mercoledì 28 settembre 2011

Acqua pubblica. Il modello Napoli si può esportare


Si possono gestire razionalmente beni comuni sottrendoli al destino di diventare merci? A Napoli ci provano


Alberto Lucarelli e Riccardo Realfonzo*

il manifesto, 28 settembre 2011




Dopo tre mesi di intenso lavoro, durante il quale sono stati consultati esperti di differenti discipline economiche, giuridiche, aziendali, oltre ad esponenti della società civile e delle associazioni ambientaliste, la giunta di Napoli ha approvato la trasformazione della società per azioni Arin che gestisce il servizio idrico a Napoli in azienda speciale. Si tratta della prima giunta in Italia che attua la volontà referendaria del 12-13 giugno 2011.

L'azienda speciale Acqua Bene Comune Napoli, ente di diritto pubblico, nasce dalla consapevolezza che in tutto il mondo le più recenti trasformazioni del diritto hanno prodotto l'emersione a livello costituzionale, normativo, giurisprudenziale e di politica del diritto della categoria dei beni comuni, ossia delle cose che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali, nonché al libero sviluppo della persona e che vanno preservate anche nell'interesse delle generazioni future. E in questo senso ieri il consiglio comunale di Napoli ha approvato una modifica del suo stesso statuto, con la quale si inserisce tra valori e finalità dello Statuto il riconoscimento e la garanzie dei beni comuni, quali beni direttamente riconducibili al soddisfacimento di diritti fondamentali.

I beni comuni, in primis l'acqua, sono dunque adesso direttamente legati a valori che trovano collocazione costituzionale e che informano lo statuto del Comune di Napoli. Essi vanno collocati fuori commercio perché appartengono a tutti e non possono in nessun caso essere privatizzati. L'acqua bene comune è radicalmente incompatibile con l'interesse privato al profitto e alla vendita. Al tempo stesso è ormai del tutto chiaro nell'esperienza italiana che le privatizzazioni hanno determinato forti incrementi delle tariffe e nessun beneficio per i cittadini in termini di qualità del servizio. Acqua Bene Comune Napoli, chiamata a governare il bene comune acqua della città di Napoli, vuole interpretare, attraverso una buona pratica di democrazia partecipata dal basso, il suo dovere fondamentale di difendere il bene acqua. L'azienda speciale, com'è noto, è un ente pubblico economico strumentale del comune che non persegue finalità di profitto. L'azienda speciale ha l'obbligo del pareggio di bilancio e del suo equilibrio finanziario con una autosufficienza gestionale. La sua attività si svolge secondo gli obiettivi e i programmi dell'ente territoriale, cioè del comune e dei suoi cittadini. Tant'è che la strumentalità dell'azienda speciale comporta l'approvazione degli atti fondamentali e la copertura dei costi sociali da parte del Comune, il quale potrà pianificare la sua politica relativa al servizio idrico integrato in base alle proprie disponibilità finanziarie e agli obiettivi di investimento. La qualità del servizio e la sua sostenibilità con l'azienda speciale assume maggiore rilievo, rispetto alle scelte quantitative che nella gestione privatizzata possono venire comunicate o rappresentate al di fuori di essa in modo più opaco. Acqua Bene Comune Napoli, per come congeniata statutariamente - attraverso un consiglio di amministrazione rappresentativo con voto deliberativo delle associazioni ambientaliste e un comitato di sorveglianza rappresentativo oltre che della cittadinanza attiva anche dei dipendenti dell'azienda - consente di affrontare, o meglio valutare, le conflittualità delle politiche idriche e dell'utenza, anche in termini di trasparenza ed accessibilità agli atti.

Governo pubblico partecipato significa proprio un coinvolgimento attivo dei cittadini alla gestione dei beni comuni, un principio fondamentale, che era originariamente previsto anche in Puglia nel processo normativo di trasformazione dell'Aqp spa in azienda pubblica. Inoltre, lo Statuto prevede che qualora l'amministrazione comunale, per ragioni di carattere ecologico o sociale, ed in relazione ai propri fini istituzionali disponga che l'azienda effettui un servizio o svolga un'attività il cui costo non sia recuperabile deve in ogni caso essere assicurata la copertura del costo medesimo. In questa dimensione ecologica e sociale vanno letti anche gli artt. 27 e 28 dello Statuto che rispettivamente disciplinano e garantiscono il quantitativo minimo giornaliero e il fondo di solidarietà internazionale. L'auspicio è che parta da Napoli un nuovo vento che sappia concretamente reagire alla manovra di ferragosto che ha calpestato la volontà referendaria e soprattutto il principio della sovranità popolare.


* Gli autori sono assessori rispettivamente ai beni comuni e alle società partecipate del Comune di Napoli

domenica 25 settembre 2011

Alla buonora! Penati dai PM. Fissata la data




L' ex vicepresidente PD del consiglio regionale della Lombardia Filippo Penati, indagato dalla Procura di Monza per le tangenti delle aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, sarà interrogato dai pm il 9 ottobre. La richiesta alla Procura era arrivata dallo stesso Penati. «Attraverso i miei legali - ha scritto Penati in una nota - ho chiesto ai procuratori della repubblica di Monza di essere sentito e ciò avverrà il giorno 9 ottobre». L' indagine, che vede oltre venti indagati, riguarda le mazzette pagate dagli imprenditori in cambio di appalti per la riqualificazione delle vecchie aree industriali. Giovedì i pm avevano sentito Pier Francesco Saviotti, ex direttore generale di Banca Intesa , convocato come testimone, per la vicenda Milano-Serravalle.

(24 settembre 2011) - Corriere della Sera

http://archiviostorico.corriere.it/2011/settembre/24/Penati_dai_Fissata_data_co_8_110924047.shtml


mercoledì 21 settembre 2011

Penati, Monza vuole le carte di Tarantini. Intrecci tra l'indagine di Bari e il "sistema Sesto"




Arriveranno a Monza le carte della procura di Bari sulla rete di favori e appalti che ruotava intorno a Gianpaolo Tarantini. Il pm Walter Mapelli, titolare del fascicolo sul "Sistema Sesto", chiederà ai colleghi del capoluogo pugliese il fascicolo con atti e intercettazioni relativi al procedimento in cui è indagato tra gli altri Tarantini. Il faccendiere tentava di raccomandare presso aziende di Stato come Finmeccanica e altri enti pubblici come la Protezione civile l'immobiliarista pugliese Enrico Intini, imprenditore vicino al PD (...).

