenica 11 gennaio 2009

Quando la paura (di un ricorso al T.A.R.) fa novanta… si riduce drasticamente il cosiddetto “Piano di recupero” della Villa Rasini Medolago

Salvatore Ricciardi




Il “Piano di recupero d’iniziativa privata sull’area della Villa Rasini Medolago” (ma, come vedremo, forse sarebbe meglio dire “il cosiddetto Piano ecc.”) è stato approvato dalla Giunta Comunale il 23 dicembre 2008 (Delibera n. 246], ma non è più lo stesso progetto adottato il 29 settembre 2008 (Delibera n. 197), poiché non comprende più quasi due terzi della costruzione prevista sulla “Zona Ba” (attigua a quella della villa, che è “Zona A”) sulla quale era stato progettato di insediare effettivamente la gran parte dell’albergo. Per le dimensioni della parte esclusa, non si può parlare di un semplice “stralcio” dal progetto. Si tratta in realtà di un radicale ridimensionamento della zona d’intervento. Se la volumetria complessiva del progetto a suo tempo adottato (circa 23.000 mc) sia stata ridotta in pari misura, o se la volumetria ora esclusa (circa 9.300 mc) sia stata “recuperata” altrove, per il momento non sono in grado di dirlo, poiché ho visto i documenti del progetto esposti all’albo pretorio del Comune insieme con uno dei proprietari che non intendevano vendere la loro casa, ma troppo rapidamente. I documenti dovranno essere esaminati con cura anche per molti altri aspetti che ci sono sembrati diversi, o del tutto nuovi. L’impressione che ne abbiamo ricavato, tuttavia, è che i funambolismi con i quali nel progetto adottato si inventavano volumetrie “da recuperare” siano stati ancor più accentuati. Ma questi aspetti li vedremo con più calma più avanti.

Questo radicale ridimensionamento è giustificato nella delibera n. 246/2008 con l’accoglimento dell’unica “osservazione” presentata, su esplicita ed insistente sollecitazione di Romeo, da un gruppo di proprietari che in maggioranza non abitano in Limbiate, o che abitano in case che non sono comprese nel cosiddetto “Piano di recupero” (vi sono comprese solo due loro piccole autorimesse). I proprietari non abitanti, in particolare, prima di presentare l’osservazione erano pronti a mettere la mano sul fuoco per dimostrare, con il riferimento sballato ad alcune norme di legge, di essere sicuri che “non c’erano le condizioni giuridiche” per espropriare chi avesse rifiutato di vendere la sua casa (rifiuto che avrebbe impedito l’attuazione del piano). Tuttavia, nonostante tanta sicumera, hanno poi presentato una richiesta “di stralcio”, non senza aver prima tentato di ottenere l’adesione di chi voleva (e vuole) opporsi al piano, ma non con i modi graditi a Romeo e da lui stesso suggeriti!


Come la paura di un ricorso al T.A.R. ha indotto Romeo-Mestrone e Frua De Angeli Holding a più miti consigli

Questo radicale cambiamento dimostra che era infondato sostenere, come io e qualche diretto interessato avevamo fatto in una riunione degli abitanti della Zona Ba (e io poi avevo scritto qui), che chi non avesse accettato di vendere la sua casa alla Frua De Angeli avrebbe corso il rischio di essere espropriato? Al contrario: significa che Romeo-Mestrone e Frua De Angeli Holding hanno avuto paura di approvare senza modifiche il piano adottato (che avrebbe comportato l’esproprio, pena l’impossibilità di attuare quanto previsto dal P.R.G.), perché ciò lo avrebbe esposto al rischio altissimo di essere annullato totalmente con un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale presentato anche da uno solo dei proprietari che vogliono restare nelle loro case. Meglio, allora, eliminare dal piano tutta la zona nella quale si trovano le case dei “refrattari”, sperando di aver eliminato con ciò anche eventuali intenzioni di costosi ricorsi al T.A.R. Questa è la vera ragione della drastica riduzione dell’area sulla quale era progettata la costruzione dell’albergo.

