mercoledì 28 aprile 2010

Niente balle: le varianti urbanistiche “automatiche” sono illegittime.





Tale è la fregola di dimostrare che se sotto la volta celeste qualche cosa esiste, questa cosa, anche se del tutto immaginaria, può esistere solo “grazie al PD” (questa è la frase oscena che si ritrova ossessivamente sparpagliata in tutto ciò che egli dice), che Archetti ha immesso nel blog del PD un comunicato sconclusionato su un incontro con i revisori dei conti del Comune di Limbiate, che risulta scritto e pubblicato addirittura prima dell’incontro stesso [I Revisori dei Conti: delibera illegittima]. Come lui stesso dice, l’incontro è avvenuto “in serata” (del 26 aprile), ma il comunicato risulta pubblicato alle ore 18.09 dello steso giorno. In realtà Archetti nel pomeriggio del 26 aveva già pubblicato un post nel quale diceva cose altrettanto sconclusionate. Uscito dall’incontro felice come una pasqua per essersi fatto infinocchiare insieme a Terragni, Binacchi, Pecora, e convinto di essersi ricollocato al centro della scena politica, ha modificato il titolo del post precedente per renderlo ancor più fuorviante, ha cancellato l’aria fritta che lo riempiva e l’ha sostituita con un altro testo – che così risulta scritto e pubblicato prima dell’incontro!

Il tasso di credibilità di questo comunicato sarebbe zero (oppure di un grado lì vicino): la sintassi periclitante e l’abbondanza di termini usati a casaccio sono (ancora una volta) indici della scarsa disposizione del coordinatore di un partito che ha circa il 20% di voti a cogliere gli aspetti essenziali di un discorso e a riassumerlo correttamente. Ancora una volta Archetti dimostra di non sapere (o non volere?) cogliere l’essenziale di una questione che è soprattutto politica, e non solo giuridico-amministrativa. Tuttavia egli ancora si avventura ad usare il termine “illegittimità”, una volta a proposito del “bilancio” (quale?), e un’altra a proposito della “delibera” (quale?). Non solo, egli parla di denunce senza precisare di cosa, e chi le avrebbe presentate a chi e dove, a fronte delle quali i revisori avrebbero maturata l’intenzione, resa pubblica (quando, e come?), di “fare chiarezza sull’argomento”, e della loro “volontà di ricorrere ad una consulenza legale in materia (a spese di chi?), prima di esprimere un giudizio definitivo”.

Sarebbe inaudito!!! Il Comune di Limbiate pagherebbe molte decine di migliaia di euro a tre specialisti che però non sarebbero in grado di controllare, alla luce delle leggi esistenti, la legittimità di ciò che viene scritto nei bilanci del Comune e che dovrebbero ricorrere a loro volta ad un consulente! E vorrebbero chiedere (al presidente del consiglio comunale e non direttamente al ragioniere comunale!) le pezze giustificative delle cifre dei bilanci, che dovrebbero essere sempre e immediatamente a loro disposizione! Tuttavia, sembrerebbe dallo sgrammaticato comunicato di Archetti, costoro sarebbero in grado di giurare che le procedure di vendita già bandite erano regolari! E Archetti e gli altri se la bevono fino in fondo!

La questione centrale da affrontare con dei revisori dei conti, non era la "legittimità della delibera”. Di quale delibera ciancia Archetti? La delibera del Consiglio Comunale n. 12 del 20 febbraio 2009 era del tutto legittima, ma non lo è affatto la delibera della Giunta Comunale n. 68 del 7 aprile 2010. Questo era ed è fuori discussione, tanto che quest'ultima delibera è stata stralciata dal bilancio. È basata su una norma che non esiste più: la consulenza legale è solo fumo negli occhi.

La questione centrale era bensì la legittimità delle cifre provenienti dalle vendite dei terreni inserite nei bilanci. I revisori dovrebbero sapere già quali rapporti giuridici relativi alle vendite dei terreni erano non solo già conclusi, ma anche non più impugnabili l'8 gennaio 2010: il criterio discriminante è questa data, nella quale la sentenza n. 340/2009 della Corte Costituzionale è divenuta pienamente efficace. Da qui si deve partire per giudicare la legittimità dei conti Chi avesse voluto presentarsi all'incontro senza essere disposto a farsi infinocchiare, avrebbe dovuto prepararsi facendosi mostrare prima i documenti dal ragioniere comunale e/o dal segretario comunale, per poi, eventualmente, chiedere conto ai revisori delle loro dichiarazioni di convalida del bilancio di previsione 2010. Invece, come era prevedibile senza grandi sforzi d’immaginazione, Archetti & C. si sono fatti infinocchiare non solo sul bilancio di previsione 2010, nel quale si prevede che il 23% (!) delle entrate provenga da vendite di terreni che per il momento non possono essere previste, ma anche sul consuntivo 2009, poiché potrebbero essere state accertate entrate sulla base di rapporti giuridici instaurati nel 2009 (anno in cui sono stati espletati due bandi), ma non conclusi alla data dell'8 gennaio 2010, che pertanto sarebbero illegittimi. La promessa della relazione del presidente del consiglio comunale (e perché mai non, direttamente, del ragioniere comunale?) avrebbe solo lo scopo di tentare di insabbiare un'eventuale denuncia alla magistratura.

Infine, come è possibile che Archetti, Terragni (che è stato sindaco per tre volte!) e Binacchi (che è consigliere comunale da quando era in fasce, ed è stato anche assessore) si bevano che nel bilancio di previsione possono essere incluse le entrate, e di conseguenza le uscite, che si vuole, perché tanto è solo una previsione?! Nel bilancio di previsione possono essere inserite solo previsioni fondate e veridiche: è un principio stabilito dal T.U.E.L. e dai principi di contabilità il cui rispetto non è facoltativo. Di sicuro è illegittimo scrivere previsioni di entrate sulla base di norme illegittime. Non stiamo parlando della cassa comune di un gruppo di ragazzi dell'oratorio che progettano di fare le vacanze insieme, bensì del Bilancio di previsione del Comune!

Non vale la pena di dilungarsi ancora a commentare ciò che affastella Archetti nel suo comunicato. Per il senso dell’operazione, rinviamo al post Pretoriani e/o collaborazionisti del sindaco Romeo? Qui dobbiamo solo aggiungere questo: è evidente la “preoccupazione” dei revisori dei conti: ne hanno ben donde! Ma non certo per gli incontri con Archetti-Terragni-Binacchi-Pecora. L’origine delle loro “preoccupazioni” è la diffida protocollata dai sottoscritti il 19 aprile u.s., che è riportata qui di seguito.

E dunque: i revisori, e per loro tramite anche la giunta e i vari funzionari al suo servizio, hanno voluto dare indirettamente una risposta dilatoria alla nostra diffida? La nostra risposta è questa: o i diffidati adempiono a tutte le nostre intimazioni, o venerdì mattina 30 aprile depositeremo un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica del Tribunale di Milano e a quella della Corte dei Conti della Lombardia.

P.S. Il consigliere Pecora, che per voglia di protagonismo spesso e volentieri si dimentica di qualsiasi decoro, ha voluto tenere il piede in due scarpe: prima, ha firmato la diffida in contrasto con il gruppo di Rifondazione Comunista, dal quale ha dichiarato che si sarebbe dimesso, ma poi, annunciate le dimissioni al suo capogruppo Binacchi, si è fatto convincere a fare marcia indietro dal pianto disperato di costui - ed è andato all’incontro con i revisori (dove si è fatto infinocchiare come gli altri).



Egregi Signori:

Sindaco
Antonio Romeo

Assessori
Ultimo Vicentini, Giuseppe Bova, Luca Mestrone, Ernesto Grassi, Fausto Guerra, Tiziano Volpe, Vittorio Quartu

Segretario Generale
Dr. Gennaro Cambria

Responsabile dell’Area Servizi Finanziari
Dr. Giuseppe Cogliati

Responsabile dell’Area Pianificazione Territoriale ed Ambientale
Arch. Enrico Galbiati

Coordinatore dell’Area Lavori Pubblici e Patrimonio Immobiliare
Geom. Ivan Cadei

COMUNE DI LIMBIATE


Oggetto: DIFFIDA AD ADEMPIERE


I sottoscritti, considerato che:

- il PIANO DELLE VALORIZZAZIONI E ALIENAZIONI del Comune di Limbiate, allegato al Bilancio 2009, è stato approvato con delibera n. 12 del 20 febbraio 2009 ai sensi dell’art. 58 del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con legge n. 133 del 6 agosto 2008, che qui appresso si riporta:

1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di Governo individua redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione;

2. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente.

- la Corte Costituzionale, con sentenza n. 340 del 16 dicembre 2009, G.U. 07/01/2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di parte dell’art. comma 2 dell’art. 58 del d.l. sopra richiamato, sulla base delle seguenti argomentazioni: “ancorché nella ratio dell’art. 58 siano ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, non c’è dubbio che, con riferimento al comma 2 qui censurato, assuma carattere prevalente la materia del governo del territorio, anch’essa rientrante nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo all’effetto di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e valorizzazione.

Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., in tali materie lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (ex plurimis: sentenze nn. 237 e 200 del 2009).

Orbene la norma in esame, stabilendo l’effetto di variante sopra indicato ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale (sentenza n. 401 del 2007).

Alla stregua di queste considerazioni deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., restando assorbito ogni altro profilo.

Da tale declaratoria, tuttavia, resta esclusa la proposizione iniziale del comma 2, secondo cui «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica». Infatti, in primo luogo, la suddetta disposizione non risulta oggetto di specifiche censure. In secondo luogo, mentre la classificazione degli immobili come patrimonio disponibile è un effetto legale conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente, la destinazione urbanistica va ovviamente determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme vigenti”.