È proprio Enrico Intini, il trait d'union tra l'inchiesta di Bari e quella di Monza. A Sesto, l'immobiliarista pugliese che ha realizzato diverse residenze, è uno dei finanziatori di Penati, attraverso la sua associazione "Fare Metropoli", solo uno dei filoni su cui si concentra l'attenzione degli investigatori. Dopo le nuove rivelazioni del suo principale accusatore Pietro Di Caterina, Penati - accusato di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti - passa al contrattacco e si difende: "Quella della Serravalle fu un'operazione inconfutabile che sbloccò la realizzazione di Brebemi, Tem e Pedemontana. Che ha arricchito la Provincia perché ha mantenuto un patrimonio che vale più del doppio di quando lo presi in consegna. Forse è proprio questo che dà fastidio".

L’articolo integrale:

http://www.repubblica.it/politica/2011/09/21/news/penati_tarantini-21976336/?ref=HREC1-7


V. anche Oldrini: «Sistema Sesto? Magari»


lunedì 19 settembre 2011

Sistema Sesto, il riesame: [Pasini e Di Caterina sono credibili], no alla scarcerazione dell’architetto Magni


Nei suoi confronti resta il pericolo di inquinamento delle prove. Secondo i giudici le dichiarazioni degli imprenditori Pasini e Di Caterina, che accusano tra gli altri anche Filippo Penati, sono attendibili anche se "non dettate da motivazioni morali".



Piero di Caterina e Giuseppe Pasini sono credibili. Quanto raccontato dai due imprenditori, dai quali è partita l’inchiesta sulle tangenti per le aree Falck e Marelli e sul cosiddetto “Sistema Sesto” in cui è indagato anche Filippo Penati, è attendibile anche se non dettato da “pentimento” o “particolare dovere morale”. Lo dice il tribunale del Riesame che con questa motivazione rigetta la richiesta di scarcerazione a favore dell’architetto Marco Magni che, dallo scorso 25 agosto, è sottoposto alla custodia cautelare in carcere. Nelle circa 30 pagine del provvedimento i giudici non si lasciano convincere dalla ricostruzione difensiva fatta dai legali di Magni, gli avvocati Norberto Argento e Luigi Peronetti, e confermano di ritenere degne di fiducia le rivelazioni fatte da Pasini e Di Caterina. Tutto ciò nonostante il fatto che gli imprenditori, “nel rivelare fatti a loro conoscenza, non sono mossi da motivazioni di particolare valore morale, ma solo dal riscontro di non aver ottenuto, nonostante il tanto denaro versato nel tempo, quanto si aspettavano”. Insomma Di Caterina e Pasini non hanno certo vuotato il sacco per senso di giustizia e dovere civico, ma, per i giudici, il fatto che la loro scelta sia dipesa “dall’assenza del ritorno economico promesso” non fa automaticamente venir meno “la valenza delle dichiarazioni sotto il profilo della loro intrinseca credibilità”. Una presa di posizione, quella del collegio, che con queste parole bolla come “inadeguata” la misura degli arresti domiciliari per Magni, perché resta in piedi il pericolo di inquinamento delle prove. Ma anche una decisione con la quale i giudici del Riesame, pur non intervenendo nel merito dei fatti oggetto dell’inchiesta, danno comunque atto di considerare credibile quanto raccontato dai due imprenditori. Dichiarazioni, le loro, che sono alla base delle accuse formulate dai pm della Procura di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia, titolari dell’inchiesta.

Da il Fatto Quotidiano on line, 19 settembre 2011



Tangenti a Sesto, Di Caterina: Penati corrotto? No, Oldrini





I ''quattrini' all'ex presidente della provincia Flippo Penati? Per l'imprenditore dei trasporti Piero Di Caterina non erano ''mazzette ma finanziamenti'', una sorta di prestito per sostenerlo politicamente, in parte restituito.

Di Caterina parla durante la trasmissione di Lucia Annunziata 'In mezz'ora', (…) precisa di aver denunciato un ''sistema assolutamente trasversale'' e, durante la trasmissione spiega un personalissimo concetto di corruzione e concussione: ''Io mi sono impegnato a sostenere finanziariamente Penati , nel senso che non corrompo Penati per ottenere appalti illeciti, quelli leciti certamente arrivano, perche' quando sei vicino a un politico e' inevitabile avere dei vantaggi''. Avrebbe versato denaro per ''ottenere appalti nella regolarita'', con ''parita' di accesso'', pur in presenza di ''societa' dominanti''. In dieci anni, a Penati e al suo entourage avrebbe versato ''tre milioni, tre milioni e mezzo di euro'', in parte restituiti.

La musica, a suo avviso, sarebbe cambiata piu' tardi, dopo la meta' degli anni 2000 con ''l'era'' di Oldrini e Alessandrini: ''La parte di Oldrini e' quella che caratterizza maggiormente quello che chiamo 'sistema Sesto', perche' nell'era Oldrini, per essere in condizione di lavorare, bisogna entrare in un sistema di corruzione molto complesso'', ha detto, con successivo annuncio di querela dell' attuale sindaco della Stalingrado d'Italia.

L’articolo integrale:

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/09/18/visualizza_new.html_702064852.html

Altri articoli:

Corriere della sera: «A Penati ho dato tre milioni in dieci anni. Oldrini? E' Il perno del sistema Sesto
La Repubblica: Di Caterina: "In dieci anni ho dato tre milioni a Penati"
Il Fatto Quotidiano: Ex-Falck, l'accusatore di Penati: al centro del "sistema Sesto c’è il sindaco Oldrini

martedì 13 settembre 2011

L’inammissibilità dei referendum elettorali [di PD, SEL, IDV]

di Cesare Salvi*

da Il Riformista, 9 settembre 2011




La serietà nell'iniziativa politica, in un momento nel quale purtroppo cresce la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti, è più che mai necessaria. Vorrei quindi sottoporre ai sostenitori del referendum, che dicono di voler abrogare l'attuale legge elettorale per sostituirla con la precedente legge Mattarella, se hanno riflettuto sulle conseguenze che si determineranno tra i cittadini, chiamati in questi giorni a firmare, quando la Corte Costituzionale dichiarerà inammissibili i quesiti.

Allo stato attuale della giurisprudenza della Consulta, questo esito negativo sarà infatti inevitabile.

Fin dalla sua prima sentenza (29/1987), che riguardava la legge elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte Costituzionale affermò che «l'organo, a composizione elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge di attuazione. Tali norme elettorali potranno essere abrogate nel loro insieme esclusivamente per sostituzione con una nuova disciplina, compito che solo il legislatore rappresentativo è in grado di svolgere».

