domenica 18 dicembre 2011

Zõon politikón inverso




(…) vivere ne l’uomo è ragione usare. Dunque, se ’l vivere è l’essere [dei viventi e vivere ne l'uomo è ragione usare, ragione usare è l'essere] de l’uomo, e così da quello uso partire è partire da essere, e così è essere morto. E non si parte da l’uso del ragionare chi non ragiona lo fine de la sua vita? e non si parte da l’uso de la ragione chi non ragiona il cammino che fare dee? Certo si parte; e ciò si manifesta massimamente con colui che ha le vestigie innanzi, e non le mira. E però dice Salomone nel quinto capitolo de li Proverbi: «Quelli muore che non ebbe disciplina, e ne la moltitudine de la sua stoltezza sarà ingannato». Ciò è a dire: Colui è morto che non si fè discepolo, che non segue lo maestro; e questo vilissimo è quello. Potrebbe alcuno dicere: Come è morto e va? Rispondo che è morto [uomo] e rimaso bestia. Ché, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l’Anima, (…) la sensitiva sta sopra la vegetativa, e la intellettiva sta sopra la sensitiva. Dunque, (…) levando l’ultima potenza de l’anima, cioè la ragione, non rimane più uomo, ma cosa con anima sensitiva solamente, cioè animale bruto.

Dante Alighieri, Convivio, IV vii 11-15



Non si sa se il segretario comunale abbia manifestato la sua ira a qualche membro altolocato del suo apparato, che sicuramente è fra i corresponsabili dell’orrendo pasticcio che domani sera quasi sicuramente farà entrare nel Consiglio Comunale di Limbiate un consigliere non eletto. Cane non mangia cane, soprattutto se è del PD. Ma pare che, letto il mio articolo Fuori una consigliera nominata abusivamente, dentro uno che non è stato eletto! del 13 dicembre, e dopo aver letto anche Qual è il decimo consigliere che il centro-destra di Limbiate vuole del 6 agosto, con i files all’uno e all’altro allegati, abbia decretato che non c’entrava per niente, epperò sia corso ad “interessare il Prefetto”, a chiedergli lumi.

“Chiedere lumi” al, “interessare” il Prefetto in realtà significa solo questo: si vorrebbe che fosse il Prefetto a presentare al tribunale civile di Milano un’impugnativa della deliberazione consiliare sull’eleggibilità di Giuseppe Bova; deliberazione che difficilmente si potrà non adottare, salvo disubbidire all’ordine del TAR. Il Prefetto, cioè, dovrebbe intentare una causa civile (art. 82 D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570) con i soldi pubblici! Soldi pubblici per riparare ad un pasticcio causato innanzitutto dall’arroganza totalitaria di alcuni “morti che vanno”, come li avrebbe definiti Dante Alighieri, del PD, e dalla boria di alcuni funzionari e dirigenti del Comune! I delegati del PD, letteralmente esilarati da una vittoria ottenuta per caso, si sono precipitati all’Ufficio elettorale per il ballottaggio per sostenere che a loro spettava un 15° seggio, e lì, probabilmente, nessun funzionario e nessun dirigente è stato in grado di far capire che, in mancanza di una norma specifica su come arrotondare la cifra con parte decimale corrispondente al 60% dei seggi, era meglio fare ricorso, prudenzialmente, al buon senso e alle consuetudini. Si trattava, infatti, di un’interpretazione della legge eccessivamente favorevole a chi, anche con “solo” 14 seggi più il sindaco, già avrebbe avuto la maggioranza assoluta.

Sarebbe augurabile che il Prefetto mandasse tutti a sculacciare le rane. Perché mai si dovrebbero spendere soldi pubblici per fare una causa civile? Chi è convinto di aver sostenuto tesi fondate si assuma l’onere di un ricorso! Oppure paghi, di tasca sua, il sindaco, che ancora ieri su un giornale locale dimostrava che, alla notifica dei ricorsi, non aveva capito che il Comune di Limbiate doveva costituirsi nella causa avanti il TAR per far rispettare la volontà popolare espressa con i voti, e successivamente non ha capito che doveva obbligare l’avvocato Micaela, dipendente comunale assunto anche sulla base del requisito dell’iscrizione all’ordine degli avvocati, ad andare a patrocinare l’interesse dell’Istituzione Comune, cioè dei cittadini di Limbiate, affinché i giudici appurassero che il decimo seggio per la minoranza corrispondeva ad un quoziente del Terzo Polo e non del PDL. E ancora ieri De Luca non aveva capito niente!