- pertanto, a seguito della sentenza della Corte, l’inserimento degli immobili nel piano e la previsione della destinazione urbanistica non costituiscono immediatamente variante allo strumento urbanistico generale, come originariamente previsto dalla seconda parte del comma 2, dichiarato incostituzionale,

- è necessario, invece, che la deliberazione che dispone la destinazione urbanistica dell’immobile inserito nel piano delle alienazioni sia sottoposta al vaglio delle disposizioni regionali vigenti in materia di governo del territorio e di varianti agli strumenti urbanistici comunali, attraverso una procedura idonea a verificare “la conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni”;

considerato, ancora, che:

- l’art. 136 della Costituzione prevede che “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”; e l’art. 30 della Legge 11 marzo 1953 n. 87 disciplina ulteriormente gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale;

– la Cassazione ha più volte ribadito che "Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validità e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche "consolidate" per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l'atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza”;

- ne consegue che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti solo per quei rapporti costituitisi e consolidatisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi "di legalità";

- la stessa legge dichiarata incostituzionale dovrà essere disapplicata, invece, per gli eventuali nuovi rapporti;

- in ogni caso, tuttavia, si dovrà ritenere abrogata la norma incostituzionale nei confronti dei rapporti non ancora costituiti, di quelli in corso di costituzione e di quelli non ancora perfezionati;

considerato, infine, che:

- il Comune di Limbiate il 21/01/2010 e il 07/04/2010, quindi dopo il giorno in cui la sopra citata sentenza della Corte Costituzionale è divenuta efficace (08/01/2010), ha pubblicato bandi di pubblico incanto per la vendita di immobili per i quali veniva ancora specificato: “con l’approvazione del PIANO DELLE VALORIZZAZIONI E ALIENAZIONI DEL COMUNE DI LIMBIATE (MB), ai sensi dell’art. 58 del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con legge n. 133 del 6 agosto 2008, la destinazione urbanistica del PRG vigente degli immobili in oggetto è stata variata in ZONA D per l’insediamento di attività artigiane-produttive” - cioè omettendo di specificare che per effetto della sopra citata sentenza quelle varianti avevano perso ogni validità, e quindi gli immobili in questione mantenevano la destinazione urbanistica stabilita dal P.R.G. vigente anteriormente all’approvazione del “Piano delle valorizzazioni e alienazioni, ecc.”,

- la Giunta Comunale, in data 07/04/2010, con la delibera n. 68/2010 ha deliberato di “ADOTTARE il Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, da allegare al Bilancio di Previsione 2010”, fondando detta deliberazione ancora sul citato comma 2 dell’art. 58 del D.L. n. 112/2008, convertito con legge n. 133 del 6 agosto 2008, riportato integralmente nella delibera, come se fosse ancora valida la parte di esso che stabiliva che le varianti approvate con il “Piano delle alienazioni ecc.” non necessitavano di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata delle province e delle regioni, e non fosse stata dichiarata costituzionalmente illegittima, e quindi ormai inefficace, da una sentenza della Corte Costituzionale!;

- in data 9 aprile 2010 la Giunta Comunale ha preteso di porre in votazione nel Consiglio Comunale l’approvazione della citata delibera n. 68/2010, senza aver preventivamente esplicitato che essa figurava fra gli allegati del Bilancio previsionale 2010, e quindi senza aver esplicitato quale fosse il suo contenuto (surrettiziamente presentato poi, come semplice correzione delle intestazioni catastali di alcuni immobili!);

- solo le proteste dei gruppi di opposizione, allertati da uno dei sottoscritti, Salvatore Ricciardi, hanno indotto il funzionario dr. Cogliati (e non il Sindaco!), a dichiarare che la delibera G.C. n. 68/2010 veniva “stralciata”;

- il bilancio previsionale 2010, con una procedura dalla assai dubbia validità, è stato votato come “stralciato” della delibera G.C. n. 68/2010;

considerato tutto quanto è stato esposto sopra,

i sottoscritti Salvatore Ricciardi, residente in Via Archimede n. 8; Michelangelo Campisi, residente in Via Monte Bianco n. 133/1; Pierluigi Pecora, residente in Via Groane n. 53


diffidano le SS.VV. a :

- prendere atto della sentenza n. 340 del 16 dicembre 2009, G.U. 07/01/2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di parte del comma 2 dell’art. 58 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge n. 133 del 6 agosto 2008;

- dichiarare che, per effetto della richiamata sentenza, devono essere considerate nulle tutte le situazioni giuridiche che sono state create in seguito ai bandi di pubblico incanto pubblicati posteriormente al 07/01/2010 per la vendita di immobili del Comune di Limbiate, la cui destinazione da tali bandi risultava variata con l’approvazione del Piano delle valorizzazioni e alienazioni del Comune di Limbiate, allegato al Bilancio 2009;

- dichiarare che, per effetto della richiamata sentenza, devono essere considerate nulle tutte le situazioni giuridiche ancora in corso di costituzione alla data dell’08/01/2010 e/o non ancora perfezionate, che sono state create in seguito ai bandi di pubblico incanto pubblicati anteriormente al 07/01/2010, per la vendita di immobili del Comune di Limbiate, la cui destinazione da tali bandi risultava variata con l’approvazione del PIANO DELLE VALORIZZAZIONI E ALIENAZIONI DEL COMUNE DI LIMBIATE, allegato al Bilancio 2009;

- accertare nel bilancio consuntivo 2009 esclusivamente le entrate derivate da situazioni giuridiche create in seguito ai bandi di cui sopra espletati entro il 31/12/2009 e perfezionate alla data dell’08/01/2010;

- emendare il bilancio previsionale 2010, cancellando le somme previste in entrata per effetto di situazioni giuridiche conseguenti all’espletamento dei bandi di cui sopra ma non perfezionate o non ancora costituite alla data dell’08/01/2010 o comunque costituite successivamente;

- porre in votazione nel Consiglio Comunale il Bilancio previsionale emendato entro i termini di legge per l’approvazione (30 aprile 2010);

- mettere in mora i responsabili delle situazioni giuridiche che sono state create o proseguite ignorando e/o disattendendo gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale più volte richiamata, per qualsiasi danno che dovesse derivare al Comune di Limbiate dall’annullamento dei bandi e delle situazioni giuridiche conseguite al loro espletamento;

- dare immediatamente avvio alle procedure per la nuova approvazione del PIANO DELLE VALORIZZAZIONI E ALIENAZIONIDEL Comune di Limbiate sulle base delle norme effettivamente vigenti;

- dare ai sottoscritti puntuale riscontro di aver adempiuto a quanto sopra diffidato entro il termine di dieci giorni dalla data odierna, in mancanza del quale i sottoscritti, decorso il termine indicato, trasformeranno la presente diffida in esposto-denuncia che sarà depositato alla Procura della Repubblica e alla Procura della Corte dei Conti.

Distinti saluti.

Limbiate, 19 aprile 2010


Salvatore RICCIARDI

Michelangelo CAMPISI

Pierluigi PECORA

[Aggiunta dell’11 luglio 2012: l’articolo e la diffida che precedono sono stati pensati e scritti interamente da me,  Salvatore Ricciardi, e del tutto mie sono state sia l’idea dell’iniziativa politica sulla questione del piano delle alienazioni dei beni demaniali e delle cifre fittizie inserite nei bilanci comunali (preventivo e consuntivo), sia la proposta dei modi in cui svolgerla dentro e fuori del Consiglio Comunale; l’una e l’altra inizialmente erano state entusiasticamente accettate da Archetti, Campisi, Terragni & C. I contenuti dell’iniziativa e i vari momenti in cui si è svolta, con le giravolte e i voltafaccia di alcuni, nel Consiglio e fuori, si possono ricostruire leggendo i seguenti articoli:


Alla fine, restai solo a sostenere l'idea di ricorrere alla magistratura, e naturalmente non mi fu possibile farlo da solo. Questa precisazione viene fatta esclusivamente per ristabilire la verità e ridimensionare le disinvolte  autorappresentazioni odierne degli Archetti e dei Campisi].

domenica 25 aprile 2010

[La guerra partigiana non è una guerra come tutte le altre. È una guerra politica, popolare, fuori da ogni finzione, «una guerra civile»]


Norberto Bobbio

[Dalla Premessa a D. Livio Bianco, Guerra partigiana, Einaudi, Torino 1973, pp. VIII-XI; la ristampa più recente è del 2006]




Pochi libri (…) come questo riescono a darci una rappresentazione insieme efficace ed autentica della guerra partigiana. Livio non parla di persone, racconta gesta; ma sono gesta ispirate, quasi tenute insieme, collegate, rese coerenti, da un’idea centrale. L’idea centrale è questa: la guerra partigiana, la «guerriglia», per restituirle il suo nome classico, non è una guerra militare, non è una guerra nazionale, non è una guerra come tutte le altre. È una guerra politica, popolare, fuori da ogni finzione, «una guerra civile» (o «per la civiltà», come Livio commenta). Una guerra democratica, in duplice senso, in quanto è democratico il suo metodo (non gerarchia, non comandi che non si discutono, non galloni né gradi) ed è democratico il suo fine ultimo, l’abbattimento di una dittatura e l’instaurazione di un regime fondato sulla partecipazione popolare al potere (in cui dovrebbe consistere la «rivoluzione democratica» di cui si fa banditore il Partito d'Azione). Al di fuori dello schema tradizionale della guerra come difesa o come riparazione, la guerra partigiana appare chiaramente a Livio come un mezzo, come l’unico mezzo in una situazione data, di lotta politica. Tanto meglio se la lotta politica può essere combattuta con mezzi pacifici; ma in certe circostanze, quando ciò non è possibile, questa stessa lotta deve combattersi coi mezzi tradizionali della guerra, ossia con le armi. Nella guerra partigiana non sono in gioco confini contestati, ma un nuovo assetto civile, non ci sono territori da difendere, ma una certa idea del vivere civile da far capire e trionfare. La guerra partigiana è guerra nel pieno senso della parola «ideologica». Il partigiano non è un soldato come tutti gli altri (e tanto meno un ufficiale): è prima di tutto un cittadino (guerra civile, questa volta, da «civis»), se pure di una città futura. Il tasto su cui Livio batte e ribatte sino a presentarsi ai compagni nella figura del comandante-moralista, del comandante-pedagogo, del comandante-maestro, è quello della «politicità» della guerra per bande.