A proposito del pericolo dell’esproprio, io avevo scritto, per chi sa leggere (le virgolette non le avevo collocate a caso) ed è dotato di un po’ di perspicacia politica [1]:

“le "condizioni giuridiche" in questo specifico caso prevedono proprio L’ESPROPRIO DEI POVERI A FAVORE DEI RICCHI. Se ciò non avverrà, almeno per il momento, sarà perché le procedure amministrative sono state (volutamente) violate, e per la resistenza di alcuni abitanti” [2].

Si è verificato proprio questo: la resistenza di alcuni proprietari ha messo in chiaro, per chi sa e vuole vedere (fra questi sono compresi, ovviamente, Romeo-Mestrone – o, meglio, i consulenti che noi cittadini gli paghiamo – e Frua De Angeli, ma non il consigliere comunale Campisi), che, se si voleva salvare l’operazione (almeno in parte), non era più consigliabile portare avanti, senza aggiustamenti anche onerosi, le procedure amministrative che, essendo state volutamente violate, avrebbero potuto causare l’annullamento di tutto il piano con una sentenza del T.A.R.


Quali procedure sono state violate, e da chi?

Le procedure previste per la presentazione di un “Piano di recupero” sono state violate volutamente da Frua De Angeli Holding, che inizialmente ha presentato, come se si trattasse di chiedere un semplice permesso di costruire, un progetto edilizio e non un piano di recupero, denominazione che solo successivamente è stata attribuita al progetto. È questa la sensazione che si trae dall’esame dei documenti allegati alla delibera di adozione, poiché l’unico riferimento al piano di recupero, oltre che nella Delibera di Giunta n. 197 del 29 settembre 2008, è contenuto nello schema di convenzione, vale a dire in una bozza che reca la data di elaborazione 22 settembre 2008, la quale risulta essere assai più recente non solo della data di elaborazione o di protocollo di tutti gli altri documenti, ma è posteriore all’avvio stesso della pratica, effettuato con istanze 7 marzo 2008 e 18 luglio 2008 (secondo quanto riportato nelle premesse della delibera).

Sembra, quindi, che la questione del piano di recupero sia stata o ignorata o accantonata nelle fasi di elaborazione delle tavole progettuali (le quali sono riferibili, appunto, ad un progetto edilizio, e non invece ad un piano attuativo), e che essa sia emersa in una fase di istruttoria avanzata. Questa anomalia ha determinato varie carenze di quello che è stato poi adottato come “Piano di recupero”.

A sua volta, la giunta comunale ha violato le procedure di sua competenza, poiché ha adottando un progetto che forse solo nelle fasi finali dell’istruttoria aveva assunto il nome di “Piano di recupero”, e pur non avendone rispettato le procedure ha approvato e pubblicato una delibera di adozione di un “Piano di recupero”.

Per quanto riguarda la presentazione del piano attuativo è stato violato l’articolo 12, 4° comma, della Legge Regione Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 [3] (è questa la norma da rispettare e non l’articolo 14 bis delle Norme Tecniche di Attuazione [4], poiché la normativa regionale prevale, come fonte di rango primario, sulle norme locali):

“per la presentazione del piano attuativo è sufficiente il concorso dei proprietari degli immobili interessati rappresentanti la maggioranza assoluta del valore di detti immobili in base all’imponibile catastale risultante al momento della presentazione del piano, costituiti in consorzio, ai sensi dell’art. 27, comma 5, della legge 1° agosto 2002 n. 166” [sott. mie, nda].

Tuttavia, fra i documenti allegati alla delibera di adozione, non se ne trova nemmeno uno che dimostri che Frua De Angeli Holding al momento della presentazione del progetto fosse proprietaria di una quota di immobili tale da rappresentare la maggioranza assoluta in base all’imponibile catastale; né vi è menzione di iniziative intraprese per formare un consorzio con altri proprietari eventualmente disponibili ad aderire al piano.