Naturalmente, gli autori [tali Yuri Caturelli e Giuliano Ripamonti, delegati del PD, e i membri dell'Ufficio Elettorale Centrale locale, quasi tutti del PD o ad esso vicini; n.d.r.] di una iniziativa che ha travisato i risultati delle elezioni nemmeno dopo che il segretario comunale ha “interessato” la Prefettura si sono decisi ad ammettere non solo quale splendida figura hanno fatto, ma soprattutto che hanno innescato un meccanismo che ha dato ai cittadini di Limbiate un Consiglio Comunale privo di legittimità. Se non si sono costituiti nel giudizio per ignoranza e per troppa sicumera, ora dovrebbero assumersi l’onere, in ogni senso, di presentare immediatamente un’impugnativa al Tribunale Civile, perché di questa situazione aberrante loro sono i primi responsabili. È difficile, infatti, supporre che i giudici del TAR si sono attenuti ad un verbale dell’ufficio centrale elettorale per il turno di ballottaggio che hanno scorso solo rapidamente. Sembra più plausibile supporre che hanno letto il verbale attentamente, ma che da esso non risultava che il 10° quoziente della minoranza era del Terzo Polo, bensì che in qualche modo risultava che era della coalizione guidata dal PDL. Da un verbale compilato correttamente, infatti, sarebbe stato evidente che il secondo quoziente del Terzo Polo era superiore al nono della coalizione guidata dal PDL [click file], poiché per verificare se doveva essere assegnato o no il premio di maggioranza sarebbe stato necessario stabilire, innanzitutto, la classifica decrescente dei quozienti di tutte le liste o dei gruppi di liste ammesse all’assegnazione dei seggi.

Questo verbale, naturalmente, anche se sicuramente è nelle mani di alcuni consiglieri del PD, non viene reso pubblico. Significativamente, perché è compilato in un certo modo? Perché gli autori dell’esposto del PD che, a quanto pare, ha portato alla redazione di un verbale che non rispecchia chiaramente i risultati delle elezioni, non si sono costituiti nel giudizio per difendere, contro i ricorrenti, la giustezza dell’assegnazione del 15° consigliere di maggioranza al loro partito? Perché il Comune, che è nelle mani di diversi che certamente hanno letto il mio primo articolo, ha evitato di presentare una semplice istanza-memoria con l’esposizione completa della lista decrescente dei quozienti, che avrebbe messo i giudici sull’avviso? Sarebbe stato facile far capire ai giudici che di quel verbale, sulla base del quale era stato assegnato abusivamente un seggio in più al PD, se ne stavano servendo pretestuosamente i due ricorrenti, i quali, dopo averlo studiato attentamente (scilicet: i loro avvocati), hanno capito che potevano ritorcere l’abuso contro il PD. Questa sarebbe la spiegazione dell’”anomalia” dei ricorsi presentati un mese dopo la nomina degli eletti, “anomalia” sulla quale molti si sono scervellati a suo tempo.