Questo principio è ribadito da tutta la giurisprudenza successiva.

Il primo dei due quesiti sottoposto in questi giorni alle firme dei cittadini, che prevede l'abrogazione in toto della legge Calderoli, è dunque palesemente inammissibile. Né si può sostenere, come pure ho avuto purtroppo occasione di leggere, che l'abrogazione dell'attuale legge fa rivivere quella precedente. Come dovrebbe essere noto, «la natura del referendum abrogativo nel nostro sistema costituzionale è quello di atto-fonte dell' ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria». E, come si insegna al primo anno di giurisprudenza, «l’abrogazione di una norma, che a sua volta aveva abrogato una norma precedente, non fa rivivere quest’ultima» (cito dal noto manuale che adotto per i miei studenti, il Torrente-Schlesinger).

Naturalmente, se uno studente rispondesse all'esame sostenendo il contrario, sarebbe subito bocciato.

Probabilmente non ignari di ciò, i promotori hanno proposto anche un secondo quesito, che abroga solo parzialmente la Legge Calderoli. La Corte costituzionale ha affermato, infatti, che il referendum in materia elettorale è ammissibile se dal “ritaglio” della legge vigente emerge una normativa immediatamente applicabile: se cioè si può andare a votare senza bisogno di ulteriori interventi legislativi. In passato, proprio perché questo esito non era garantito dal quesito, la Corte costituzionale (sent. 47/1991) dichiarò inammissibile il referendum sulla legge elettorale del Senato; mentre, avendo i promotori riformulato il quesito, la Corte lo ritenne questa volta ammissibile (sent. 32/1993) appunto perché la normativa di risulta avrebbe consentito l’operatività del sistema elettorale, senza alcun ulteriore intervento del legislatore.

Per cercare di infilarsi in questo spiraglio, i promotori hanno provato a ritagliare la legge Calderoli, per far emergere una normativa direttamente applicabile.

Ma non ci sono riusciti. Diversi punti del quesito numero 2, infatti, contengono abrogazioni di legge abrogate (mi si scusi il bisticcio). Il quesito prevede in particolare l'abrogazione delle norme della legge vigente, che a loro volta avevano abrogato i decreti legislativi sulla determinazione dei collegi uninominali della Camera e del Senato. Ma, come si ricordava, l’abrogazione non può far rivivere norme abrogate, e quindi l'eventuale approvazione del quesito produrrebbe una legge priva della normativa che riguarda il suo punto centrale, cioè l'adozione dei collegi uninominali. Ne risulterebbe una legge non immediatamente operativa, in contrasto con quanto richiesto dalla Corte costituzionale.

Chiedo scusa per i tecnicismi. Sono anch'io contrario al "porcellum", e comprendo le ragioni di un'iniziativa referendaria. Per esempio, quella promossa da Passigli (il quesito sull'abolizione del premio di maggioranza è sicuramente ammissibile). Ma, come dicevo all'inizio, il problema è un altro: quando nei talk show televisivi sento promettere che con i referendum si tornerà alla legge elettorale Mattarella, mi indigno, come si dice adesso. Da giurista e da politico di altri tempi.



* Cesare Salvi (1948) dal 1979 è professore ordinario di Diritto civile all’Università di Perugia, dove tutt’ora insegna. Più volte eletto in Parlamento (per il Pds nell’XI e XII Legislatura, per i Ds nella XIII e XIV, nella XV Legislatura è stato capogruppo di Sinistra Democratica), attualmente è Presidente del Consiglio nazionale della Federazione della Sinistra.

lunedì 12 settembre 2011

Il PD, SEL e l’IDV vorrebbero “ammazzare” il porcellum per resuscitare il ... fratello gemello: il mattarellum



Di Gianni Ferrara*

[Da “Riforme Istituzionali”, http://www.riforme.info/, http://www.riforme.net/]




C’è un falso nell’attività pubblica che il codice penale ignora. È il falso nella comunicazione politica. Ha da sempre influito sulla vita politica italiana ma col berlusconismo la ha pervasa. Ora però da fonte diversa di falsi a danno della fede pubblica, degli elettori, della democrazia italiana, se ne sta praticando uno gravissimo. A commetterlo sono i promotori dei referendum elettorali che strombazzano la loro avversione al porcellum ma mirano a restaurare il .. fratello gemello: il mattarellum.

Sostengono che così, da una parte, sarà eliminato lo sconcio del “premio di maggioranza” che, in realtà, è attribuito alla minoranza più consistente trasformandola in maggioranza e, d’altra parte, sarà restituito agli elettori il potere di scegliere i loro rappresentanti. Mentono.

Innanzitutto perché quesiti referendari volti a determinare precisamente, chiaramente, nettamente l’eliminazione dei vizi del porcellum c’erano [click Il referendum della Casta: firmo, voto e ... continuo a non scegliere]. Erano stati proposti nel giugno scorso. Ma furono combattuti con furioso accanimento e con sciagurato successo proprio dai promotori dei referendum “pro mattarellum” inventati appunto per ostacolare una campagna referendaria che con quei quesiti, una volta approvati, avrebbero capovolto il porcellum da maggioritario in proporzionale. La restaurazione che si tenta col mattarellum è invece diretta proprio a riaffermare il sistema maggioritario di elezione, a garantirlo, consolidarlo, perpetuarlo [click Referendum: porcellum e mattarellum a confronto ... Missione impossibile].

A di là dei moltissimi e fondatissimi dubbi sull’ammissibilità di tali referendum, alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia, va detto, nel merito, che i promotori dei referendum “pro mattarellum” mentono quando dicono di voler eliminare il meccanismo che trasforma la minoranza in maggioranza. Mentono perché il sistema che vorrebbero resuscitare, pur attribuendo un quarto dei seggi al sistema proporzionale, si fonda, per gli altri tre quarti, sul sistema maggioritario in collegi uninominali. Questo, tra quelli esistenti, è il sistema elettorale che determina il massimo di distorsione degli effetti collegabili alle pronunzie del corpo elettorale. Eleggendo un solo parlamentare per collegio, cioè il candidato che abbia ottenuto un voto in più di ciascuno degli altri, conferisce un premio implicito a tale candidato, un premio che, paradossalmente, è direttamente proporzionato al numero dei voti ottenuti … dagli altri candidati. Nullifica così il diritto universale ad essere rappresentati in Parlamento perché esclude dalla rappresentanza quegli elettori che non sono stati capaci di … indovinare, collegio per collegio, quale dei candidati avrebbe ottenuto quel voto in più che lo avrebbe fatto eleggere. Si consideri soprattutto che si tratta di elettori che non si riconosceranno nel rappresentante in Parlamento del proprio collegio, per tutta la legislatura, e magari legislatura per legislatura. Con conseguenze irreparabili sulla consistenza, l’effettività, la credibilità dell’eguaglianza politica, cioè sul principio fondante della democrazia. Ma, come ogni sistema elettorale della specie cui appartiene, il mattarellum può produrre addirittura un risultato complessivo rovesciato rispetto al voto della maggioranza degli elettori, il risultato cioè che la maggioranza dei seggi parlamentari risulti eletta dalla minoranza degli elettori, stante l’ineguale distribuzione delle scelte politiche tra le componenti geografiche del corpo elettorale. In Inghilterra è accaduto più volte. Non è vero, comunque, che il mattarellum, contrariamente al porcellum, esclude premi. È vero che li occulta. In tutte e tre le elezioni svoltesi con detto sistema (1994, 1996, 2001) il premio c’è stato ed è stato sempre superiore al 10 per cento dei seggi.