Dunque il piano è stato adottato dalla giunta comunale senza che fossero dimostrati i presupposti richiesti dalla legge, soprattutto considerando che diversi abitanti delle case della Zona Ba, attigua alla Zona A (quella della villa) e compresa nel piano, si sarebbero trovati, qualora non avessero aderito al consorzio, ad essere privati dell’abitazione. Ma ad ogni modo, anche ammesso che Frua De Angeli Holding avesse potuto dimostrare di avere la maggioranza necessaria per sottoporre all’Amministrazione l’approvazione di un piano di recupero, questo non avrebbe potuto essere adottato senza che fosse stata prima attivata la procedura prevista dal già citato art. 12, 4° comma, della l. r. n. 12/05, la quale è finalizzata a coinvolgere, sin dalla fase iniziale, tutti gli altri proprietari.

Ai sensi di tale norma, infatti, quando la proposta sia formulata da chi detiene solo la maggioranza della proprietà determinata sulla base dell’imponibile catastale,

“il sindaco provvede, entro dieci giorni dalla presentazione del piano attuativo, ad attivare le procedure di cui all’articolo 27, comma 5, della legge 166/2002”.

Fino a che non si siano concluse tali procedure, non decorre il termine di novanta giorni (fissato dall’art. 14 della stessa legge 12) entro il quale l’Amministrazione è tenuta a pronunciarsi sulla proposta, poiché il 5° comma dell’art. 27, dispone che

“il sindaco, assegnando un termine di novanta giorni, diffida i proprietari che non abbiano aderito alla formazione del consorzio ad attuare le indicazioni del predetto piano attuativo sottoscrivendo la convenzione presentata. Decorso infruttuosamente il termine assegnato, il consorzio consegue la piena disponibilità degli immobili ed è abilitato a promuovere l’avvio della procedura espropriativa a proprio favore delle aree e delle costruzioni dei proprietari non aderenti” [sott. mia, nda].

Nei documenti allegati alla delibera di adozione non vi è alcuna traccia delle procedure che sarebbero state di competenza del sindaco.


Per quali motivi le procedure sono state violate volutamente?

Le procedure sono state violate, innanzitutto, per porre tutti i proprietari di fronte al fatto compiuto della delibera di adozione, impedendogli così aderire al consorzio per l’attuazione del piano, con assunzione degli oneri solo pro-quota della proprietà di ciascuno, chiedendo il rispetto del vincolo stabilito dall’articolo 14 bis comma 1 delle N.T.A., secondo il quale nelle zone Ba

“le destinazioni d’uso ammesse sono: residenza (principale), terziario (compatibile)”, e solo fra queste ultime quelle “turistico-ricettive” [sott. mie, nda].

Se ciò fosse avvenuto, sarebbe stata evidenziata, già prima della presentazione del piano, l’incongruità e l’illegittimità di accorpare due distinte zone urbanistiche, la villa (che secondo l’art. 14, comma 2, delle N.T.A. è una delle “Zone A: aree interessate da edifici di interesse storico e ambientale”, ma è anche, sempre secondo le N.T.A., una delle “zone per attrezzature ricettive e per il tempo libero”, ed è sottoposta alla specifica disciplina di cui all’art. 23, 3° comma, che riguarda espressamente la trasformazione dell’area della villa in strutture ricettive), e le case di una attigua “Zona Ba: ambiti costruiti a maggior caratterizzazione ambientale”, (N.T.A., art 14 bis, comma 1), in un unico piano che prevede l’estensione della destinazione della prima alla totalità della seconda.

E sarebbe stata evidenziata anche la difformità del “piano di recupero” dal P.R.G., poiché l’art. 14 bis, 7° comma, delle N.T.A. stabilisce che nelle Zone Ba il piano di recupero può essere adottato solo

“previa approvazione di variante ai sensi della L. R. 23 giugno 1997 n. 23 che identifichi l’area di intervento come zona di recupero” [sott. mia, nda].