Le parole di De Luca al giornale locale, a parte gli sproloquii su ciò “che prevede la legge” e su “Bova (che) metterà la sua esperienza al servizio della città”, sembrerebbero voler dire: “Chiudiamola lì, e non andiamo oltre”, ma Ti-che-te-tarchett-i-ball su un altro giornale dichiara, sembrerebbe a nome del PD: “Siamo ancora convinti che la decisione presa dal Prefetto [invece “la decisione” è stata presa dall’Ufficio centrale elettorale per il ballottaggio, dove la sua coalizione aveva più di un delegato; n.d.r.] non era errata, nonostante quanto ora dica il tribunale … mi spiace che a una giovane come Federica Soldati sia tolta la possibilità di essere in consiglio nonostante sia stata votata [ma non tanto da essere eletta; n.d.r.] Stiamo valutando se, come partito naturalmente, fare ricorso o meno [nessuno, dei molti che potevano farlo, si è costituito, e quindi nessuno può più fare ricorso al Consiglio di Stato, a parte Carrara; n.d.r]. Tanti altri comuni erano nella nostra posizione [è falso: click file] e ci preme capire come mai ad oggi a loro non è stato modificato nulla [ovviamente la ragione è che lì nessuno ha commesso alcun abuso; n.d.r.]. Sappiamo però che sono onerose le spese giudiziarie e stiamo valutando se farlo o meno”. Il poveretto comincia ad anticipare la scusante perché sa già che non faranno ricorso, nemmeno in sede civile, perché come partito non gli conviene: sarebbero sconfitti un’altra volta. Infatti, al PD certo non mancherebbero alcune migliaia di euro per pagare un’impugnativa davanti al Tribunale Civile, e se proprio fossero in bolletta, vista l’importanza della questione e vista la sua sicumera, Ti-che-te-tarchett-i-ball, come segretario del maggiore partito di Limbiate, dovrebbe organizzare una raccolta di fondi per pagare l’avvocato per una causa civile. Ma non per riportare nel Consiglio Comunale la signorina Federica Soldati (qualcuno se ne ricorda la figura?), bensì per dimostrare che Bova non è eleggibile, poiché quel seggio spetta ad un’altra lista, anche se è quella dell’UDC. Egli però non è in grado di liberarsi della spocchia che lo stravolge e di riconoscere l’errore madornale del suo partito, che ha gettato il Consiglio Comunale di Limbiate in una situazione aberrante. A Ti-che-te-tarchett-i-ball, infatti, la definizione usata nella Politica dal Filosofo di Dante si attaglierebbe solo a patto di trasformare il sostantivo in aggettivo, e questo nel primo.




venerdì 16 dicembre 2011

Bova non deve entrare nel Consiglio Comunale! I boriosi e gli inetti chiedano scusa ai cittadini di Limbiate!




Non è l’intelligenza che manca agli italiani. Essi ne hanno da esportare. Manca il carattere. (…) A che parlare di civiltà superiore quando questa è incarnata da uomini la cui vita è un dualismo costante fra pensiero ufficiale e pensiero interiore, fra interesse generale e interesse personale, fra l’idea universale e il «proprio individuo», fra l’ideale alato e il successo terrestre? È alla scuola del carattere che dovremo formarci noi tutti che combattiamo per la rivoluzione e per una differente civiltà.

Emilio Lussu, «Quaderni di ”Giustizia e Libertà”», dicembre 1932, p. 41




Possono ben gloriarsi, i delegati boriosi della lista del PD che, al momento della convalida dei risultati elettorali, hanno perorato con un esposto l’assegnazione abusiva al loro partito di un 15° consigliere, caso unico in tutta l’Italia. [click file] Quanto fosse sincera la loro perorazione si può giudicare dal fatto che nessuno dei consiglieri del PD, ai quali il ricorso di Bova e Carrara era stato notificato, si è costituito nel giudizio. Ora non solo si ritrovano con un seggio in meno, che è stato assegnato dal TAR al maggiore partito del centro-destra, il PDL - mentre invece doveva essere assegnato all’UDC - ma, poiché nessuno ha avuto l'intelligenza politica di costituirsi, nessuno può più fare ricorso al Consiglio di Stato per far correggere l’errore del TAR di Milano.