Non è vero neanche che, come raccontano i promotori del referendum, col mattarellum è l’elettore che sceglie l’eletto. A sceglierlo invece sarà il leader del partito del candidato che, come è a tutti noto, provvederà a destinare nei collegi “sicuri” i candidati che vuol fare eleggere. Così come sceglierà quelli della quota proporzionale collocandoli nei primi posti della lista bloccata. Le somiglianze tra mattarellum e porcellum sono enormi, impressionanti. Non vederle, tacerle provoca domande sconvolgenti.

Una maggioranza parlamentare così fatta quale autonomia potrà mai avere nei confronti di un tal leader diventato premier? Di quanto potere disporrà questo premier? L’esperienza dei governi Berlusconi non ha insegnato nulla?

A quale sistema politico mirano i referendari-maggioritari?

Militano, in gran parte, nel Partito Democratico, e si lasciano incantare da chi sdottoreggia che le elezioni servono a scegliere non la rappresentanza parlamentare, non il tramite dei titolari della sovranità e i suoi mandatari in Parlamento, ma chi deve governare disponendo nelle due Camere dei propri addetti alla traduzione in leggi dei suoi comandi. Si associano IDV e SEL miranti solo ad estorcere la leadership al partito maggiore della coalizione cui vogliono partecipare mediante quella pura mistificazione della democrazia che è la elezione primaria.

La personalizzazione del potere è diventata quindi l’ideologia comune al centrodestra e al centrosinistra?

Rinnegare la democrazia rappresentativa a favore dell’assolutismo elettivo è il nuovo credo di questo Paese?

Insomma, una volta sconfitto Berlusconi, il berlusconismo trionferà condiviso?

La prospettiva che si annuncia è questa. Rivelarla, denunziarla è doveroso.


* Gianni Ferrara (1929) ha insegnato diritto pubblico generale, diritto costituzionale comparato e diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma. Eletto deputato nel 1983 e nel 1987, ha fatto parte della commissione Affari costituzionali in ambedue le legislature. Nel 1992 rinuncia alla ricandidatura per riprendere l’attività di ricerca e di insegnamento. Collaboratore delle più importanti riviste di diritto e autore di numerosi saggi, ha fondato e dirige la rivista on line “Costituzionalismo.it”.

sabato 10 settembre 2011

Caso Penati, lente sulla scalata Unipol




Scalate in borsa e immobiliaristi. Il cuore di tutta l'inchiesta sulle presunte tangenti a Sesto San Giovanni - che vede come principale indagato l'ex leader democratico Filippo Penati - è di fatto il secondo atto delle vicende giudiziarie già viste nel 2005, l'anno in cui Unipol tentò di scalare Bnl e la Banca popolare di Lodi cercò di fare lo stesso con Antonveneta. Entrambe le vicende finirono male: i tentativi di acquisizione fallirono, e molti protagonisti di allora finirono sotto inchiesta. Le indagini della procura di Monza ora ripartono da lì. Per i pm Walter Mapelli e Franca Macchia la vendita del 15% della holding stradale Serravalle da parte del gruppo Gavio alla provincia di Milano nasconderebbe la "maxi-tangente" dell'inchiesta sul "sistema Sesto": col prezzo gonfiato pari a 240 milioni, grazie a cui Gavio realizzò 179 milioni di plusvalenze, molti soggetti presero la loro "fetta". Primo fra tutti Penati, che dette l'ok all'operazione in quanto presidente della Provincia di Milano. A lui servivano 2 milioni da restiture all'imprenditore Piero Di Caterina. Qualche decina di milioni potrebbe essere servita al gruppo Gavio per affiancare la scalata di Unipol a Bnl. Poi il resto potrebbe essere andato altrove, a livelli politici più alti, e comunque, si ipotizza, fuori Milano.

L’articolo integrale:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-10/caso-penati-lente-scalata-081418.shtml?uuid=AaAujD3D

venerdì 9 settembre 2011

Tangenti e case, Penati sotto ricatto




Mazzette e ricatti. Nella ricostruzione della procura di Monza sulle presunte tangenti a Sesto San Giovanni, che vede tra i principali indagati l'ex politico democratico Filippo Penati, due elementi stanno emergendo con una certa chiarezza: prima di tutto Penati, dopo avere, secondo l'accusa, incassato denaro da vari imprenditori per sé e le sue campagne elettorali, si sarebbe trovato nel tempo sotto le pressioni di Piero Di Caterina, titolare della Caronte, che da "amico" si è poi trasformato in uno dei grandi accusatori. Inoltre il cuore di tutta la vicenda, l'"affaire" che potrebbe smascherare la trama di tangenti e ricatti, sembra essere sempre di più la vendita della holding stradale Serravalle alla provincia di Milano da parte gruppo Gavio, operazione con cui il gruppo realizzò 179 milioni di plusvalenze, incassando 240 milioni. Una cifra che secondo i pm Walter Mapelli e Franca Macchia sarebbe stata gonfiata per altri fini, tra cui permettere a Penati di restituire 2 milioni di cui Di Caterina chiedeva il rimborso. Ma anche, probabilmente, di finanziare altri livelli politici. I guai personali di Penati e l'operazione Serravalle stanno dunque confluendo dentro un unico binario.