[…]

Nel libro c’è un’idea centrale: non ci sono protagonisti, e tanto meno un protagonista. Livio non parla mai di sé, né in prima né in terza persona. Non ne sente il bisogno, perché è entrato talmente dentro alla storia che racconta da identificarsi con essa. La guerra partigiana ha anche quest’altro carattere, di essere un’impresa collettiva e anonima. Se c’è un protagonista, questo è la «gente» (anche «popolo» è parola troppo solenne e in fin dei conti enfatica). Dominante e illuminante ancora una volta è l’idea morale che sta dietro al comportamento degli uomini che agiscono in quel modo, vivono quell’insolita vita, combattono e muoiono, per aver fatto una scelta di cui ciascuno porta su se stesso tutta intera la responsabilità: una di quelle idee morali, che poi permettono, a cose fatte, di dare un senso alla storia, e quindi di parlare sensatamente di grandezza e di decadenza delle nazioni, di svolte, di ritorni, di salti in avanti o di arretramenti.

Eppure, con tutto quel parlare di politica, Livio non è un politico: la politica di cui parla tutti i giorni coi suoi compagni non ha niente a che vedere con la politica dei politici. Prima dei «venti mesi» Livio era avvocato; dopo i venti mesi torna a fare l’avvocato, salvo il breve periodo della Consulta. In una lettera a un amico tre anni dopo (30 novembre 1948), scrive così: «Nella mia vita, c’è stata una grande vacanza: ed è stato il partigianato, venti mesi di virile giovinezza, sradicato davvero, e staccato da ogni vecchia cosa». Certo, egli ha la coscienza di partecipare a un grande evento, a un’impresa eccezionale, a una giornata straordinaria. Ma siccome sa pure che non basta vincere la guerra per ottenere un nuovo assetto politico, non cede alle generose ma fatue illusioni dei più. Quando nel 1947 pronuncia due discorsi a Cuneo, l’uno in occasione della consegna della medaglia d’oro al gonfalone della città, il secondo in occasione della visita ufficiale di Luigi Einaudi, presidente della Repubblica,[1] il tempo delle «grandi speranze» è ormai esaurito, e il suo distacco dalla politica militante definitivamente compiuto: all’«entusiasmo morale» è subentrato il fastidio per lo stato di compromesso tra il vecchio e il nuovo, cui si sente ormai completamente estraneo: «Quelle forze, che credevamo di aver per sempre debellato, e verso cui abbiamo avuto il torto di essere stati troppo indulgenti, son sempre vive, e rialzano la testa, e cercano baldanzosamente la loro rivincita».

[…]

Livio non è un uomo di molte parole: il che non vuol dire che sia soltanto un uomo di azione. È un uomo di riflessione e di azione, di un’azione che nasce da una forte consapevolezza del fine da raggiungere, da una volontà razionale. Del resto, senza un’idea dominante, senza un principio di organizzazione, senza un calcolo rigoroso del rapporto tra fini e mezzi, le bande non avrebbero potuto durare; e invece durarono tra grandi difficoltà, e attraverso vicende di terrore e di sangue, sino ai giorni dell’insurrezione che le condusse a sfilare, alla fine di aprile del 1945, con Livio alla testa, nella Torino liberata. Una volontà razionale sorretta da un carattere fermo, da una tenacia che rasenta l’ostinazione, da una meticolosità nella predisposizione dell’azione che può essere scambiata per pedanteria. L’unico vocabolo del gergo militaresco che Livio accoglie nel suo linguaggio è lo pseudonimo che talvolta si attribuisce: «piantagrane». Un piantagrane ma insieme un risvegliatore: due qualità opposte, generalmente incompatibili, che riunite insieme fanno i personaggi straordinari adatti a tempi straordinari. La Resistenza fu il tempo, dice lo steso Livio, in cui «le teste quadre seppero essere anche calde e lanciarsi con impeto in una guerra che esigeva anche, e in sommo grado, entusiasmo e fantasia».

[…]

Se in una società sempre più corrotta e volgare come la nostra, abbiamo ancora ragione di guardare al passato e di trarne un conforto, questo passato è la resistenza viva, non quella imbalsamata, la resistenza incompiuta o interrotta o rinviata o spezzata, come meglio la si voglia chiamare, la resistenza come impeto, come «conato», destinata, come tutti i conati, a indicare una meta ideale più che non a prescrivere un risultato (ma la storia è fatta così e non possiamo cambiarla), con tutte le sue debolezze e le sue speranze, con la sua nobiltà, con i suoi ardimenti, i suoi sacrifici, le sue «pene oscure» (queste parole sono di Nuto Revelli), di cui queste pagine sono una cronaca appassionata e fedele.



[P.S. V. anche il bellissimo epistolario Giorgio Agosti-Dante Livio Bianco, Un'amicizia partigiana. Lettere 1943-1945. Introduzione e cura di Giovanni De Luna, Albert Meynier, Torino 1990, 496 pp.; nuova ediz. Bollati Boringhieri, Torino 2007]



[1] Qui c’è un lapsus di Bobbio, poiché il secondo discorso (riportato nel post seguente) fu pronunciato il 18 settembre 1948; lo si trova nell’Appendice di Guerra partigiana (pp. 148-152).




[Non si aspettarono ordini dall'alto, che non sarebbero mai venuti]


Allocuzione al Presidente della Repubblica [Luigi Einaudi] del cittadino onorario di Cuneo Dante Livio Bianco in occasione della consegna di ricompense al Valor Militare a sette partigiani - 18 settembre 1948.





Signor Presidente,

Non può essere senza ragione, senza significato, che la prima visita del Presidente della Repubblica alla città dei sette, anzi degli otto assedi, sia stata fatta per consegnare ai partigiani le ricompense al valor militare. Questa cerimonia, resa tanto solenne dalla partecipazione del primo cittadino d'Italia, si ricollega così, idealmente, alla grandiosa manifestazione dell'8 giugno dell'anno scorso, quando alla città venne conferita la medaglia d'oro per il ruolo, da essa gloriosamente sostenuto, di roccaforte, di base di operazioni e di capitale del partigianato. Allora, con la decorazione del gonfalone cittadino, attraverso la città e la provincia di Cuneo se ne onoravano i figli, generosi, tenaci, instancabili combattenti per la libertà. Oggi, consegnando queste medaglie, attraverso le persone dei morti e dei vivi che sono stati decorati, Lei, che impersona l'Italia, ha reso omaggio al valore di tutta una terra e di tutta una gente.

Perché, se mai vi fu guerra di popolo, guerra capita o sentita, voluta o condivisa, combattuta o sostenuta da tutti (o da quasi tutti), guerra piena di ragioni e di interessi per i più vari ceti sociali che concordemente vi contribuirono, è la guerra partigiana che per venti duri mesi, ininterrottamente, corse quel «Piemonte del Piemonte» che è la provincia di Cuneo.

Qui, dove la vergogna dell'8 settembre, con i generali in fuga e l'esercito in dissoluzione, ancora non aveva avuto il tempo di consumarsi, e già i volontari, con Duccio Galimberti e Giovanni Barale alla testa, accorrevano alle armi, raccogliendosi in quelle montagne da cui il nostro partigianato doveva trarre la sua ispirazione, la sua forza, il suo stile.

Qui, dove non si aspettarono ordini dall'alto, che non sarebbero mai venuti, dove ogni uomo, a un certo punto, senza regolamenti militari, senza costrizioni d'autorità, senza messaggi ufficiali, si trovò di fronte unicamente alla propria coscienza o al proprio istinto: e scelse la sua strada, e la prese, e la percorse sino in fondo.

Qui, dove le «teste quadre» solitamente sono la regola, e le «teste calde», se pur ve ne sono, l'eccezione: eppure, nella svolta risolutiva dell'8 settembre, le «teste quadre» seppero essere anche «calde», e lanciarsi con impeto in una guerra che esigeva anche, e in sommo grado, entusiasmo e fantasia.

Crollava lo Stato, e l'ombra della distruzione e dello smarrimento si stendeva dappertutto: ed ecco i figli di Cuneo ripiegarsi, rinchiudersi in sé, e , con impegno profondo, con la più salda tenacia, trovare in se stessi, nelle loro memorie e nelle loro tradizioni, nelle loro virtù e nei loro ideali, nella storia e nel paesaggio della loro terra, la forza del cuore e dell'ingegno che fece di essi gli artefici della più bella resistenza, cioè un esercito combattente e una repubblica in movimento.

Signor Presidente, Lei che tanto bene conosce la storia del Piemonte, ricorderà la fiera risposta data da Vittorio Amedeo II agli emissari di Luigi XIV i quali gli spiegavano come le condizioni del suo esercito gli togliessero ogni possibilità di resistere alle potenti armate d'oltralpe: «Batterò col piede la terra, e ne usciran soldati d'ogni banda». Ebbene, l'8 settembre, e in seguito, a Cuneo e intorno a Cuneo avvenne proprio così: i soldati, cioè i partigiani uscivano da ogni parte, perché qualcuno aveva battuto col piede la terra; ma non era stato un sovrano, re o principe che fosse, bensì una forza più alta e maestosa, quella che si chiama la coscienza civile, la vocazione nazionale, il senso dei valori supremi, quella essenziale virtù insomma, che, magari sotterranea ed invisibile per lungo volgere di anni, erompe nei momenti decisivi, e spinge un popolo a non mancare nell'ora del dovere storico.

