venerdì 27 aprile 2012
Partigianato e democrazia. L'amministrazione delle «repubbliche»
Dante Livio Bianco (1909-1953)
Guerra
partigiana vuol dire guerra popolare, vuol dire espressione e messa in
movimento di nuove energie democratiche, vuol dire politica dei C.L.N.
L'epoca
delle «repubbliche» segna precisamente l'apogeo, all'aria aperta, oltreché dell'organizzazione
militare partigiana, anche delle nuove istituzioni democratiche. Escono alla
luce del sole i C.L.N. che si erano già in precedenza costituiti nella
clandestinità — il più delle volte per iniziativa e suggestione diretta dei
comandi partigiani, o sotto lo stimolo indiretto rappresentato dalla presenza
delle formazioni — e se ne costituiscono di nuovi. Là dove la cosa è possibile,
si procede a libere elezioni democratiche, che debbono o designare i membri dei
C.L.N. di nuova costituzione, oppure decidere se convalidare o meno i membri di
quelli già esistenti.
Da
qualche parte, si fanno sentire anche scrupoli di natura costituzionale: chi
deve votare? Tutti i cittadini indiscriminatamente? E chi stabilisce come
dev'essere costituito il corpo elettorale? La questione si presentò particolarmente
in Valle Stura, a Demonte: e venne risolta colla convocazione d'un'assemblea
costituente, composta d'una quarantina di persone, tutte di provata fede
antifascista e di specchiata moralità, e rappresentanti non solo il capoluogo,
ma anche le varie frazioni e borgate del comune. E solo dopo che la minuscola
costituente ebbe deliberato sulla questione preliminare, si procedette all'elezione
del C.L.N., conformemente a quanto deliberato.
Generalmente,
ogni comune ha il suo C.L.N., o si prepara ad averlo: ed il C.L.N. funziona
come giunta comunale di governo. Solo là dove particolari circostanze
sconsigliano l'immediato ricorso al sistema delle elezioni democratiche, viene
nominato un commissario straordinario (cosi, per restare in Valle Stura, a
Vinadio).
Nelle
valli Maira e Varaita, poi, prende vita un nuovo istituto, assai interessante,
non previsto nel comune ordinamento dei C.L.N. : è il C.L.N. «di valle». In
relazione agli sviluppi della guerra partigiana, ma anche per altre ragioni, la
valle costituisce, oltreché una circoscrizione militare, anche un'entità economica,
sociale e politica con peculiarità ed esigenze sue proprie: il C.L.N. di valle
esprime e cura appunto queste particolarità ed esigenze supercomunali, e si
pone come organo di controllo, di coordinamento e di direzione dei C.L.N.
comunali.
Le
incombenze dei C.L.N. sono molteplici: esse si compendiano essenzialmente,
lasciando da parte il campo strettamente politico, nell'esercizio
dell'amministrazione civile.
È
anzitutto la delicata materia dell'annona che viene accuratamente disciplinata,
in modo da soddisfare nel miglior modo le esigenze della popolazione. Si
provvede così alla gestione degli ammassi (per esempio del burro, del latte,
dei formaggi, ecc.), alla fissazione e disciplina dei prezzi, al controllo
delle esportazioni, con l'istituzione, talvolta, di dazi d'esportazione, da
corrispondersi in danaro o in natura, con una quota della merce in uscita.
D'altro
canto, è d'intesa coi C.L.N. che i comandi partigiani prendono iniziative o
comunque si prestano a favore della popolazione. Così, un po' dappertutto, è
attraverso l'organizzazione partigiana che avviene il rifornimento del grano e
della farina destinato al consumo civile. È il comando partigiano che, in Valle
Maira, impianta un servizio regolare di camion che, in sostituzione delle
autocorriere da tempo requisite dai tedeschi, assicura alla popolazione la
possibilità di comunicazioni.