Invece, è mancata anche l’individuazione della zona di recupero (ai sensi dell’art. 27 della legge 5 agosto 1978 n. 457), che è competenza del Consiglio Comunale e non della Giunta, cosicché da quest’ultima è stata avviata la procedura di approvazione di un piano di recupero in assenza di un indispensabile presupposto che consentisse di individuare l’entità e i confini di un ambito degradato (in realtà alcune delle case della Zona Ba sono già state restaurate dai proprietari rispettando le prescrizioni del Comune), così da rendere ragione dell’estensione dello strumento attuativo.

Se gli abitanti della Zona Ba avessero avuto la possibilità di esplicitare formalmente e per questi motivi il loro eventuale rifiuto di aderire al consorzio, prima a Frua De Angeli Holding e poi in opposizione alla diffida al sindaco, questo formale e motivato rifiuto avrebbe costretto la giunta comunale a respingere il progetto.


Il vero terrorismo psicologico sugli abitanti della zona Ba

Ma, soprattutto, le procedure sono state violate volutamente perché un progetto edilizio presentato per ottenere un semplice permesso di costruire, e come tale denominato, non avrebbe potuto comprendere anche le case di chi non voleva vendere, o delle quali comunque Frua De Angeli Holding non era ancora proprietaria, e quindi non sarebbe stato possibile usare l’atto di adozione formale del progetto come spauracchio, ventilando la conseguenza dell’esproprio per i “refrattari”. Invece, con l’adozione e la pubblicazione di un “Piano di recupero”, vale a dire di un piano attuativo del P.R.G., che comporta eventualmente l’esproprio come garanzia di attuazione (per togliere a chi non vi aderisce la possibilità di non farlo attuare nei fatti), era possibile agitare lo spauracchio dell’esproprio al fine di “convincere” tutti gli altri proprietari a vendere a Frua De Angeli Holding. Se questo spauracchio avesse prodotto i suoi effetti su tutti, non sarebbe stato più necessario ricorrere ad una misura sicuramente impopolare come l’esproprio. E in effetti questa prospettiva/spauracchio nient’affatto campata per aria, e che potrebbe essere scongiurata solo con notevoli oneri economici, su alcuni ha avuto effetto già da prima che io mettessi piede per la prima volta in Via Doria e cominciassi a parlarne.

Questi i termini reali della questione, individuati già con un primo esame di alcuni degli allegati fondamentali della delibera di adozione, della Legge Regione Lombardia n. 12/2005 e di tutte le norme che riguardano specificamente i piani di recupero (a cominciare dalla legge 457/1978), non solo dal sottoscritto ma anche da qualcuno degli abitanti direttamente interessati.

La presentazione e l’adozione del piano senza rispettare le procedure obbligatorie hanno fatto pesare su chi non aveva l’intenzione o la convenienza di andarsene dalla Zona Ba non solo la pressione delle richieste di acquisto della Frua De Angeli, ma anche la pressione assai più forte e spaventevole di un procedimento del potere pubblico la cui impugnazione avanti il T.A.R., notoriamente, per singoli cittadini è costosissima. Anche per poter contare su questo deterrente, né Frua De Angeli Holding, prima della presentazione del piano al Comune, né il sindaco, prima di adottarlo, hanno proposto agli altri proprietari di costituire un consorzio per attuare un piano di recupero (come invece sarebbe stato obbligatorio). Era meglio evitare non solo di suscitare la resistenza a vendere di alcuni, ma anche di correre il rischio di un’opposizione politico-sociale che la Holding non avrebbe mai potuto sconfiggere da sola. Né la probabile opposizione sociale e politica all’operazione (che comunque avrebbe comportato, come vedremo più avanti, l’esproprio a favore della Frua De Angeli) era una prospettiva augurabile da Romeo-Mestrone e dai figuranti che fanno loro compagnia nella giunta, soprattutto in questo periodo in cui temono di dover affrontare diverse brutte “grane” con la magistratura. Meglio usare la pressione istituzionale per “convincere” tutti a vendere: in questo caso non sarebbe più stato necessario ricorrere all’esproprio.