E nessuno meglio di Lei, Signor Presidente, può penetrare e comprendere l'anima ed il carattere di questa resistenza cuneese, di cui oggi sono stati decorati alcuni fra i mille e mille campioni: l'anima ed il carattere, cioè di una guerra che non fu solo un cumulo di episodi militari, ma qualcosa di organico, di intimamente legato al genio ed all'indole della popolazione, alla stessa composizione della società, e direi persino ai luoghi ed alle cose; l'anima ed il carattere di una lotta dove si trovarono uniti il valligiano della montagna e il contadino della pianura, il prete di campagna, l'operaio della fabbrica, l'artigiano, il professionista; lo studente, il commerciante della città, e l'ufficiale disgustato del vecchio esercito; d'un moto solidale in cui il concorso, il valore, il sacrificio di ogn'uno si illumina del concorso, del valore del sacrificio di tutti.

Proprio questa è la ragione della imponenza e della diffusione del partigianato nella nostra provincia. In altre regioni esso poté svilupparsi più in una parte e altrove meno, poterono esserci delle aree neutre, degli spazi bianchi: qui invece non un palmo di terreno ne fu immune perché dappertutto batteva l'onda della guerra, sospingendo o richiamando le forze combattenti.

Eppure, nonostante tutte le sue peculiarità locali, nonostante tanti e così intimi vincoli con la provincia, il partigianato cuneese non ebbe assolutamente nulla di provinciale. E come un secolo prima il Piemonte aveva portato nella vita italiana una nota rigorosa di modernità, un accento nuovo europeo, così adesso la provincia di Cuneo prima e più di ogni altra si apriva ai motivi internazionali della lotta antifascista, al sentimento di una solidarietà europea, di una fratellanza fra i popoli superiore a ogni angustia nazionalistica: si apriva alla idea che non si combatteva per i confini o per puro onore patriottico, ma per i più alti valori umani e civili, per il bene supremo della libertà e per la generosa ragione della giustizia.

E perciò mi sia consentito rilevare che quella amicizia italo-francese di cui tanto oggi si parla, prima ancora che attraverso i rapporti fra diplomatici o le trattative fra governanti fu ritrovata e ristabilita proprio sulle montagne di Cuneo, coi memorabili accordi promossi nella primavera del 1944 da un figlio di Cuneo, Duccio Galimberti: e fu suggellata solennemente col sangue sparso dai partigiani di qua e di la delle Alpi: col sangue dei partigiani italiani caduti in Francia, come Arrigo Guerci e Giuseppe Scagliosi, che oggi sono stati decorati e che morirono combattendo in Val Tinea e in Val Vesubia; col sangue dei partigiani francesi caduti in Italia come il prode Lulù del cui nome ancora risuonano e sempre risuoneranno le langhe che lo videro combattere e morire.

Questo, nei suoi tratti essenziali, il volto del partigianato cuneese: volto schietto, nobile, forte, immagine vera di quella Italia per la quale abbiamo combattuto: una Italia moderna, pulita, seria, fatta di uomini liberi, nemici della retorica e capaci di ideali.

E se anche l'Italia di oggi non è quella che abbiamo sognato e per la quale sono morti i migliori fra noi; se i partigiani mutilati o invalidi e le famiglie dei caduti ancora attendono la liquidazione delle loro pensioni; se è possibile che pubblicamente ed indisturbatamente siano qualificati volgari assassini i membri di quel Comando Regionale Piemontese che ha avuto nel nostro Duccio Galimberti un animatore ed un esponente esemplare; se in troppe occasioni i reggitori del nostro paese dimenticano quel che persino nel trattato di pace ci è stato riconosciuto dagli stranieri, ossia l'apporto preminente e decisivo della Resistenza per la riabilitazione dell'Italia dopo l'infame ventennio fascista; se, dunque, tutte queste cose, e tante altre simili possono riempire l'animo di sdegno, di amarezza e di delusione, tuttavia i partigiani cuneesi non depongono la fede, e fanno loro il sostanzioso motto dello stemma cittadino: FERENDO!

Infatti la terra di Cuneo è terra di fedeltà: ed è una fedeltà che perdura saldissima, come fedeltà a quegli ideali di libertà e di democrazia che ci hanno guidato nella lotta, come fedeltà a quello che Francesco Ruffini, con anima forse presaga, chiamava bellamente «impeto di liberazione».

Anche Lei, Signor Presidente, è legato a questi ideali, a questa lotta, a questo impeto di liberazione: e non solo per il suo antico antifascismo di cui è stato maestro a tanti fra noi sin dal tempo della scuola, ma anche e soprattutto perché Lei è il capo di quella Repubblica per la quale tutti i partigiani, direttamente o indirettamente, consapevolmente o inconsapevolmente hanno combattuto. La Repubblica è uscita dal travaglio della guerra partigiana e dalla gloria della vittoria partigiana di cui la provincia di Cuneo fu splendida protagonista ed artefice: perciò è giusto Signor Presidente, che la suprema dignità della Sua carica e la Sua viva coscienza di figlio genuino della terra cuneese si siano insieme congiunte nel momento di consegnare queste medaglie.

E se, come Lei ci ha tante volte insegnato, la memoria dei morti e il senso delle tradizioni devono essere lievito di vita e stimolo di fervore operoso, questa cerimonia deve significare, sopra ogni altra cosa, la riaffermazione di una continuità ideale per cui le battaglie, le glorie e i sacrifici di ieri formano l'immancabile premessa e la sicura garanzia delle speranze di un domani migliore.

Questo è il sentimento, il voto, l'impegno di Cuneo partigiana!
Dante Livio Bianco (Cannes 1909-Cima St. Robert, Valle Gesso, Cuneo, 1953), Guerra partigiana. Raccolta di scritti, a cura di Giorgio Agosti e Franco Venturi, Einaudi, Torino 1954, pp. 441-445.

sabato 24 aprile 2010

Pretoriani e/o collaborazionisti del sindaco Romeo?





Comunicato inviato alla stampa

La maggioranza di centro-destra che si serve del Comune di Limbiate come se fosse “cosa sua”, al momento di mettere ai voti l’approvazione del Bilancio di previsione 2010 nel Consiglio Comunale del 9 aprile u.s., non ha voluto derogare alla protervia con la quale viola norme e leggi ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, né esimersi dal mostrare il disprezzo che sempre mostra verso il Consiglio, che convoca per chiedergli l’approvazione di provvedimenti di grande importanza (come, per esempio, i Programmi Integrati d’Intervento, i Piani di Lottizzazione, il Bilancio di previsione e quello Consuntivo), ma sistematicamente ne informa i gruppi consiliari con documentazioni, spesso incomplete, messe a disposizione con un anticipo di pochissimi giorni (a volte solo due!). Questa volta il sindaco Romeo, l’assessore al Bilancio Vicentini, il segretario Cambria e il ragioniere comunale Cogliati si sono spinti fino al punto di inserire negli allegati da far approvare con il bilancio una delibera della Giunta Comunale, ufficialmente approvata il 7 ed esposta all’albo pretorio l’8 aprile 2010, e di tentare di farla approvare senza farne esplicita menzione agli ignari consiglieri. Questa delibera, sotto l’aspetto di “correzioni delle intestazioni catastali” di alcuni terreni, conteneva in realtà una nuova approvazione (e una proroga fino al 2012) del “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari”, già approvato con il Bilancio di previsione 2009 (con validità fino al 2011), ma ancora sulla base della norma di legge, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, che a suo tempo ne aveva determinato il valore di variante automatica al Piano Regolatore Generale non soggetta alle “verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni”.

La menzione della presenza della delibera in questione fra gli allegati al Bilancio di previsione 2010 che stavano per votare, è stata fatta ai consiglieri solo dopo che alcuni di questi, della minoranza, avvisati da uno dei sottoscritti, cittadino non consigliere comunale, hanno chiesto che fosse dichiarato su quali specifici provvedimenti li si stava chiamando al voto. La maggioranza (o meglio il ragioniere comunale Cogliati) ha tentato di presentare il contenuto della delibera come una semplice correzione di alcune intestazioni catastali errate! Quasi tutti i gruppi di minoranza, allora, oltre che protestare per questo oltraggio alle loro funzioni istituzionali, hanno chiesto che il voto sul bilancio fosse rinviato di alcuni giorni, per avere il tempo di prendere adeguata visione del contenuto della delibera e dei suoi allegati. Ma la maggioranza, guidata, si badi, dal ragioniere comunale e non dal sindaco!, ha imposto, invece, di considerare “stralciata” la delibera senza una votazione su questo “stralcio” (semplicemente con la dichiarazione fatta fuori microfono dal ragioniere comunale!) e di mettere ai voti il bilancio. Ma, prima che ciò fosse fatto, il PD, Sinistra Riformista, Rifondazione Comunista e l’Italia dei Valori hanno abbandonato l’aula consiliare in segno di protesta.

Con questo ennesimo abuso la giunta di centro-destra ha voluto consegnare alla cittadinanza un bilancio illegittimo, poiché ne è parte integrante e fondamentale un atto che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 340/2009, è stato approvato con una procedura costituzionalmente illegittima. Su questo atto, il “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari”, è basato circa il 23% delle entrate previste per il 2010, che dovrebbero provenire da alienazioni di terreni le cui nuove destinazioni urbanistiche “automatiche” sono illegittime. Il massimo organo deliberativo del Comune non poteva subire un oltraggio peggiore: ciò che un terzo del Consiglio Comunale aveva chiesto non era altro che un rinvio di alcuni giorni per avere modo di leggere dei documenti che la giunta aveva tentato di far votare di nascosto. E nemmeno in questa circostanza, i consiglieri della maggioranza, sempre proni ai voleri del sindaco Romeo, hanno saputo trovare la dignità sufficiente per non farsi imporre almeno questa, fra le tante umiliazioni delle funzioni della rappresentanza che il loro capo impone anche a loro, oltre che alla minoranza..