L’articolo completo:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-08/tangenti-case-penati-sotto-064236.shtml?uuid=AabvdU2D



E B. disse a Lavitola: 'Non tornare'




Il premier si mostra calmo, la voce è serena: rassicura Lavitola, spiega che tutto sarà chiarito e gli dice di "stare tranquillo". A quel punto - come se fosse un'anticipazione della sua autodifesa - gli espone quella che sarà la linea: la stessa in parte pubblicata alcuni giorni dopo sullo stesso settimanale autore dello scoop sull'inchiesta. Berlusconi ricorda a Lavitola che attraverso lui ha "aiutato una persona e una famiglia con bambini che si trovava e si trova in gravissime difficoltà economiche". E sottolinea: "Non ho nulla di cui pentirmi, non ho fatto nulla di illecito".

[…]

Lavitola, a quanto sembra, aveva assicurato a Berlusconi che le utenze panamensi usate per i loro dialoghi telefonici erano a prova di intercettazione e quindi sicure. Ma così con è stato. La Digos di Napoli è riuscita a captarle tutte su delega dei pm Piscitelli, Woodcock e Curcio. Il premier anche in questo caso mantiene un tono di voce calmo e risponde a Lavitola in modo sarcastico: "Te lo avevo detto che ci avrebbero intercettati". A quel punto il faccendiere è "giudiziariamente" con le spalle al muro, e chiede consiglio al premier: "Che devo fare? Torno e chiarisco tutto?". Berlusconi risponde: "Resta dove sei". Il messaggio è chiaro, non richiede commenti. Già pochi mesi fa Lavitola si era rifugiato a Panama dopo avere saputo dell'arresto di Luigi Bisignani per l'inchiesta sulla P4: lui stesso ammette, parlando con la moglie di Tarantini, di avere responsabilità penali in questa storia collegata a Finmeccanica. E anche dopo la telefonata con Berlusconi i piani di viaggio dell'ex direttore dell'"Avanti" cambiano improvvisamente. Organizza la fuga, cercando la meta più ostica per la giustizia italiana: il Brasile. Lui aveva già in tasca un biglietto per Roma, destinato a non essere usato perché compra di corsa un volo per il Paese sudamericano scelto per trascorrere la latitanza.

L’articolo integrale:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-b-disse-a-lavitola-scappa/2160098/

giovedì 8 settembre 2011

Corruzione, Penati è indagato anche per la Milano-Serravalle





Filippo Penati, già accusato di concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti, è indagato per concorso in corruzione anche per il filone dell'inchiesta dei pubblici ministeri di Monza che riguarda l'acquisto della Milano-Serravalle. Penati fa comunque sapere di non aver ricevuto fino a oggi "alcuna comunicazione formale dalla Procura di Monza" e ricorda che la documentazione del fascicolo Serravalle "è a disposizione e al vaglio dei magistrati da sei anni, in seguito all'esposto dell'allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini".



mercoledì 7 settembre 2011

«Niente ciabatte, né mutande» Penati, frasi in codice e riunioni segrete




Il pm è cambiato? Meglio, con l'altro non si parlava.

MILANO - Tutti che corrono da Bruno Binasco, tutti mandati in tilt dalla Corte dei Conti nel giugno-luglio 2010: l'ex braccio destro di Penati si precipita a un appuntamento con l'imprenditore Binasco addirittura ai binari di un treno Malpensa Express; il portavoce di Penati, all'esito di un altro incontro lampo con Binasco, comunica in codice al politico pd il sollievo di un «niente scarpe, niente ciabatte, niente mutande»; Penati telefona direttamente a Binasco per chiedergli un dato con il quale difendersi; il presunto collettore di tangenti di Penati (Di Caterina) reclama e ottiene da Binasco il rispetto di patti pregressi da 2 milioni di euro; e il direttore generale del Comune di Sesto si preoccupa di trovare un posto sicuro dove fare un incontro, nello studio dell'architetto di Binasco che nel 2008 aveva intermediato la caparra immobiliare usata come pretesto per far riavere a Di Caterina 2 milioni di pregressi finanziamenti a Penati.

L’articolo integrale:

http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_07/niente-ciabatte-ne-mutande-frasi-in-codice-e-riunioni-in-stazione-luigi-ferrarella_badd45a8-d913-11e0-91da-5052c8bbe100.shtml

Da Gavio Coop e industriali soldi a Penati in cambio di appalti




All'ex big del Pd un milione di euro per due elezioni. I pm vogliono verificare se agli sponsor delle campagne elettorali sono stati riconosciute "contropartite" occulte.

Un milione di euro. È il fiume di denaro che finanzia l'attività politica di Filippo Penati tra il 2009 e il 2010, quando l'ex braccio destro di Pierluigi Bersani corre per la presidenza della Provincia prima e della Regione poi, in entrambi i casi sconfitto. La Guardia di finanza di Milano, su richiesta dei pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia che indagano sul "Sistema Sesto", sta analizzando i bilanci per capire chi erano davvero i grandi sponsor del politico sospeso dal Pd e se ci siano state contropartite in termini di appalti, nomine o favori. Ecco cosa emerge: un elenco di banchieri, immobiliaristi, imprenditori con trascorsi giudiziari burrascosi e cooperative, che disegnano la mappa del potere democratico in Lombardia.

L’articolo integrale:


lunedì 5 settembre 2011

Tangenti: area Falck, il PD sospende Filippo Penati




(ANSA) - ROMA, 5 SET - Il Pd sospende Filippo Penati dal partito: e' questa la decisione presa dalla commissione di Garanzia del Partito democratico presieduta da Luigi Berlinguer che si e' riunita oggi a Roma. Penati e' sospeso sino al completo (positivo) chiarimento della propria posizione giudiziaria. 'Nelle more del procedimento' disposta l'esclusione dall'elenco degli iscritti. 'La sospensione - ha commentato Luigi Berlinguer - e' una misura molto severa: Penati non puo' svolgere attivita' di partito'.(ANSA).

http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/lombardia/2011/09/05/visualizza_new.html_727777396.html


350 mila firme contro la Casta ignorate dal Senato




L'iniziativa risale a quattro anni fa: depositate a corredo di 3 disegni di legge, mai esaminate

A metà dicembre del 2007, nella scia delle polemiche intorno ai costi della politica e «V-Day», il comico-capopopolo genovese si presenta a Palazzo Madama, pedalando su un risciò (anche lo show vuole la sua parte...) per consegnare una catasta di sottoscrizioni raccolte in un solo giorno su tre disegni di legge. Sintesi: 1) Nessun cittadino può candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale. 2) Nessuno può essere eletto alle Camere per più di due legislature (10 anni). 3) Basta con i deputati e i senatori «nominati» dai capi partito e via alla riforma elettorale perché possano essere votati dai cittadini con la preferenza diretta.