Ma è noto che le ciambelle non sempre riescono col buco. La resistenza di alcuni abitanti, sostenuti da diversi cittadini che, verificata l’ignavia, l’indifferenza, l’incapacità dei partiti cosiddetti di opposizione, hanno deciso di reagire dedicando a questa questione tempo, energie e denaro [5], presto ha reso evidente che era impossibile ottenere il risultato di convincere tutti i proprietari entro la scadenza del termine per l’approvazione definitiva del piano, ma che, anzi, per attuare il piano contro la volontà dei "refrattari" sarebbe stato necessario e obbligatorio ricorrere all'esproprio. Il rispetto di questo obbligo da parte del sindaco avrebbe potuto invocarlo Frua De Angeli, che non ha certo l’esigenza di mantenere il consenso politico che preoccupa invece Romeo-Mestrone.


La forza delle reali “condizioni giuridiche”

Come uscire da questa situazione? Innanzitutto se ne dovevano mascherare i termini reali. Quando Romeo ha affermato (non più di un paio di volte, in realtà) che le “condizioni giuridiche” per l’esproprio mancavano, e che quindi tutti potevano dormire sonni tranquilli, non ha fatto altro che raccontare una delle tante balle che facce di bronzo come la sua e come quella di Mestrone e dei funzionari al loro servizio raccontano (e ovviamente ancora racconteranno) per mistificare un’operazione con la quale, per l’ennesima volta, per assicurare profitti agli speculatori hanno abusato delle loro funzioni, del Comune, delle leggi e delle norme del Comune stesso.

Infatti, la procedura scorretta seguita per presentare il piano, la sua adozione illegittima da parte della giunta comunale, la dichiarazione illegittima di conformità al P.R.G. che è contenuta nella delibera n. 197 del 29 settembre 2007, con tutto il resto di norme che scorrettamente vi sono richiamate, la sua pubblicazione – tutto ciò, nonostante sia scorretto o illegittimo, comunque costituisce un insieme di “condizioni giuridiche” (non ho usato e non uso le virgolette a casaccio!) scientemente creato affinché fosse formalizzato in una delibera della Giunta Comunale che, se non impugnata avanti il T.A.R. entro sessanta giorni, diventa, se necessario, coercibile con l’assistenza della forza pubblica [6].

Tuttavia il meccanismo fatto di leggi e norme usate in modo distorto era stato congegnato dai consulenti di Romeo-Mestrone (pagati con soldi pubblici) e da quelli di Frua De Angeli Holding con la speranza di non essere costretti a seguirlo fino in fondo. Essi speravano, cioè, che la pressione del piano già adottato dal Comune, da un lato, e il pensiero deterrente degli alti costi economici di un ricorso al T.A.R., dall’altro, avrebbero “convinto” tutti gli abitanti della Zona Ba a vendere le loro case. Purtroppo (per Romeo-Mestrone e Frua De Angeli) la resistenza all’operazione, che comunque si è manifestata, ha creato un’impasse dalla quale era possibile uscire, scartata per ovvie ragioni l’eventualità di ritirare o di non approvare il piano, solo con una delle seguenti soluzioni:

a) approvare il piano adottato, sperando che il deterrente dell’onerosità di un ricorso al TAR facesse abbandonare questa eventuale intenzione da parte di chi lo aveva osteggiato; decorsi 60 giorni, la “condizione giuridica” di una delibera divenuta valida anche perché non impugnata, avrebbe reso obbligatorio, e giustificabile, l’esproprio al fine di dare attuazione ad un piano di recupero d’iniziativa privata rientrante a pieno titolo fra gli strumenti attuativi del P.R.G;

b) approvare il piano apportandovi modifiche tali da togliere agli abitanti che lo avevano osteggiato la possibilità di sostenere di avere un interesse legittimo per fare ricorso al T.A.R.