Ma non si può tacere che anche il comportamento di alcuni fra i consiglieri della minoranza non è stato certo dei più cristallini. La sera del 9 aprile, infatti, il consigliere Terragni, della Sinistra Riformista, che fuori dal Consiglio sembrava manifestasse l’opposizione più decisa al tentativo truffaldino della giunta, nell’aula è rimasto in religioso silenzio, poiché non ha avuto il coraggio di dire alcunché che potesse risultare sgradito al ragioniere comunale Cogliati. (Terragni aveva già collaborato con Cogliati nella diffusione delle frottole sui presunti “mancati trasferimenti” dei contributi dello Stato, che sarebbero la causa delle difficoltà di bilancio, mentre in realtà i dati pubblicati dal Ministero dell’Interno dimostrano che lo Stato trasferisce con regolarità i suoi contributi al Comune). Binacchi di Rifondazione Comunista, come fa sempre, ha seguito pedissequamente l’esempio di Terragni. Ma costoro hanno fatto ancor peggio nei giorni successivi, insieme al consigliere del PD Archetti, che della questione (per sua stessa ammissione) non aveva capito granché!

Era chiaro che l’unica azione per obbligare il centro-destra ad affrontare una discussione su un provvedimento manifestamente illegittimo, era quella della richiesta della convocazione del Consiglio Comunale firmata, a norma dello Statuto comunale, da almeno un quinto dei consiglieri (la minoranza è composta da 11 consiglieri). Ma già il 10 aprile il coordinatore del PD, Archetti, sul blog del suo partito, ha presentato la protesta dell’opposizione come se fosse guidata da lui; poi ha inviato alla stampa un comunicato con le firme di gruppi d’opposizione che ne erano all’oscuro. Alcune proteste hanno convinto il coordinatore del PD a ritirare il comunicato (che infatti non è stato pubblicato sulla stampa) [v. A difesa della nostra autonomia politica], ma non sono servite a convincerlo che per proseguire la protesta, le proposte che aveva inserito nel comunicato erano del tutto inconsistenti, mera produzione di aria fritta.

In realtà si trattava di un tentativo (poi riuscito) di impedire che fosse sottoscritta da almeno un quinto dei consiglieri la richiesta di convocazione del Consiglio Comunale. Infatti, questa proposta, che era del tutto coerente con quanto era stato chiesto (e non ottenuto) nell’aula consiliare il 9 aprile, non è stata sottoscritta da Terragni (Sinistra Riformista) e da Binacchi (Rifondazione Comunista), che dapprima si sono limitati a manifestare una certa ritrosia, ma poi, dopo alcuni giorni di tira e molla, l’hanno apertamente rifiuta, preferendo accodarsi alle proposte inconsistenti di Archetti: scrivere al Prefetto (che se pure rispondesse, chissà quando lo farebbe) e andare a parlare con il Collegio dei revisori dei conti, che ha già firmato e fornito al sindaco Romeo (dal quale è stato scelto e nominato a suon di profumate indennità) la relazione, allegata al Bilancio di previsione 2010, che ne certificherebbe la legittimità! Insabbiamento più manifesto non potrebbe esservi: da un lato la proposta di discutere in pubblico, nel massimo organo deliberativo del Comune, un’illegittimità evidente con la quale la giunta tenta di coprire una gestione del bilancio che di anno in anno diventa sempre più disastrosa; dall’altro discorsi giustificativi e/o scaricabarile fra poche persone nelle segrete stanze.

La semplice richiesta di chiarimenti su ciò che si stava per votare aveva messo in grave difficoltà (come tutti hanno percepito, e riconosciuto, compresi alcuni esponenti della maggioranza di centro-destra) sia Cogliati, sia Romeo. Il sabotaggio della convocazione del Consiglio Comunale ha ridato a costoro tranquillità (ma è probabile che non duri molto). Poiché non si tratta solo di mancanza di intelligenza politica, sorge spontanea la domanda: Terragni, Binacchi, Archetti, sono pretoriani del sindaco Romeo, o collaborazionisti, o entrambe le cose?

Limbiate, 23 aprile 2010

Michelangelo Campisi, capogruppo Italia dei Valori (idvlimbiate)
Salvatore Ricciardi, organizer Gruppo Amici di Beppe Grillo di Limbiate



[Aggiunta dell’11 luglio 2012: il comunicato che precede è stato pensato e scritto interamente da me,  Salvatore Ricciardi, e del tutto mie sono state sia l’idea dell’iniziativa politica sulla questione del piano delle alienazioni dei beni demaniali e delle cifre fittizie inserite nei bilanci comunali (preventivo e consuntivo), sia la proposta dei modi in cui svolgerla dentro e fuori del Consiglio Comunale; l’una e l’altra inizialmente erano state entusiasticamente accettate da Archetti, Campisi, Terragni & C. I contenuti dell’iniziativa e i vari momenti in cui si è svolta, con le giravolte e i voltafaccia di alcuni, nel Consiglio e fuori, si possono ricostruire leggendo i seguenti articoli:


Alla fine, restai solo a sostenere l'idea di ricorrere alla magistratura, e naturalmente non mi fu possibile farlo da solo. Questa precisazione viene fatta esclusivamente per ristabilire la verità e  ridimensionare le disinvolte  autorappresentazioni odierne degli Archetti e dei Campisi].




martedì 20 aprile 2010

Grane con la giustizia per il geometra “che mette a posto le cose” (anche negli ”scomputi" degli OO.UU. di un P.I.I.!)




Il geometra Ivan Cadei, Responsabile Lavori Pubblici e Patrimonio Immobiliare del Comune di Limbiate con 49.005,55 euro di stipendio lordo annuo, nei giorni scorsi appariva più rubizzo del solito, e forse ne aveva ben donde: la banda di procacciatori d’affari che spadroneggia nel Comune di Limbiate aveva messo in moto il meccanismo per mantenere la promessa, fattagli a suo tempo, di usare i nostri soldi per sostenerlo nei guai giudiziari nei quali si fosse ficcato mettendosi al suo servizio. A tal fine lo aveva spedito, innanzitutto, a raccontare “spontaneamente” alla Polizia Locale di essere “interessato [cioè indagato? rinviato a giudizio?] in un procedimento in qualità di Responsabile Unico del Procedimento dei lavori per l’esecuzione di interventi a scomputo oneri di urbanizzazione del Programma d’intervento in località di via Verdi”. Subito dopo, dotato di questo attestato di nobiltà il rubizzo geometra si è recato nell’ufficio dell’avvocato Micaela, che ha immediatamente preparato la bozza di una delibera, poi votata dalla Giunta Comunale (n. 76 del 14/4/2010, click qui) con la quale le spese legali della difesa del geometra “che mette a posto le cose” le paghiamo noi.

L’avvocato Micaela avrà creduto di riuscire a nascondere chissà che cosa, con i termini anodini infilati nella delibera: “è interessato in un procedimento in qualità di R.U.P., ecc.” E, in effetti, dalla delibera non si può capire di che cosa esattamente si tratti, né quali sono i fatti e le responsabilità specifiche delle quali il funzionario pubblico sarebbe chiamato a rispondere. Ma per garantire al rubizzo geometra una difesa a spese nostre (poiché siamo noi che paghiamo la polizza assicurativa per la tutela legale) l’avvocato Micaela ha dovuto preparare, comunque, una delibera e, scrivendola, ahimè, non poteva omettere il nome dell’”interessato” e uno straccio di motivazione. Per l’avvocato Micaela questa è già una concessione troppo generosa, e quindi per il resto termini anodini - e vediamo se riusciamo a non spiegare un fico secco di quello che realmente interessa i cittadini che pagano! Non si capisce, poiché non lo si spiega, se il geometra rubizzo sarebbe “interessato” da un procedimento penale, oppure per danni erariali e quali sarebbero, quindi, le ipotesi di reato/i formulate a suo carico. E dunque, noi paghiamo la difesa di un funzionario pubblico, ma non abbiamo diritto di sapere quali sono gli addebiti che un Pubblico Ministero intenderebbe rivolgergli!

Nella delibera, tuttavia, secondo lo stile della giunta (vi ricordate la delibera per non costituirsi parte civile contro Galimberti, il padrone di Euronics? [v. Rinviato a giudizio per reati ambientali e falsità ideologica in atto pubblico...], vi è già un giudizio assolutorio: il geometra “che mette a posto le cose” è incolpato (sembrerebbe) di “fatti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio”, e quindi il Comune sicuramente deve “assumere, ai sensi dell’art. 28 CCNL 14/09/2000, l’onere della difesa a valere sulla copertura assicurativa, ecc.” Non si sa se la giunta abbia preso visione almeno dell’informazione di garanzia, o se abbia preso per oro colato quanto il geometra Cadei ha dichiarato “spontaneamente”, certo è che già in questa fase la giunta non sembra aver alcun dubbio che gli addebiti che vengono mossi al geometra siano da circoscrivere nell’ambito degli "adempimenti dei compiti d’ufficio”, e non siano minimamente configurabili come responsabilità esclusivamente personali. Ma forse, si tratta di responsabilità che non possono essere esclusivamente personali… ma nel senso che sarebbero condivise con altri. Infatti, fra le cose che l’avvocato Micaela non è riuscita a non dire, vi è che si tratta di “esecuzione di interventi a scomputo oneri”, e ciò non può che far intuire, o meglio far sospettare, che probabilmente il rubizzo geometra non sarebbe l’unico responsabile. Gli “interventi a scomputo oneri”, infatti, non li decide e non li concorda il solo Responsabile Lavori Pubblici e Patrimonio Immobiliare del Comune di Limbiate, ma, prima di lui, vi sono coinvolti diversi altri funzionari e tutta la giunta. E per quanto riguarda l’esecuzione delle opere, nessuna frode è possibile se il controllo del Responsabile Lavori Pubblici e Patrimonio Immobiliare è effettivo.