Lo dice la Costituzione all'articolo 71: "L'iniziativa delle leggi appartiene al governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli". E gli articoli 48 e 49 della Legge 25 maggio 1970, n. 352 precisano tutti i dettagli perché questo strumento di democrazia possa avere piena dignità.

Il guaio è che i nostri padri costituenti non avevano tenuto conto di una sventurata ipotesi. Quella che in Parlamento si affermassero maggioranze prepotenti decise a svuotare questo istituto. Sia chiaro: di destra o sinistra non importa. E lo dimostra il destino dei progetti "grillini", ignorati sia in questa sia nell'altra legislatura. Fatto sta che, come spiega Michele Ainis, la facoltà solennemente riconosciuta dalla Carta Costituzionale alla volontà popolare di proporre delle leggi si è ridotta di più e né meno che al ruolo che avevano un tempo le suppliche al sovrano. Con il Parlamento che si arroga il diritto di occuparsene o meno così, a capriccio. Come quei monarchi annoiati che, mollemente adagiati sul trono, decidevano il destino di questo o quel poveretto condotto al loro cospetto sollevando o abbassando il mignolo inanellato.

L’articolo di Gian Antonio Stella completo:

http://www.corriere.it/politica/11_settembre_05/grillo-firme-stella_e40b6fca-d77b-11e0-af53-ed2d7e3d9e5d.shtml



SCIOPERO! SCIOPERO! GE-NE-RALE!





Milano



CGIL - Corteo alle 9,30 dai Bastioni di Porta Venezia a Piazza del Duomo.



Unione Sindacale di Base - Concentramento in Largo Cairoli, h. 9.30


(Sciopero dei trasporti pubblici dalle 18.00 a fine turno)



Majorino: Penati “aveva costruito un sistema di potere parallelo”





Dal BLOG di Davide Vecchi del «Fatto Quotidiano»:



Nulla si muoveva senza la sua benedizione. Dalla nomina del segretario regionale, Maurizio Martina, alla scelta del candidato alle primarie di coalizione, Stefano Boeri. Qualcuno cadrà con lui, altri si salveranno. Chi può tenta di prenderne le distanze. Tutti hanno avuto a che fare con lui. Lo ammette Majorino, senza troppi giri di parole. Penati

aveva costruito un sistema di potere parallelo. Lo dico con l’amarezza di chi sa di aver sbagliato. Per troppo tempo, in troppi, praticamente tutti, l’abbiamo ritenuto un interlocutore comunque obbligato e ne abbiamo sottovalutato la concezione distorta del potere medesimo”.

domenica 4 settembre 2011

Dai bus alla Serravalle, ecco il "Sistema Penati"




La tela di rapporti tra l'esponente Pd e l'imprenditore che ora lo accusa è tale che non si capisce chi è il ragno e chi la preda. Il punto chiave della vicenda è nella caparra da due milioni che Di Caterina trattiene da una società del gruppo Gavio.

A volte viene da dire, leggendo le carte giudiziarie: ma come si permette questo imprenditore semisconosciuto di infangare, senza fornire prove incontrovertibili, un leader regionale come Filippo Penati? La risposta, proseguendo nella lettura delle carte, arriva nitida: e chi è stato, se non lo stesso Filippo Penati, a esporsi così tanto? Chi, se non Filippo Penati da Sesto, Pd, si è messo alla mercé delle accuse e delle vanterie di uno come Piero Di Caterina, molto lesto a cambiare bandiera? "Il cuore del processo - dicono al palazzo di giustizia di Monza - sta nei favori che i due si sono fatti".

Quindi non facciamoci frastornare dal rumore di fondo di cifre in lire e in euro, fogliettini di carta spacciati per verità assolute, metri cubi e metri quadri delle aree dismesse, dal "già detto". Concentriamoci su questo fatto. Sottolineando che non riceve ancora spiegazioni sensate dall'ex presidente della provincia di Milano ed ex candidato pd alla Regione. Succede che, con la sua aria da camionista bullo, Di Caterina diventa un ex amico di Penati e va a bussare a quattrini. Rivuole indietro dei "contributi", dei "prestiti", come li chiama lui. Non viene mandato a quel paese. Anzi ottiene, in cambio di niente, un guadagno di ben 2 milioni di euro sull'unghia. Questa magia dipende da una compravendita che non si realizza. L'attenzione degli investigatori si concentra sul contratto preliminare d'acquisto di un immobile: risale al 2008, Di Caterina (venditore) riceve dalla società Codelfa (compratore) la promessa di una sostanziosa caparra. La vendita non si fa e, come vuole la prassi, nel dicembre 2010 la bella sommetta viene definitivamente incamerata dall'ex amico di Penati. Il punto cruciale è: questa generosa Codelfa, che perde senza dolersene così tanti soldi, a chi appartiene? Risposta: al gruppo di Marcellino Gavio, imprenditore già comparso in Tangentopoli, insieme con il suo manager Bruno Binasco, e spesso in connection con uomini del Pci. Il corto circuito diventa lapalissiano se si legge in controluce (viene da dire in filigrana) una storia molto famosa a Milano.

L’articolo di Piero Colaprico completo:

http://www.repubblica.it/cronaca/2011/09/04/news/sistema_penati-21201313/index.html?ref=search

venerdì 2 settembre 2011

Il sindaco taumaturgo era presente (in spirito) alla manifestazione dell'ANCI




Per protestare contro Tremonti, Berlusconi, Bossi e Calderoli che, in ossequio al totalitarismo del pareggio di bilancio (come 150 anni fa la Destra storica!), vogliono massacrare comuni piccoli e grandi, province e regioni tagliando i finanziamenti indispensabili per garantire in misura anche solo minima i servizi pubblici, si stanno muovendo i rappresentanti di enti locali di centro-destra, di centrosinistra, della Lega. Addirittura con manifestazioni di piazza e cortei, come è avvenuto lunedì 29 agosto a Milano. Una protesta assolutamente inedita, e anzi storica, se si considerano l’assortimento politico del tutto trasversale degli organizzatori e dei partecipanti, le dimensioni della partecipazione e i luoghi (la sede della Regione Lombardia e la piazza dietro il Municipio di Milano.