Come mai il TAR ha commesso questo errore, pur rigettando la tesi, sostenuta interessatamente dai delegati del PD ma fatta propria dall’ufficio centrale elettorale per il turno di ballottaggio costituito nel Comune di Limbiate, “che l’attribuzione di soli 14 seggi alla maggioranza (… ) su 24 totali (…) non rispetterebbe previsione e “ratio” dell’art. 73 comma 10 del D.lgs n. 267/2000” ? Si tratta di un errore favorito dal verbale dell’ufficio? Secondo questo verbale (cito da uno dei ricorsi) “è risultato eletto alla carica di sindaco il signor Raffaele De Luca (…) con attribuzione alle liste collegate (…) complessivamente nr. 15 seggi-consiglieri (9 al PD; 3 a Limbiate Solidale; 2 a La Sinistra; 1 a Italia dei Valori). Alle liste collegate al candidato alla carica di sindaco (…) signor Eugenio Picozzi (…) sono stati attribuiti n. 8 seggi. Infine, alle liste collegate alla carica di sindaco (…) Carlo Schieppati 1 seggio (assegnato allo stesso candidato … )”. Ma in questo verbale, pur accettando l’interessata interpretazione abusiva del citato comma 10, perorata dai delegati del PD, l’ufficio avrebbe dovuto registrare innanzitutto la classifica decrescente dei seggi attribuibili alle coalizioni o alle liste di maggioranza e di minoranza, e quindi anche che il 10° quoziente era della coalizione guidata da Schieppati, e non della coalizione di centro-destra. [click file] Se tutto ciò fosse stato riportato, sarebbe dovuto essere evidente, agli occhi dei giudici, che non al PDL doveva essere attribuito un seggio, bensì all’UDC. Nel verbale, invece, c’è un errore che ha mandato fuori strada i giudici del TAR? Chi l’avrebbe commesso? Come mai? E come mai, invece, al Ministero dell’Interno sono stati trasmessi altri dati (corretti)?

Il sindaco sbruffoneggia per ogni dove che lui avrebbe avuto il coraggio di mandar via il segretario Gennaro Cambria. Mi permetto di dubitare che De Luca alberghi nel suo petto un cuore leonino, e che abbia “mandato via” Cambria per qualche grave scorrettezza, secondo l’allusione espressa con grande sprovvedutezza anche in Consiglio Comunale. Sarà più probabile che, nonostante lo squalificante incidente (per questa volta chiamiamolo così) occorsogli con la mancata costituzione di parte civile nei processi contro la ‘Ndrangheta, si sia limitato, entro i termini di legge, a non rinnovargli l’incarico.

Dopo la sbruffonata su Cambria, De Luca aggiunge, su per giù: “Ma da quando c’è il nuovo segretario, tutto funziona bene”. Invece questa vicenda (anche questa vicenda) dimostra il contrario. De Luca continua anche ad ostentare, tra l’untuoso e il gigionesco, frasi penose del tipo: “Non avevo mai partecipato ad un consiglio comunale, ma sto imparando”. Un’altra delle sue frasi patetiche è: “Sentirò i partiti”, ed è evidente che lo fa davvero, sempre. Ma siccome certe cose non si imparano a sessant’anni, prima dell’arrivo del nuovo segretario succede che, pur avendo un dirigente, l’avvocato Micaela, assunto con il requisito di essere iscritto all’ordine degli avvocati, quella “grande persona” (come dicono alcuni) del Sig. Sindaco di Limbiate Dr. Raffaele De Luca non riesce proprio ad infischiarsene dell’arroganza dei capataces del PD, e non riesce ad ordinare, per esempio, nemmeno di presentare istanza per costituire il Comune nel giudizio sui due ricorsi elettorali. L’avvocato Micaela, da cui dipende anche l’Ufficio Elettorale del Comune, per la seconda volta è aspirante alla carica di sindaco di Senago per il PD, della cui assemblea provinciale, dicono i giornali, fa parte. Noi gli paghiamo uno stipendio di 78.000 euro/anno.

Ma anche dopo l’arrivo di un nuovo segretario (primi di settembre) succede che il sindaco, legale rappresentante pro tempore del Comune di Limbiate, nemmeno tenti di presentare, seppure in extremis, prima dell’udienza del 18 e del contraddittorio del 26 ottobre, uno straccio di istanza-memoria per sostenere non questo o quell’aspirante consigliere, bensì che la volontà popolare doveva essere rispettata attenendosi rigorosamente ai risultati delle votazioni, così come erano stati trasmessi al Ministero dell’Interno. È chiaro che il nuovo segretario è soprattutto una specie di commissario politico messo accanto ad una persona che proprio non ha nessuna delle qualità necessarie per fare il sindaco. Non si sa quale stipendio gli dovremo pagare, ma se fosse come quello di Cambria sarebbero 112.500 euro/anno.