In realtà, basterebbe questa sola ragione, il sospetto che viene comunque insinuato dalle stesse poche cose che non si possono non dire, per spingere altri, provvisto di una coscienza diversa da quella dell’avvocato Micaela e di chi le elargisce ogni anno 68.471,13 euro prendendoli dalle nostre tasche, a spiegarci nei termini essenziali di che cosa esattamente è chiamato a rispondere un nostro funzionario. Ma, parafrasando don Abbondio, una certa coscienza, se una non ce l’ha, non se la può dare…

Ripetiamo: noi paghiamo le spese perché un rubizzo geometra nostro dipendente si difenda in un procedimento penale senza sborsare un ghello di tasca sua, ma chi prende questa decisione non ci permette di sapere perché costui deve difendersi dagli addebiti che gli sono mossi a proposito di “fatti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio”! Ma di quali fatti precisamente si tratta? Nell’“esecuzione di interventi a scomputo oneri”, che cosa avrebbe combinato il rubizzo geometra per essere “interessato” da un procedimento penale? Chi lo avrebbe accusato? Quando? Gli sarebbero addebitati danni a soggetti privati e/o a soggetti pubblici? Al Comune di Limbiate? Di quale natura? Di quale entità? Sarebbe accusato di aver procurato lucro a sé stesso e/o ad altri? Avrebbe agito da solo o in concorso con altri?

Il rubizzo geometra ha goduto fino ad oggi, sia dentro che fuori del panopticon benthamiano che funge da municipio, della larga fama di essere uno “che mette a posto le cose” - e addirittura anche i dirigenti politici del Comune! È una fama alimentata dallo stesso geometra, che più volte si è dato da fare per infinocchiare, riuscendovi, consiglieri comunali ignorantelli e fessacchiotti che in quella convenzione, in quel progetto, in quel calcolo c’erano alcune cose fuori posto, ma lui – anche alzando la voce, neh? – aveva “messo a posto le cose”! Ma chissà come le avrà messe a posto nel Programma Integrato d’Intervento di Via Verdi, se ora ha la necessità di farsi pagare un avvocato difensore con i nostri soldi! Poiché l’avvocato Micaela e chi paga anche lei con i nostri soldi non si sono degnati di spiegarci un bel nulla, proviamo a formulare da soli qualche ipotesi su cosa potrebbe aver combinato il geometra “che mette a posto le cose”.

Con il modo perverso (poiché adattissimo a sottrarre denaro dalla cassa pubblica) dello “scomputo” del valore di opere pubbliche (realizzate, spesso, senza alcun reale bisogno) dagli oneri di urbanizzazione, negli affari edilizi sono possibili vari giochetti che permettono a vari soggetti di lucrare ulteriormente. Il meccanismo in se stesso, in realtà, non sarebbe affatto perverso, ma solo a condizione che vi fosse un controllo effettivo da parte di funzionari integerrimi, prima su quanto viene scritto nei progetti e concordato con le convenzioni attuative, e poi su quanto e su come viene effettivamente realizzato. Nel P.I.I. di Via Verdi il geometra Cadei era Responsabile Unico del Procedimento, e quindi quali giochetti avrà avallato per trovarsi ora nella condizione di doversi difendere a spese nostre dagli addebiti di un pubblico ministero? Avrà avallato un computo metrico estimativo dei materiali per le opere da scomputare, che poi si è rivelato gonfiato rispetto alle opere realizzate? Avrà avallato il conteggio di opere non realizzate? Avrà avallato che nelle opere da scomputare fossero inclusi anche lavori di demolizione di strutture private? Avrà avallato che le opere realizzate fossero conteggiate per un valore doppio dei costi reali di esecuzione? Avrà avallato lo scomputo di opere esclusivamente di urbanizzazione primaria dagli oneri di urbanizzazione secondaria? Avrà avallato lo scomputo di opere di urbanizzazione primaria e/o secondaria dal contributo sul costo di costruzione? Avrà avallato che le opere da scomputare fossero realizzate senza alcuna gara d’appalto? Avrà omesso di verificare la veridicità delle fideiussioni presentate? Insomma: quali cose avrebbe “messo a posto” questo geometra, e in che modo, e con chi?


Questi gli interrogativi che, dopo aver letto la delibera opaca e fumogena stesa dall’avvocato Micaela (e votata dalla banda di procacciatori d’affari guidata da Antonio Romeo), si pongono i cittadini che pagano la difesa al geometra Cadei, funzionario pubblico che ha prestato un giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica. La petizione è del tutto retorica, ma gli uni e l’altro avrebbero il dovere di precisare con un comunicato circostanziato la reale natura degli addebiti mossi al Responsabile Lavori Pubblici e Patrimonio Immobiliare del Comune di Limbiate. E dovrebbero precisare anche il nome del magistrato che conduce le indagini, poiché sulla prassi degli scomputi degli oneri di urbanizzazione nel Comune di Limbiate, gli si potrebbero fornire molte altre notizie che potrebbero essergli utili per contestualizzare meglio sia la prassi amministrativa del Responsabile Lavori Pubblici e Patrimonio Immobiliare del Comune di Limbiate, sia quella dei molti altri soggetti che potrebbero/dovrebbero essere “responsabili” a vario e forse maggior titolo.

lunedì 5 aprile 2010

Quelli che amano le fidanzate non si fanno adescare dalle zoccole



Di Pietro ha fatto una battuta sui "grillini" che hanno corso in Piemonte:

"una sconfitta del centrosinistra non può essere imputata agli amici di Beppe Grillo perché loro rappresentano il fronte della protesta pura. Noi cercheremo di coinvolgere anche loro nel buon governo. Io sento molto - ha concluso Di Pietro - la responsabilità della costruzione di una coalizione per il governo del paese assumendo il ruolo di coprotagonista insieme al Pd". "Si tratta di un partito di protesta -afferma il leader Idv - che io rispetto e non criminalizzo, il mio compito è recuperare quella protesta".

(Antonio Di Pietro a Sky.it, 29 marzo, 2010)


Antonio Di Pietro ha detto che cercherà di coinvolgervi nel suo progetto di buon governo.

Il progetto di Di Pietro, glielo abbiamo fatto noi. Lui è nato dalla Rete seguendo quello che scrivevamo noi sul blog. Prima della Rete aveva metà dei voti, poi ha viaggiato sulle nostre idee. Almeno questo ce lo deve. La Rete ha mandato sia Sonia Alfano che Luigi De Magistris in Europa (eletti da indipendenti nelle liste IDV, ndr). Come fa Di Pietro a dire che lui adesso ha un piano di governo e noi no? Lui è una persona perbene, ma noi non abbiamo niente da condividere con un progetto politico come il suo, dall’alto. Perché il nostro parte dal basso.

(Beppe Grillo, intervista a Sky.it, 30 marzo, 2010)


Luigi de Magistris è stato eletto con i voti dell'Italia dei Valori e del blog. L'obiettivo era di avere un eurodeputato a Bruxelles e non in televisione. Fare luce sui capitali mafiosi in Europa e sui finanziamenti europei in Italia. Attraverso la Rete, ogni giorno. Un lavoro che fatto a tempo pieno non consentirebbe neppure di vedere la famiglia. E' stato eletto come indipendente e poi ha preso la tessera IDV. Parla a nome del MoVimento 5 Stelle senza averne l'autorità. Il popolo viola (chi è?) con le manifestazioni sovvenzionate dai partiti è per lui un punto di rifermento.
De Magistris il 26 marzo scorso ha pure preso la tessera, finalmente. Si è iscritto a Napoli. Ma quando si parla di Grillo e dei grillini, risponde ben diversamente dal leader dell'Idv.
Dice, infatti: «Noi dobbiamo essere il ponte di collegamento con il movimento di Grillo e non solo. Dobbiamo essere il perno di congiunzione con tutti i movimenti. Il popolo viola. Il popolo che era alla meravigliosa manifestazione del 5 dicembre scorso. Chi non è andato a votare. Dobbiamo dialogare con tutti loro. E io ho intenzione di fare passi politici e concreti, tutti in questo senso»". I passi, se li faccia da solo.

Il Blog di Beppe Grillo, 1 aprile 2010



“Loro dell’IDV” di Limbiate sembra che abbiano aggiustato il tiro: i voti del Movimento 5 Stelle non sono più voti “loro” ma, almeno in parte, sono voti condominiali [v. Noi amiamo Bebbe (sic) Grillo; controllare ciò che fa il computer, please; ndr]. Quanti sarebbero i loro millesimi, non lo dicono. In un post che sembra essere una risposta al mio I voti sono come le fidanzate..., tralasciano di mostrarsi offesi per quanto ho detto di loro, precisano che non accusano Beppe Grillo di aver rubato voti al centro-sinistra (mai attribuito a “loro dell’IDV” di Limbiate di farci questa accusa) e non si rammaricano per lo straordinario successo ecc., ma, suvvia, i voti dati alle cinque stelle non è che valgano un granché: sono solo voti di protesta, sarebbe meglio se fossero dati a “loro dell’IDV”. “Loro” dicono che auspicano che anche a Limbiate il Movimento nasca presto, perché vorrebbero interloquire, e titum e titera, e, a piene mani, foto e video con Grillo e Di Pietro; però preferirebbero un travaso, tanto che per facilitarlo sarebbero disposti ad aprire le loro liste “a chiunque, in forma indipendente e senza vincoli di partito, ci chieda di potersi candidare al consiglio comunale, per portare nelle istituzioni locali i valori del movimento di Grillo”.