La manifestazione di Milano era stata convocata da tempo per le 11 del mattino nell’Auditorium della sede della Regione Lombardia, nel grattacielo Pirelli. Nell’Auditorium i posti disponibili sono solo 350, ma il numero dei sindaci e degli altri amministratori arrivati da tutta l’Italia era di tre - quattro volte superiore, tanto che l’entusiasmo che ne è scaturito ha spinto dei sanculotti come Formigoni, Podestà, Pisapia, Alemanno, Fassino, ecc. ad improvvisare un corteo fino a Palazzo Marino. Ma, come diceva uno dei partecipanti, se i sindaci di ogni colore politico si mettono insieme per fare un corteo contro il governo, è perché “ci stanno spingendo davvero sull’orlo del precipizio”.

Io sono andato alla manifestazione, e mi aspettavo di trovarvi almeno il sindaco taumaturgo De Luca (non mi riferisco tanto alla sua professione, quanto a quella credenza del Medioevo francese, studiata da Marc Bloch nel suo bellissimo classico della storiografia), oppure un suo delegato (chessò: la vice-sindachessa, che avrebbe anche il compito di occuparsi delle “Risorse economiche”; o la roteante assessora alle “Politiche per la comunità”, ai “Servizi per la persona”, alle “Nuove e vecchie povertà”; o il giovanotto che dovrebbe occuparsi delle “Politiche famigliari”; o quell’altro assessore meno giovane che, oltre che di pizzini, dovrebbe occuparsi anche di “Promozione dello Sviluppo economico”; o un qualsiasi altro personaggio istituzionale). Ma, fra i sindaci, gli assessori e i consiglieri che affollavano l’Auditorium o che sostavano, prima del corteo, nella piazza antistante, sembrava non esservi, a parte chi scrive, alcun limbiatese.

Strano. Anche il Comune di Limbiate subirà pesanti tagli, che si aggiungeranno a quelli già sanzionatigli dalla "manovra estiva" 2010 e dal “federalismo municipale” di stampo leghista. Possibile che non ci sia nessuno? Possibile che siano venuti a protestare sindaci leghisti come Fontana (Varese) e Tosi (Verona), ex-fascisti come Alemanno, e non sia venuto il sindaco taumaturgo che ha promesso solennemente di prendersi cura di tutti i cittadini di Limbiate?

Partito il corteo, per cercare meglio mi sono messo sullo spartitraffico all’angolo di Via Vittor Pisani-Piazza Duca d’Aosta e, stando in posizione elevata rispetto a chi mi passava davanti, ho lasciato scorrere quasi tutto il corteo (non ho aspettato solo alcuni sindaci ritardatari che arrivavano trafelati dalla stazione, con la fascia tricolore ancora in mano). Ma non ho visto né De Luca, né un assessore, né un consigliere comunale limbiatese.

Poi, restando costantemente su un lato del corteo e guardando attentamente tutti i cordoni che lo componevano, ho raggiunto la sua testa in Piazza Cavour e mi sono fermato all'angolo di Via Turati per osservare TUTTO il corteo mentre mi passava davanti. Di De Luca non c'era nemmeno l'ombra.

Ma non è possibile! Ricontrolliamo. Camminando sul marciapiede di Via Manzoni, ho superato TUTTO il corteo, dalla coda fino alla testa, ancora guardando attentamente alla ricerca di qualcuno di Limbiate. Ho rivisto TUTTI i circa 1500 sindaci, fra i quali alcuni Cimbri scesi dall’altipiano del Cansiglio, altri (forse dei falciatori: odoravano di fieno…) con l’aspetto di chi al mattino presto era andato a fare qualche lavoro in campagna e poi era corso a Milano senza nemmeno cambiarsi d’abito, altri ancora che in segno di lutto reggevano un enorme striscione nero senza alcuna scritta. Non ho trovato nessun De Luca, e nemmanco nessuna vice-sindachessa-assessora alle “risorse economiche”.

Giunto alla fine di Via Manzoni, mi sono fermato quasi all'angolo di Piazza della Scala, in un punto in cui, per dei lavori in corso, nessuno poteva passare alle mie spalle e tutti dovevano passarmi davanti. Ho rivisto, fra gli altri, il sindaco di Saronno, Porro, che naturalmente viaggiava a meno di 30 all'ora. Di De Luca, però, non ho intravisto nemmeno la barba.

Poi, durante i vari comizi di fronte alla Ragioneria del Comune di Milano (luogo scelto non a caso), ho girato quattro volte per tutta la piazza, tanto che alla fine molti, compresi alcuni giornalisti televisivi, mi guardavano con un'espressione tra l'incuriosito e il sospettoso (mi avranno scambiato per uno della squadra politica della questura...). Non c'era nessuno che assomigliasse, seppure vagamente, a De Luca.

Poiché non riuscivo a capacitarmi che in quella manifestazione il sindaco di Limbiate non fosse reperibile, ho telefonato direttamente da lì ad alcuni eletti che hanno accesso al cerchio magico dell’alone di santità del quale De Luca è stato circonfuso. Qualcuno mi ha confessato che anch’egli aveva, diciamo così, l’impressione che in realtà nessuno della giunta comunale fosse venuto alla manifestazione; qualcun altro, che di fronte a quell’impressione indietreggia con più orrore di un vampiro di fronte ad una collana d'aglio, tuttavia non è stato in grado (nemmeno nei giorni successivi) di dire con sicurezza se il sindaco, o un suo delegato, ci fosse.

Oggi, venerdì 2 settembre, vedo che De Luca ha fatto scrivere su un foglio locale che egli “ha dimostrato il suo dissenso verso la manovra finanziaria del governo” e ha “partecipato alla manifestazione dell’ANCI di lunedì scorso a Milano dove si è unito con gli altri sindaci”, però – “ha spiegato il sindaco – non ho seguito tutta la manifestazione ma sono passato (corsivi miei) e poi sono tornato in Comune dove avevo degli appuntamenti, ma mi sono unito a loro almeno in un primo momento perché era importante esserci”.

Mah. Perché dare una spiegazione che assomiglia assai ad un’excusatio non petita? Un rapido passaggio, per poi tornare a Limbiate, non prima delle 12.15-12.30, per alcuni appuntamenti… Chissà che “appuntamenti” erano, se non ha potuto rinviarli o affidarli ai suoi “collaboratori”…; certamente più importanti degli appuntamenti dei sindaci di Roma, Milano, Torino, Genova, Bari, Bologna, Venezia, di quelli del presidente della Regione Lombardia, del presidente della Provincia di Milano, di centinaia di sindaci del Sud, dei Cimbri, dei sindaci-falciatori, che lunedì mattina hanno cancellato qualsiasi altro impegno per ritrovarsi a Milano per protestare contro il governo, mentre il nostro sindaco taumaturgo ha potuto solo “passare” velocemente dalla manifestazione, per lasciarvi, come sostituto-partecipante, la santità del suo spirito!