Un giudizio altrettanto severo deve essere dato su tutti gli altri che, abilitati dalle procedure formali delle votazioni a prendere decisioni per tutta la città, non si sono minimamente preoccupati di esercitare questa delega intervenendo per salvaguardare la credibilità della forma più importante della democrazia in ambito locale: quell’istituto che si chiama Consiglio Comunale, nel quale dovrebbero essere rappresentati (= resi presenti) i cittadini e al quale accedono solo coloro che per questa rappresentazione sono stati delegati con un voto. Mi vengono in mente tutte le scemenze che circolavano in giugno e luglio sulla “nuova qualità” del Consiglio Comunale, dopo la vittoria del centrosinistra! I ricorsi sono stati notificati oltre che al Comune e alla signorina Federica Soldati, anche a tutti gli altri consiglieri della maggioranza. Ma nessuno ha fatto né detto qualcosa affinché il Comune si costituisse nel giudizio. Nemmeno dopo che io, pur senza immaginare con quanta superficialità avrebbe giudicato il TAR, avevo segnalato sia come stavano veramente le cose, sia, nei fatti, il pericolo di far entrare nel consiglio comunale un candidato non eletto. (Anzi, no: qualcuno ha detto qualcosa, ma solo per tentare di giustificare con il solito manicheismo del PD il diritto ad avere, se non proprio 24, almeno 15 consiglieri!). Il solo pensiero di contestare Ripamonti, Caturelli, Fortunati, Simonini & C. provoca tremolii e fenomeni intestinali.

La vicenda torna a disdoro anche del consigliere che esercita la funzione di presidente del consiglio comunale. È una persona che conosco da forse quarant’anni, ma non posso esimermi dal dire che ha perso un’altra occasione per dimostrare autonomia politica ed autorevolezza. Egli, come candidato sindaco della coalizione nella quale era pure candidato [...] Tino Grassi, era direttamente interessato ad intervenire nel giudizio, e come presidente del Consiglio Comunale poteva e doveva prendere carta e penna per far presente al segretario comunale (sia a quello vecchio che a quello nuovo), e al sindaco e alla maggioranza che gli hanno dato la sua carica, la necessità, per non correre il rischio di non poter garantire la piena legittimità dell’assemblea legislativa locale, di costituire il Comune nel giudizio. Il fatto è che la coalizione del cosiddetto Terzo Polo nelle recenti elezioni era quella più raccogliticcia, e stava in piedi, come i risultati hanno dimostrato, soprattutto grazie all’UDC. Il ritorno di questo “partito” nell’alveo del centro-destra dopo il primo turno ha reso ancor più evidente il fallimento del cosiddetto Terzo Polo che, improvvisato due settimane prima della presentazione delle liste e partito con l’ambizione di andare addirittura al ballottaggio, non era riuscito ad arrivare nemmeno all’11%. Ridotte obbligatoriamente le proprie ambizioni al posto di presidente del Consiglio Comunale, meglio non rischiare la ritorsione di essere relegato alla visibilità marginale delle sedute consiliari. Per acquisire autonomia politica ed autorevolezza, e soprattutto per essere veramente garante della regolarità del funzionamento del consiglio comunale, l’abito blu, l’inno di Mameli, i sermoni, gli epitaffi non bastano.

Chi potrebbe intervenire per buttare nella pattumiera questo bel pasticcio della cucina politico-istituzionale di Limbiate, dalla quale provengono i suoi ingredienti e nella quale si sono svolte le prime fasi di cottura? L’eleggibilità di Bova può essere contestata con un ricorso da qualsiasi elettore del Comune di Limbiate, nonché dal Prefetto (art. 82 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570). I tempi del giudizio naturalmente sarebbero abbastanza lunghi. Ma lunedì 19 dicembre, quando Bova dovrebbe entrare nel Consiglio Comunale, tutti i consiglieri della maggioranza avranno uno scatto di orgoglio presentando una mozione per contestarne l’eleggibilità, nonché le loro scuse ai cittadini di Limbiate per non essersi decisi prima a fare davvero i consiglieri comunali? Ne dubito fortissimamente.

martedì 13 dicembre 2011

Fuori una consigliera nominata abusivamente, dentro uno che non è stato eletto!