Chissà chi sarebbe effettivamente compreso in quel "chiunque", chissà se vi rientrerebbe anche uno come me, che “denota un evidente comportamento isterico compulsivo”…? Per quanto mi riguarda, confesso che propenderei piuttosto per l’abulia e forse addirittura per la più nera depressione, constatando che anche nel momento in cui vorrebbe mostrare intelligenza politica e grande senso tattico, qualcuno non può fare a meno di conformare a sé il mondo e di credere che anche il Movimento 5 Stelle abbia dei “valori” da portare di qua e di là, e non dei progetti precisi che si potrebbero attuare subito, fra i quali vi è anche quello di cacciare dalle istituzioni quelli che (stando al governo o all’opposizione, non importa) le occupano da troppi anni…

Mah… È noto che io non ho alcuna intelligenza politica e nessun senso tattico, né grande né piccolo; e quindi, per quanto mi riguarda, ribadisco quello che da sempre dico sull’IDV di Limbiate:

1) l’IDV di Limbiate è solo l’agenzia locale in franchising di un marchio che circa un anno fa era in espansione sul mercato politico. In questa agenzia hanno trovato il loro naturale collocamento:

a) semianalfabeti che si erano illusi di essere qualcuno nel centro-destra; richiamati brutalmente al rispetto delle funzioni assegnate alle loro reali dimensioni (rappresentare il nulla), hanno trovato nell’IDV una sigla che, pur di rendersi visibile, era disposta ad accogliere chiunque già disponesse di una qualunque visibilità;

b) miseri arrivisti che come tali erano stati segati nel PD; abbandonato questo partito in piena campagna elettorale per le provinciali del 2009, hanno indossato la casacca nuova dell’IDV, ma hanno continuato a giocare alla vecchia maniera;

2) ovviamente, un personale politico con le caratteristiche descritte in a) e in b), pur avendo anni e anni di anzianità nel consiglio comunale, è del tutto ignorante di qualsiasi procedura amministrativa;

3) la conseguenza ferreamente determinata è che la capacità di queste persone di (e soprattutto il loro interesse a) difendere l’ambiente dall’aggressione, per esempio, della speculazione edilizia, è zero;

4) infatti, il centro-destra può tranquillamente reiterare interventi edilizi i quali, oltre che distruggere l’ambiente, nascondono (ma solo a chi non vuol vedere) autentiche truffe, anche per svariati milioni di euro, ai danni della cassa pubblica;

5) queste truffe, regolarmente organizzate con la collaborazione e/o la connivenza del PD, regolarmente passano sotto il naso dei consiglieri del partito del più famoso Pubblico Ministero di Mani Pulite, senza che se ne accorgano (quindi, semianalfabetismo non solo funzionale, ma anche politico);

6) quando finalmente si accorgono di qualcosa, costoro dimostrano di essere pusillanimi: messi sull’avviso dai discorsi di qualche cittadino, che gli arrivano per interposta persona, magari fanno un po’ di scena nel consiglio comunale sfruttando in modo maldestro qualche brandello di questi discorsi, ma si guardano bene dall’agire di conseguenza denunciando all’autorità giudiziaria ciò che dovrebbe essere denunciato;

7) dopo l’exploit delle elezioni provinciali del 2009, tutta questa gente, poiché certe abitudini contratte nei partiti di provenienza non si perdono facilmente, ha offerto di sé l'ennesimo desolante spettacolo di mostrarsi impegnata soprattutto a scannarsi vicendevolmente su chi dovrebbe essere il candidato sindaco dell’IDV e su chi sarebbe il legittimo portavoce del “partito”; intanto tutte le occasioni per far saltare il banco tenuto dal PDL e dal PDmenoelle, sono state mancate.

E quindi, la differenza dei capataces dell’IDV di Limbiate dal Movimento 5 Stelle non potrebbe essere più radicale. Chi si colloca nel Movimento (che è un movimento e non una sigla partitica, e non è “il movimento di Grillo": Beppe è uno) ha un altro modo di concepire la politica, e soprattutto di farla. Dice bene Beppe: per noi la politica si fa dal basso, e, aggiungo io, discende da tutta un’antropologia che è l’opposto del modo di pensare e di vivere la politica tipico dei personaggi di cui sopra. Naturalmente qualsiasi antropologia, qualsiasi modo di pensare e di agire, non sono determinati da un’impronta genetica: sono bensì il risultato di evoluzioni storiche spesso molto dolorose, e tutti, anche i partiti, potrebbero (teoricamente) cambiare radicalmente la loro vita e i loro pensieri. In certi casi, però, sembra davvero impossibile. Per esempio, quando si ammette che nella società c’è del nuovo solo dopo che le elezioni lo hanno mostrato, significa che non si è attrezzati per notare il cambiamento mentre si sta svolgendo, significa anzi che non si ha nemmeno la coscienza della necessità del cambiamento.

Qui a Limbiate, per esempio, per l’imbecillità e per l’invidia politica di alcuni minuscoli politicanti [v. L’invidia è peggiore dell’odio. Piccola scelta di passi di Max Horkheimer sull’educazione politica], negli ultimi due anni e mezzo sono state allegramente buttate al vento tutte le occasioni per provocare un cambiamento (questa è l’azione politica), che invero vi è stato, ma solo come consolidamento della forza del centro destra: vedi i risultati di una settimana fa, che non vi sarebbero stati se i politicanti di cui sopra avessero accettato di impostare un’azione coordinata e continuativa per cercare di distruggere la credibilità delle cose fatte da coloro che, per l’appunto con le cose che fanno, sono in grado di indirizzare a loro favore lo spirito pubblico. Altro che recitare stucchevolmente: “Non avete fatto questo, non avete fatto quest’altro…”!

Decidersi ad ammettere che il nuovo esiste, e già pretendere di dargli la forma più consona alle proprie aspirazioni elettorali, quando ormai manca solo un anno alle elezioni comunali, non sembra esattamente un’iniziativa politica, seppure tardiva. Sembra piuttosto un tentativo di adescamento. E allora, finché l’IDV di Limbiate si tiene in casa delle zoccole politiche come Campisi, Cannarozzo e Laverde, non credo proprio che sia possibile "interloquire".


domenica 4 aprile 2010

Sandro Archetti, discepolo vigliacco di Frate Antonino da Scasazza e consigliere comunale del PD connivente con la “mafia reale” di Limbiate



Sandro Archetti ha pubblicato un’altra prosa che sicuramente merita di essere antologizzata con il resto della sua produzione à la manière de Frate Antonino da Scasazza (e anche dell’Assessore allo Sporto). La prosa è breve, ma aurea (naturalmente, il significato di questa parola è quella dell’aggettivo usato dalle persone normali, e non quello del sostantivo inventato da Archetti, al posto di “aura”). Con questa operina [Per Romeo la Legge è carta straccia], Sandro Archetti supera non solo i suoi modelli, ma anche se stesso, poiché anche in una dozzina di righe riesce ad omettere il più labile filo logico - e anche qualsiasi organizzazione sintattica. Ma in realtà gli servivano solo alcune diecine di parole per darsi la possibilità di mettere giù quelle che egli considera derisioni della mia persona, e per insultarmi. Naturalmente, Archetti non fa esplicitamente il mio nome, né rinvia ai miei testi, né (in un blog non personale) si firma.

Un discepolo vigliacco di Frate Antonino da Scasazza

Dunque, questo discepolo vigliacco di Frate Antonino da Scasazza dice che sarei noioso: non si direbbe, dalla media giornaliera di accessi al mio blog dalle località e dai siti più disparati (ma molti fissi); in ogni caso, è ben evidente che, anche se io scrivo innanzitutto per denunciare fatti e comportamenti che insozzano la politica locale, e non per cialtroni come Archetti, fra i miei obbiettivi vi è anche quello di fare in modo che questi non si divertano affatto nel leggermi, ma, al contrario, che schiattino per la rabbia di vedersi mostrati come realmente sono: una versione solo in apparenza edulcorata dell’affarismo berlusconiano. Dice anche che sarei triste: beh, avere nella rappresentanza popolare del proprio Comune figuri come Archetti non è cosa che possa mettere allegria; tuttavia, chi mi legge vede bene con quanto gusto io sghignazzi a proposito di personaggi come Ti-che-te-tarchett-i-ball. Questi crede di ferirmi definendomi “ex-professorone di un istituto professionale”. In questo istituto, nel quale io non insegno ormai da molti anni, hanno trovato collocazione sia alcuni collettori di voti per il PD e per le sue sigle antesignane, sia alcuni dei burattinai che manovrano Archetti, i quali hanno percepito per decenni e ancora percepiscono lauti stipendi come personale politico nullafacente mantenuto dalla collettività. Per quanto riguarda l’attribuzione della qualifica spregiativa di ex-professorone: sarebbe in ogni caso una condizione assai migliore di quella di ignorantone in servizio permanente effettivo quale è Archetti, che, fra le tante cose delle quali ignora tutto, annovera anche gli istituti professionali e la loro funzione.

Archetti ignora “l’arco costituzionale”

Archetti mi attribuisce anche un’altra qualifica spregiativa: “genio incompreso dell’intero ‘arco costituzionale’ locale”. Cominciamo dall’”arco costituzionale”, che è un’altra delle cose sulle quali Ti-che-te-tarchett-i-ball si avventura a parlare, riuscendo tuttavia, per causa della sua ignoranza, dei suoi limiti intellettuali, della sua malafede, ecc. solo a sproloquiare. Forse Archetti crede che il suo cognome basti a metterlo in grado di parlarne… ma, in realtà, semplicemente egli non ha nozione né di cosa fosse “l’arco costituzionale”, né del tempo in cui l’espressione aveva un senso nel linguaggio politico, perché nel deserto del retroterra di Archetti è assente anche qualsiasi memoria storica. Oggi quell’”arco” non esiste più da molto tempo, non solo perché non esistono più i partiti che lo componevano, ma anche perché non esiste più da molto tempo quella Costituzione, della cui manomissione è responsabile principale il partito di Archetti.

Ma ad ogni modo, io non ho mai voluto diventare un politicante e fortunatamente continuo ad essere un cittadino, e già solo per questo sono esterno all’”arco” locale che pullula di traditori della Costituzione repubblicana del 1948 come Archetti e come i suoi sodali di partito. Inoltre, proprio perché sono un cittadino non provo alcuna attrazione, in politica, verso alcunché di geniale, ma seppure un’idea tanto balzana dovesse frullarmi per la testa, è sicuro che accetterei più volentieri di vivere da eremita al Polo Nord, piuttosto che sentirmi considerato “genio” da persone di infimo rango intellettuale e morale come Archetti. Infine, tutti vedono (anche Ti-che-te-tarchett-i-ball, ovviamente, e proprio per questo egli schiuma rabbia…) che semmai io cerco di usare l’arme della critica (espressione che ad Archetti, ovviamente, non fa venire in mente nulla...) per distruggere tutti i conniventi con il malaffare che, più o meno coscienti, stanno in quell’”arco” – ed è questo ciò che tanto fa male ad Archetti e ai suoi amici. Altro che sentirmi incompreso! Fare lezione ad uno moralmente corrotto come Archetti? Vade retro, Satana!