Tentare di uscire dall’impasse con la soluzione a) era evidentemente rischiosissimo, poiché un ricorso al T.A.R. da parte di chi non solo si è rifiutato di vendere, ma anche di farsi coinvolgere nel procedimento presentando delle osservazioni, potrebbe ottenere l’annullamento (quasi certo, tenendo conto delle violazioni evidenti delle procedure di presentazione e di adozione) della delibera di approvazione, e quindi l’annullamento di tutto il piano.

Poiché l’importante era salvare l’approvazione del piano, era dunque preferibile la soluzione b), e per essa è stato inventato l’escamotage dell’osservazione sollecitata da parte di Romeo con la promessa di pronto accoglimento. Era necessario, infatti, mascherare l’impossibilità di portare fino in fondo un’operazione per la quale tutte le norme e tutte le procedure erano state manipolate e/o distorte, e per questo è stata accettata una richiesta formulata senza motivazioni, nonostante fosse possibile formularne molte riferendosi alle irregolarità segnalate. Questo ha comportato il radicale ridimensionamento della Zona Ba compresa nel piano (ma in realtà il ridimensionamento è stato congegnato in modo che in futuro il piano possa essere attuato interamente come era stato pensato).

Le mistificazioni di un sindaco pieno di paura, ma dalla faccia di bronzo
Che improvvisamente l’obiettivo fosse diventato quello di salvare l’approvazione del piano anche a costo di un ridimensionamento, era chiaro a chiunque avesse un po’ di perspicacia politica: dopo aver registrato, prima della scadenza del termine per le osservazioni (il 29 ottobre 2008), che l’opposizione preannunciata su questo blog [7] si stava concretizzando, Romeo era immediatamente corso al riparo cercando (ma maldestramente) di infinocchiare tutti, ed in particolare gli abitanti di Via Doria, con la panzana velleitariamente sibillina delle “condizioni giuridiche” mancanti, ma significativamente mai specificate. Questo, tuttavia non è stato chiaro alla raffinata intelligenza politica del consigliere comunale Campisi (ma in realtà egli, soprattutto in questo caso, ha tutto l’interesse non solo a farsi infinocchiare, ma ad infinocchiare a sua volta la sua claque). [8] Infatti, il giorno dopo una riunione degli abitanti della Zona Ba, alla quale ero stato invitato, e nella quale i suoi amici erano venuti a sostenere, riferimenti normativi sballati alla mano e interrompendo chiunque, che non c’era alcun pericolo di esproprio, Romeo, ufficialmente chiamato dai suoi amici proprietari ma non abitanti in Via A. Doria, si era precipitato a ripetere a sua volta che per l’esproprio “mancavano le condizioni giuridiche”, mistificando, come avevano fatto i suoi amici, su ciò che può essere dichiarato “di pubblica utilità”, e sollecitando, anzi, la presentazione di domande di “stralcio”, ché lui le avrebbe prontamente accolte! Quale faccia di bronzo! Il sindaco dichiarava che non poteva espropriare a favore di un privato, ma era proprio lui che aveva avviato una procedura con la quale era già stato adottato un progetto che per costruire un albergo prevedeva la demolizione di tutte le case, anche di quelle che non erano proprietà di Frua De Angeli e i cui proprietari non volevano vendere – una procedura che, se rispettata rigorosamente, prevedeva come atto finale proprio l’esproprio di chi non voleva aderire al progetto e non voleva vendere. Il sindaco giurava e spergiurava che non avrebbe mai fatto un esproprio perché “mancavano le condizioni giuridiche”, ma poi si metteva a sollecitare le richieste di stralci di chi non voleva vendere e quindi – come sarebbe disceso dalle sue parole – nulla avrebbe avuto da temere dall’approvazione del piano!
Il fatto è che Romeo sapeva bene quali fossero le “condizioni giuridiche” mancanti. O, meglio, egli sapeva bene quanto in realtà fossero deboli e/o illegittime le “condizioni giuridiche” create con l’adozione del “Piano di recupero”, poiché egli sapeva bene che il piano era stato presentato ed adottato violando diverse norme. La paura sua e di Frua De Angeli era (ed è) che un ricorso al T.A.R. mettesse in luce questa reale mancanza delle “condizioni giuridiche” per approvare il piano.
La soluzione adottata è stata escogitata con la speranza di togliere a chi volesse ricorrere al T.A.R. la possibilità di sostenere di avere un interesse da difendere. Vedremo se questa speranza è fondata. Per intanto va sottolineato che, ovviamente, l’approvazione di un piano di recupero presentato ed adottato con una procedura illegittima è anch’essa illegittima; anzi, questo escamotage ha aggravato l’illegittimità del piano, poiché la riduzione della sua estensione, che già non copriva interamente la Zona Ba, viola l’art. 14 bis delle N.T.A. comma 10:

“i Piani di Recupero devono … prevedere: a) un’estensione territoriale non inferiore all’ambito minimo…”,

il quale, come evidenzia la scheda 8 allegata alle N.T.A., nel caso in questione comprende tutta la parte della Zona Ba ora esclusa dal “piano di recupero”.

Permangono, quindi, anzi sono più forti, tutte le ragioni per opporsi a quest’altra speculazione edilizia, eventualmente anche con il ricorso al T.A.R.


Note
[1] Qualità che non caratterizzano, nemmeno in misura minima, il consigliere comunale Campisi, Guida e Grande Timoniere del PD locale, il quale, a proposito di questo piano di recupero ha prodotto una stentata pantomima di un’argomentazione scintillante e stringente per dimostrare che io (e non Romeo-Mestrone in combutta con Frua De Angeli Holding!) avrei fatto del “terrorismo psicologico”, che mi sarei atteggiato a “Salvatore del mondo” e che avrei fatto “sparate catastrofiste (che) alimentano le paure della gente senza spiegare come stanno effettivamente le cose”. (v. Comprensibili preoccupazioni e “terrorismo” psicologico). La decisione di non rispondere in quel momento alla ridicola pantomima, che aveva in realtà lo scopo di dimostrare a Romeo la disponibilità del PD limbiatese a convalidare le sue mistificazioni, e di rispondere, semmai, dopo la scadenza del termine per l’approvazione del piano (per ragioni di opportunità, ovvie per chi sia dotato di minima intelligenza politica), è stata concordata con tutti coloro che, in autonomia dalla finta e mistificante sapienzialità alla Campisi, avevano deciso di opporsi a questa ennesima porcata a danno dei cittadini, della quale Campisi è corresponsabile. Parlerò in un altro articolo della funzione politica della pantomima di Campisi, che significativamente non diceva nulla sui contenuti del progetto, né sul modo in cui è stato presentato ed adottato. Per il momento mi limito a dire che non basta scandire alcuni “Assolutamente no” per simulare la progressione di un discorso dalla logica stringente. Come dirò più avanti, già il punto di partenza normativo della pantomima di Campisi è sbagliato.

[2] V. Tutto scorre, tutto cambia. Tranne i notabili paesani, i fancazzisti, i somari, gli imbecilli e i disonesti

[3] Modificato dall’art. 1 della legge regionale 14 marzo 2008 n. 4.