Se si trattasse solo di dire: “visto che avevo ragione?”, non varrebbe certo la pena di commentare la sentenza della IV Sezione del TAR di Milano su due ricorsi riuniti, presentati da candidati del centro-destra limbiatese non eletti lo scorso maggio. Il mio articolo Qual è il decimo consigliere che il centro-destra di Limbiate vuole è ancora leggibile in questo blog (mentre qualcuno ha cancellato gli sproloqui che a suo tempo aveva pubblicato; ma altri si sono affrettati a pubblicarne ancora sui propri blog). Il fatto è che questa sentenza è un pastrocchio orrendo, che non rimette affatto a posto le cose, ma anzi crea nel Consiglio Comunale di Limbiate una situazione di illegittimità che non può essere tollerata. Il TAR, infatti, dopo aver ordinato l’acquisizione di documenti, dopo aver dedicato alla causa tre sessioni fra udienze e contraddittorii, e dopo una camera di consiglio, ha sentenziato che una consigliera del PD era stata nominata abusivamente, e fin qui tutto va bene; ma poi ha ordinato che il seggio dell’”abusiva” deve essere dato ad un candidato del PDL… che non è stato eletto! Se prima avevamo una maggioranza parzialmente abusiva, d’ora in avanti avremo, se nessuna autorità vi porrà rimedio, un consiglio comunale con un consigliere che non ha ottenuto voti a sufficienza per occupare un seggio. E dunque, poiché la questione della piena legittimità del Consiglio Comunale di Limbiate è questione di enorme importanza, vale la pena che anche i semplici cittadini vi prestino il massimo di attenzione e segnalino che la situazione che si è venuta a creare è ancor più aberrante di quella precedente.

Riprendo le argomentazioni del mio articolo. Seguendo in modo pedissequo i commi 8, 9 e 10 dell’art. 73 del D. lgs n. 267 del 2000, non mi limitavo ad argomentare che “la ratio della legge, che ha lo scopo di attribuire a chi vince le elezioni una maggioranza tale da garantire la governabilità degli enti locali” è “ampiamente rispettata anche se alla maggioranza non sono assegnati 4 decimi di consigliere, che risultano da una norma inapplicabile per palese incongruità con il numero attuale dei componenti il consiglio comunale”; e che “in tutti i comuni con un consiglio comunale di 24 seggi [il TAR stranamente si riferisce ai comuni con meno di 15.000 abitanti], tranne che a Limbiate, alla/e lista/e che non ha/nno conquistato il 60% dei seggi nel primo turno sono stati assegnati 14 consiglieri e non 15” – e appunto con argomenti analoghi il TAR ha sentenziato che alla maggioranza del Consiglio Comunale di Limbiate spettano 14 consiglieri, e 10 alla minoranza. Sostenevo, anche (sempre seguendo in modo pedissequo la legge), che “il TAR dovrebbe stabilire, indipendentemente da quello che sostengono i ricorrenti, a quale lista di minoranza dovrebbe essere assegnato il decimo consigliere, e quindi dovrebbe ricalcolare i quozienti e disporli in una graduatoria decrescente”; lo sostenevo perché solo il calcolo dei quozienti avrebbe potuto dimostrare se ognuno dei ricorrenti aveva titolo per chiedere una sentenza riparatoria. La classifica decrescente, di cui si parla nel comma 8 dell’art. 73 del D. lgs. n. 267 del 2000, dei quozienti ottenuti dividendo “la cifra elettorale di ciascuna lista o gruppo di liste collegate”, dimostrava e dimostra che due quozienti del cosiddetto Terzo Polo si collocavano uno al quinto posto (1.762) e l’altro al decimo (881) [click file]. E poiché un seggio spettava al candidato sindaco non eletto, Carlo Schieppati, l’altro spettava alla lista dell’UDC, precisamente al candidato Grassi, che aveva ottenuto la maggiore cifra elettorale individuale.