Le attività proprie del “pirla” sono certamente più nobili della connivenza con la “mafia reale” di Limbiate

Archetti conclude i suoi deliranti borborigmi dandomi del “bel pirla” ed attribuendomi un’idiozia che solo lui può pensare, ma non ho alcuna difficoltà a dichiarare che considero le pratiche proprie di ciò che in Lombardia si intende con “pirla” (alle quali ho avuto la fortuna di dedicarmi spesso), sicuramente più nobili ed appaganti della pratica dell’omertà su certi affari edilizi, alla quale sistematicamente ed esclusivamente si dedica il consigliere comunale Archetti. Costui rappresenta in modo plastico (ma a dire il vero con più di una deformazione grottesca) il personale tipico del partito del neo-liberismo (non, si badi, del neo-liberalismo) moderatamente edulcorato, cioè del PD. Ovviamente, il coordinatore del PD locale, che si sente lanciato verso una radiosa carriera politica, se già non sta bene quando, a proposito di fatti precisi, mostro quanto sia ridicola la sua pretesa di rappresentarsi come il contraltare del capo della banda di affaristi che ha in mano il Comune di Limbiate, ancor più sta male quando mi metto anche a ridicolizzarlo mostrando il livello della sua deprivazione linguistica! Ma questa è indice di deprivazione culturale generale e in particolare politica, vale a dire di impreparazione ad affrontare i problemi collettivi che dovrebbero essere la materia della politica. Se, come nel caso di Archetti, ciò si aggiunge alla mancanza di vere basi morali, non è poi così stupefacente che egli si abbassi fino al punto di presentare tranquillamente la scopiazzatura della falsificazione laida di un testo di Elsa Morante. Tuttavia, questa falsificazione (che non è nemmeno farina del suo sacco), fra le manifestazioni di disonestà delle quali abbonda l’attività di Archetti, non è certo quella principale. Egli, infatti, quando si trova di fronte ad un episodio di malaffare, regolarmente fa un po’ di chiasso con alcune frasi sconnesse e superficialissime, ma altrettanto regolarmente evita (anche per incapacità) di mettere in luce la struttura interna dei vari episodi di malaffare, nei quali molto spesso hanno un ruolo rilevante certi sostenitori (e a volte certi membri) del suo partito. Infatti, la facilità con la quale, prima durante e dopo il Consiglio Comunale, passano deliberazioni che provocano danni alla cassa pubblica di centinaia di migliaia, o addirittura di milioni, di euro, è sbalorditiva; ed altrettanto sbalorditiva è l’ignoranza generale e politico-amministrativa che Archetti (ma non solo lui, beninteso) evidenzia in queste (come in altre) occasioni.

Ma se ci limitassimo a parlare genericamente di ignoranza ed inettitudine politica, attribuiremmo ad Archetti una buona fede che non ha. Archetti, infatti, è del tutto privo dei fondamentali: vale a dire che l’analfabetismo di ritorno (che, nonostante i suoi sforzi e gli aiuti che riceve, non riesce a celare) e la preparazione culturale di livello a mala pena post-elementare, la mancanza di una qualsiasi memoria storica, l’impreparazione politica (sia sotto l’aspetto della cultura, sia sotto quello dell’esperienza), l’ignoranza del ruolo e dell’organizzazione dell’ente locale, la disposizione alla più sbracata superficialità nell’affrontare un problema qualsiasi, il disprezzo per la verità (e, anzi, la naturale disposizione a falsificare, mistificare, distorcere, alterare i fatti), la disonestà nei rapporti con le persone, la visceralità, il manicheismo, il settarismo fanatico – che contraddistinguono la sua persona e le sue prese di posizione – tutte queste sono caratteristiche che non gli consentiranno mai di acquisire quell’insieme di elementi culturali di base, di criteri di giudizio, di abilità e di esperienze che sarebbero indispensabili per svolgere il ruolo di rappresentante popolare con un minimo di onestà e di decoro. Ma la somma di queste belle qualità, che Archetti realizza nella sua persona, è perfettamente funzionale alla linea politica del PD, che egli pedissequamente segue - ed ecco messa a punto la macchina capace di trasformare in aria fritta anche i problemi reali!

Con dirigenti come Sandro Archetti il PD è condannato a non vincere mai

Sandro Archetti è giunto alla politica a quarant’anni, portando con sé l’unico credito dell’attività pro-bambini di Černobyl' ma, come ha poi rivelato, essendo privo di qualsiasi preparazione per affrontare, all’interno di un’istituzione come il Comune, i problemi della vita collettiva. (E che una simile prassi sia ormai divenuta costante nella formazione delle liste elettorali di tutti i partiti, non la rende affatto accettabile). Egli è stato eletto quando, non lo si dimentichi, un terzo dell’elettorato del suo partito, posto di fronte a un gran numero di candidati manifestamente inetti (anche quelli ormai ultrasessantenni), ha preferito votare per il centro-destra (e così, ormai da anni, preferisce continuare a votare). Lo sfascio del suo partito è stato poi evidenziato dalla perdita, già un anno dopo le elezioni, di tre (degli otto) consiglieri comunali, fra i quali il candidato a sindaco e il coordinatore del circolo locale; e dopo altri due anni, dalla perdita (in piena campagna per le elezioni provinciali!) di altri due consiglieri, uno dei quali era il successivo coordinatore del partito. Ecco, Archetti è diventato il rappresentante principale di un partito in queste condizioni, ma il suo ruolo è tale solo nei confronti dell’opinione pubblica, poiché nel PD di Limbiate i capi-cricca sono altri. In questo partito egli può dare sfogo alla sua naturale predisposizione a fare l’orang-outang della politica locale. L’orang-outang riesce ad imparare rapidamente alcuni comportamenti umani, ma non sarà mai un uomo; Archetti è qualcosa di simile nella politica locale. Sono mille gli episodi nei quali, nonostante tutto il suo chiassoso gesticolare, egli si è rivelato del tutto inetto a svolgere davvero la funzione di rappresentante popolare: o facendosi infinocchiare nelle riunioni del consiglio comunale da una banda di squallidi affaristi e da alcuni funzionari di livello non propriamente eccelso (ma ad ogni modo infinitamente più preparati di lui), o facendosi connivente con il malaffare edilizio, oppure coprendo con la sua omertà gli affaristi legati al suo partito che sottraggono denaro alla cassa pubblica. In un modo o nell’altro, in sostanza, Archetti ha collaborato e collabora attivamente – come ho più volte dimostrato e ancora dimostrerò – al governo del Comune di Limbiate come se fosse un’agenzia d’affari.

Archetti è l’ideal-tipo a livello locale dell’involuzione della rappresentanza politica

Sandro Archetti è l’epitome dell’involuzione coatta alla quale, nell’epoca della restaurazione neo-liberista della società e delle istituzioni rappresentative, è stato sottoposto l’istituto della rappresentanza politica in ambito locale. La preparazione culturale e quella politica non si possono inventare dall’oggi al domani, a quarant’anni; l’esperienza politica non si acquisisce cominciando direttamente dai banchi del consiglio comunale. Al contrario, chi riesce a farsi eleggere, ma è privo di uno straccio qualsiasi di preparazione, e inoltre è pervaso dalla frenesia scomposta che denota Archetti, anche se è animato dalle migliori intenzioni (delle quali, come è noto, è lastricata la strada che porta all’inferno) finisce per incastrarsi da solo in un meccanismo che gli preclude qualsiasi possibilità di miglioramento. Alcuni decenni addietro avveniva che nei partiti di sinistra consiglieri provenienti dalla classe operaia si mettessero a studiare per migliorare le loro capacità come consiglieri comunali, ma erano persone che, fra le altre cose, avevano già appreso l’abitudine alla fatica dello studio nel corso di una lunga esperienza politica precedente l’incarico istituzionale, nel corso della quale avevano forgiato, inoltre, una moralità fermissima e alta. Ma ormai anche questa tradizione culturale, propria dei partiti operai, è finita da decenni, e non è certo uno come Archetti che potrà farla rivivere. E quindi, anche per la mancanza di qualcuno che, almeno con l’esempio, lo richiami ad un minimo di ritegno, Archetti sarà sempre condannato ad offrire di sé lo spettacolo di volta in volta pietoso o desolante che egli ha finora offerto – uno spettacolo insopportabile, se si vuole conservare un minimo di senso al concetto e alla funzione della rappresentanza politica.

Naturalmente egli continuerà a funzionare benissimo per i burattinai che, in realtà, lo hanno manovrato finora, e che continueranno a manovrarlo; egli potrà continuare a rappresentare (ma maldestramente; e mi risulta che anche nel suo “partito” vi è qualcuno che glielo rimprovera) le esigenze affaristico-elettorali del suo PD e della casta della quale ormai fa parte con tanto compiacimento. Ma non rappresenta e non rappresenterà mai i bisogni, le esigenze di eguaglianza e di giustizia, di pulizia e di rigore morale - di vero vivere urbano - dei cittadini comuni. Fra i quali, purtroppo per lui, potrà sempre capitare che, oltre ad alcuni beoti che si pascono di frasi del tipo: “Ma Archetti attacca Romeo!”, si trovi anche chi non solo è indisponibile a farsi infinocchiare da simili superficialità, ma, avendo avuto la cura (ormai da alcuni decenni) di dotarsi di alcuni strumenti culturali (non è proibito, e nemmeno è peccato!) ed avendo accumulato alcune esperienze, se ne serve per praticare l’esercizio della critica anche su imbecilli pieni di boria come Archetti. Naturalmente, i tipi come lui non hanno contezza del significato del nome e del concetto di critica, assolutamente centrale nella democrazia – ma questa è una ragione in più per esigere che dalla politica locale siano spazzati via i cumuli di quella materia organica, utile esclusivamente come ammendante naturale per terreni poco fertili, della quale è fatto Archetti.