[4] Campisi comincia la sua mistificante pantomima con l’articolo 14 bis delle N.T.A.:
“I progetti di piano di recupero (nelle zone Ba) devono essere sottoscritti da almeno il 75% delle proprietà calcolato in base all’imponibile catastale; nel caso di non integrale sottoscrizione del progetto da parte delle proprietà ed esso sia ritenuto meritevole di accoglimento dall’Amministrazione Comunale, il P.R. è approvato ai sensi dell’art. 28 Legge 5 agosto 1978, n. 457″ e, senza capirne (o ignorandone volutamente) la portata nel caso specifico, dà subito per scontata la correttezza dell’operato di Frua De Angeli e del sindaco!
[5] La Guida e Grande Timoniere del PD locale, con il suo infantile spirito di patata, che vorrebbe spacciare per ironia, sui “Salvatori”, non riesce a celare il suo dispetto per quest’altra manifestazione di autonomia dai politicanti come lui, tuttavia fa benissimo ad usare il plurale, perché stiamo diventando molti…
[6] La delibera di approvazione di un “Piano di recupero”, successiva a quella di adozione (l’una e l’altra sarebbero di competenza del Consiglio Comunale e non della Giunta), se non impugnata avanti il T.A.R. entro sessanta giorni, poiché comunque darebbe attuazione a quanto previsto dal P.R.G., creerebbe la condizione prevista dall’art. 12 comma 1 del D.P.R. 327/2001:

1. Se l'opera e' conforme alle previsioni dello strumento urbanistico, ad una sua variante o ad uno degli atti indicati all'articolo 10, comma 1, la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta: a) quando è approvato il progetto definitivo dell’opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare ad insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona”; b) in ogni caso, quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l'approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti [sott. mie, nda],

Campisi, finto loico sottile ma reale consigliere comunale somaro e/o disonesto, riporta l’art. 12 con sue interpolazioni, ma omettendone la premessa e il punto b) del comma 1, senza (o facendo finta di non) accorgersi che la progressione logica dei testi di legge non sempre corrisponde alla progressione numerica dei loro articoli.

Infatti, la dichiarazione di pubblica utilità, disposta con l’approvazione non impugnata del piano di recupero, creerebbe la condizione “ante” per apporre il vincolo preordinato all'esproprio previsto dall’ art. 9, comma 1 dello stesso decreto (la cui mancanza, ritenuta immodificabile e perpetua, è stato l’unico pseudo-argomento della mistificazione di Romeo, dei suoi amici e di Campisi a proposito della “mancanza delle condizioni giuridiche per l’esproprio”):

“Un bene e' sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità”.

Il vincolo preordinato all’esproprio si potrebbe apporre, comunque, sulla base dell’art. 10:

“1. Se la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale, il vincolo preordinato all'esproprio può essere disposto, ove espressamente se ne dia atto, su iniziativa dell'amministrazione competente all'approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico e l'apposizione su un bene del vincolo preordinato all'esproprio,

e dunque, in realtà, l’impedimento per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio sarebbe semmai la mancanza dell’approvazione della variante al P.R.G. (di competenza del Consiglio Comunale): ma anche in questo caso la Giunta ha dimostrato di infischiarsene della correttezza delle procedure, e il consigliere comunale Campisi su ciò non ha nulla da ridire! Pertanto, trascorsi sessanta giorni dalla delibera di approvazione del piano, sarebbe stato possibile far sloggiare i refrattari solo con l’esproprio. Questa minaccia tacita è stata abbandonata solo quando… la paura (del ricorso al T.A.R.) ha indotto Romeo-Mestrone e Frua De Angeli Holding ad una tattica più accorta.
[7] V. Il T.A.R. si pronuncerà sul P.I.I. di Via Monte Sabotino il 4 dicembre 2008.
[8] Campisi come capogruppo del PDS alla fine degli anni novanta ha votato la variante del P.R.G. che adesso consente il “Piano di recupero” esteso anche alla Zona Ba, ma non per restaurare quell’“ambito costruito a maggior caratterizzazione ambientale” con la destinazione urbanistica residenziale come “principale” (cioè che dovrebbe conservare gli insediamenti [= gli abitanti] che la caratterizzano), bensì per demolirla per far posto ad un albergo (forse) di lusso!