Il TAR, invece, dopo aver stabilito il criterio dirimente dell’arrotondamento per difetto quando la parte decimale del 60% dei seggi spettanti alla maggioranza (=14,4) non supera la metà dell’unità di riferimento, non si è più preoccupato di verificare quanto è richiesto dal comma 8 del D. lgs n. 267 del 2000, e si è preoccupato solo di sentenziare che alla maggioranza deve essere tolto il 15° consigliere, mentre alla minoranza se ne deve assegnare uno in più, il decimo. E poiché fra i due ricorrenti Bova ha ottenuto la maggiore cifra elettorale individuale, costui ha visto accolto il proprio ricorso. Secondo il testo della legge e secondo la classifica decrescente dei quozienti elettorali della coalizione guidata dal PDL e di quella del cosiddetto Terzo Polo, è evidente, invece, che alla seconda coalizione spetterebbero due seggi e non uno.

Una riprova? Si clicchi qui: http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=G&dtel=15/05/2011&tpa=I&tpe=C&lev0=0&levsut0=0&lev1=3&levsut1=1&lev2=104&levsut2=2&lev3=270&levsut3=3&ne1=3&ne2=104&ne3=1040270&es0=S&es1=S&es2=S&es3=N&ms=S
Come si vede, per il Servizio elettorale del Ministero dell’Interno, i seggi devono essere assegnati secondo le norme di legge che ho richiamato (su questo sito i dati dei seggi non erano presenti nei primi giorni dell’agosto scorso, quando ho pubblicato il mio articolo; sono stati pubblicati dopo): alla coalizione PDL-Romeo per Picozzi-Lega Nord spettano 8 seggi; al Terzo Polo ne spettano due, di cui uno all’UDC. Ne risulta che se Bova entrasse nel Consiglio Comunale, entrerebbe un candidato che non ha ottenuto voti sufficienti per essere eletto, e sarebbe escluso, invece, un candidato che i voti sufficienti per essere eletto li aveva ottenuti!

Quale legittimità avrebbero le votazioni del Consiglio Comunale alle quali prendesse parte un consigliere… fittizio? Perché se una sentenza del TAR può ristorare un diritto o un interesse legittimo leso da un provvedimento amministrativo errato o abusivo, certamente non può negare la volontà popolare oppure sostituirvisi.

Perché proprio io faccio questo discorso, che torna a favore di un candidato che, facendo l’assessore del centro-destra, lungo dieci anni di supina acquiescenza ad un gruppo di procacciatori d’affari ha attivamente collaborato a trasformare il Comune di Limbiate appunto in una agenzia d’affari, per la speculazione edilizia e non solo? Semplicemente perché sono quasi sicuro che di fronte a questa ennesima aberrazione della politica limbiatese, nella quale gli aspetti distorti e addirittura perversi sono tradizione ultra-consolidata, nessuno se ne accorgerà (infatti sono già state pubblicate scemenze varie e addirittura dei “Bentornato!”); che nessuno si accorgerà che anche questo episodio precipita la politica e le istituzioni limbiatesi a livelli infimi; che nessuno percepirà che con la rinuncia, più o meno interessata, a costituirsi nel giudizio, il Comune stesso, una buona pletora di inetti alla politica e alle istituzioni, e il diretto interessato, hanno fatto sì che questa volta l’aberrazione ci fosse regalata addirittura da un tribunale amministrativo!

Ovviamente, nessuno di coloro che oggi, fuori e dentro il Comune, blaterano, fra l’altro, di legalità, a suo tempo poteva abbassarsi fino a prendere in seria considerazione il mio articolo (che è stato letto da centinaia di persone, fra esse sicuramente tutti i politicanti di Limbiate, istituzionali e non) e fino a capire che era il caso, avendone titolo, di andare ad argomentare davanti al TAR che per ripristinare la regolare composizione del Consiglio Comunale di Limbiate il decimo seggio della minoranza non doveva essere assegnato a nessuno dei due ricorrenti (uno dei quali non è nemmeno il primo dei non eletti della sua lista!), bensì – poiché si tratta di un principio fondante della democrazia - a chi aveva acquisito con il voto popolare il diritto di ottenerlo. Poiché di molti politicanti limbiatesi io, ancora una volta, scrivevo quello che si può leggere nella seconda parte dell’articolo, molti hanno preferito ripetere, come pare si ami ripetere in una frequentatissima cartolavanderia, “Ricciardi è inattendibile!”, “Ricciardi è un pazzo!”.

Certo che sono pazzo. Ma non frequento le cartolavanderie.