Nello stesso articoletto, De Luca e la povera pennivendola disinformata che lo serve veicolandogli quella che sembra proprio un’excusatio non petita, sproloquiano: 1) sui “tagli”, confondendo quelli stabiliti dopo la "manovra estiva" del 2010 con quelli conseguenti dal “federalismo municipale” – entrambi pubblicati da tempo dal Ministero dell’Interno, mentre De Luca continua a blaterare (e non è la prima volta) con i suoi "si dice", “sembra che” – e con quelli non ancora stabiliti dalla manovra di queste settimane, che è ancora in via di definizione; 2) sui soldi del risarcimento dell’ACNA, che non si potrebbero spendere per rispettare il Patto di stabilità (panzana che finora non avevamo ascoltato nemmeno da Romeo e Cogliati: De Luca è in grado di dirci - magari mettendo a disposizione dei cittadini i bilanci che, spesso, nemmeno i consiglieri vedono - in quale capitolo e voce di bilancio sarebbero immobilizzati quei soldi?); 3) sugli assestamenti di bilancio resi necessari dai tagli.

Per quanto riguarda gli assestamenti, mi permetto di suggerirne uno, di infima entità ma sicurissima utilità: stanziare qualche decina di euro per acquistare alcuni pacchi di fasce di garza, di modo che in eventuali future occasioni il sindaco taumaturgo possa restare tranquillamente in municipio per gli “appuntamenti”, ma mandare in piazza il suo spirito, agghindato però come il mad doctor del film L’uomo invisibile.

giovedì 1 settembre 2011

«Strano silenzio dai magistrati». Albertini e quelle quattro denunce




Lo aveva detto. Anzi, lo aveva detto, ripetuto e anche scritto. Gabriele Albertini, sindaco dal 1997 al 2006, aveva presentato quattro denunce a quattro magistrature diverse, convinto com' era che nell' operazione Serravalle gestita da Filippo Penati si potessero ravvisare almeno un paio di reati: truffa aggravata e abuso d' ufficio. «E non ho mai capito perché, a fronte di tanti documenti, la magistratura penale fosse rimasta stranamente silenziosa». Per dare conforto alle proprie convinzioni, Albertini si era consigliato anche con Antonio Di Pietro, Gerardo D' Ambrosio e Saverio Borrelli, nell' epoca in cui tutti e tre avevano lasciato la magistratura. E Di Pietro, l' unico che aveva accettato di esaminare carte e dossier, aveva spinto Albertini a rivolgersi ai magistrati, sostenendo che il caso rappresentava una nuova fase del tangentismo. «Ingegnerizzazione della corruzione», l' aveva definita l' attuale leader dell' Idv.

Bruno Binasco, uomo forte del gruppo Gavio, oggi nel consiglio di amministrazione della spa, avrebbe spiegato in una telefonata intercettata che «il problema non è Penati, con lui un accordo si trova». E un' altra intercettazione, del 30 giugno 2004, rivela che Bersani riferisce a Gavio di aver parlato con Penati e di aver organizzato un incontro «in un luogo riservato» fra i due.

Albertini aveva anche denunciato una confidenza ricevuta dall' allora suo assessore Giorgio Goggi: «Aveva saputo da Gavio che quell' operazione era stata benedetta dai vertici DS. Ma perché nessun magistrato lo ha mai chiamato per avere conferma di quella dichiarazione?». Il sindaco si era rivolto alla magistratura contabile e civile, facendo osservare il fatto che l' operazione di Penati aveva tolto valore al pacchetto di 18 per cento di azioni detenuto dal Comune. Il danno erariale era stato riconosciuto e la Provincia è stata condannata al pagamento simbolico di 400 mila euro.

L’articolo integrale:

http://archiviostorico.corriere.it/2011/agosto/31/Albertini_quelle_quattro_denunce_Strano_co_9_110831013.shtml

Ecco il documento che accusa Penati. “Due milioni di euro travestiti da caparra”




Si tratta di un compromesso firmato il 14 novembre 2008 per l’acquisto, da parte di Binasco o di “una società da designare”, dell’immobile di viale Italia 466/468 di Sesto San Giovanni, di proprietà di Di Caterina. Il documento fissa una caparra di due milioni di euro in favore del venditore. L’anomalia, secondo i pm, sta nella postilla scritta a penna dallo stesso Binasco: “La parte promittente acquirente si riserva in qualsiasi momento prima della stipula del contratto definitivo di vendita di rinunciare mediante semplice comunicazione scritta alla parte promittente venditrice all’acquisto del bene con sola rinuncia della caparra confirmatoria versata”.

L’articolo integrale:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/31/ecco-il-documento-che-accusa-penati-due-milioni-di-euro-travestiti-da-caparra/154500/

Falck:indagati sindaco e direttore generale del Comune di Sesto San Giovanni




MILANO, 31 agosto, h. 18.06 (Reuters) - La Guardia di Finanza sta notificando in queste ore un avviso di proroga delle indagini per 20 indagati nell'ambito dell'inchiesta su presunte tangenti per interventi urbanistici nel comune di Sesto San Giovanni, che vede coinvolto anche l'ex presidente della provincia di Milano Filippo Penati.

Lo riferiscono fonti giudiziarie, precisando che tra i 20 indagati compaiono due nomi nuovi: quello dell'attuale direttore generale del comune di Sesto San Giovanni, Marco Bertoli, indagato per finanziamento illecito ai partiti, e quello dell'imprenditore Michele Molina, indagato per corruzione.

La procura di Monza, inoltre, sta svolgendo nuovi accertamenti per valutare la congruità del prezzo delle quote delle azioni della Milano Serravalle, acquistate nel 2005 dalla Provincia di Milano e detenute dal gruppo Gavio. Gli accertamenti, riferiscono le fonti, vengono svolti da un commercialista incaricato dalla procura.


(ANSA) - MONZA, 31 AGO, h. 18.49 - C'è anche il dg del Comune di Sesto San Giovanni, Marco Bertoli, tra i 20 indagati nell'inchiesta dei pm di Monza su un presunto giro di tangenti per le aree ex Falck e Marelli. E' accusato di finanziamento illecito al partito. Lo si evince dall'avviso di proroga delle indagini notificato agli indagati. Indagato anche il sindaco di Sesto Giorgio Oldrini. Disposti nuovi accertamenti sul prezzo pagato nel 2005 dalla Provincia di Milano per acquistare il 15% dell'autostrada Milano-Serravalle.