Analogamente è il comando partigiano che in Valle Stura, dopo di averne
militarizzato il personale, assume la gestione del trenino a vapore che — per
ragioni di sicurezza, e non esclusa forse una nota ad pompam — viaggia
come « treno armato », con un cannoncino da 47/32 e una mitragliatrice
antiaerea piazzata sui carri. E non manca nemmeno, in qualche luogo, a
cura delle autorità civili sempre d'intesa con quelle militari, una sia
pur improvvisata organizzazione per la protezione anti-aerea : come a Demonte
dove — dopo alcune avvisaglie poi purtroppo confermate dalle incursioni
degli Stuka che bombardarono Vinadio — si istituì un regolare servizio,
con posti d'avvistamento, altoparlanti per le segnalazioni, sacchetti di
sabbia, squadre di spegnitori, e via dicendo.
Viceversa,
sempre sul piano di quella stretta collaborazione fra i partigiani e la
popolazione, talvolta son le autorità
militari che chiedono prestazioni straordinarie ai civili: come avvenne in
Valle Gesso, dove fu indetta una specie di mobilitazione civile, di servizio
del lavoro, per la posa dei reticolati ed altre opere interessanti la difesa
della zona.
In
queste nuove condizioni, si regola meglio anche la materia delle requisizioni,
per far fronte alle esigenze, specie alimentari, delle formazioni, senza
disconoscere i bisogni e le legittime aspettative della popolazione.
Come
vivono le formazioni partigiane del Cuneese? I mezzi di sussistenza (per tacer
di altre fonti minori od occasionali) sono essenzialmente tre:
1) i «colpi»;
2) il finanziamento da
parte del C.L.N. del Piemonte;
3) le requisizioni.
Sui «
colpi » v'è poco da dire: sono i noti colpi di mano sui magazzini e sui
depositi nazifascisti, l’impossessamento di bestiame, di viveri, di materiali
in giacenza o in viaggio per tedeschi o repubblichini.
Quanto
poi al finanziamento del C.L.N. del Piemonte, si tratta di sovvenzioni assai
cospicue, di decine e decine di milioni: purtroppo però insufficienti a coprire
l'intera massa delle spese. Un esercito partigiano costa caro (sempre meno
caro, però, che un esercito regolare!): e le somme che arrivano da Torino non
bastano. Si noti che — almeno nelle formazioni del Cuneese — né gli ufficiali
ricevevan stipendio, né i partigiani percepivano il soldo: il servizio
partigiano era volontario e, per forza, gratuito, e solo saltuariamente — ma
raramente, per la verità — veniva corrisposto, in via eccezionale, qualche
modesto «premio» in danaro (nei casi più meritevoli di considerazione, si
accordavano viceversa, con una certa regolarità, sussidi per le famiglie).
Eppure, ripetiamo, nonostante la soppressione d'un capitolo di spese così
importante come quello degli « assegni », nonostante lo spirito di sacrificio e
la sobrietà talvolta spartana dei partigiani, i milioni che giungono da Torino
non bastano: ed ecco perché parte delle requisizioni devono essere fatte senza pagamento.
Chi
scriverà un giorno la storia del partigianato, dovrà soffermarsi a lungo su questa
materia delle requisizioni: poiché esse — a parte il lato puramente statistico
ed economico della questione — sono una nuova, diretta testimonianza del
carattere popolare della guerra di liberazione, e confermano la profonda
solidarietà fra partigiani e popolazione, e i grandi sacrifici di questa —
specie nei suoi strati meno abbienti — e l'alto contributo da essa dato alla
lotta.
Intanto
però, nelle «repubbliche», coll'intervento dei C.L.N., si rende possibile un
miglior controllo e una maggior perequazione, una più giusta distribuzione del
carico delle requisizioni, che vengono meglio disciplinate anche dal lato
formale, con un sistema di garanzie dirette a prevenire abusi ed ingiustizie.
[Dante Livio Bianco, Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese, in Guerra partigiana. Raccolta di scritti a cura di Giorgio Agosti e Franco Venturi,
Einaudi, Torino 1954, pp. 98-101]
[«Come vuole che faccia a non essere pessimista, a non essere deluso?»]
Senatore Parri[1],
posso chiederle qual è la cosa che nella vita l'ha più delusa?
Un
lungo silenzio, Parri si solleva gli occhiali sulla fronte nel gesto che gli è
consueto, i capelli bianchi gli spiovono sugli occhi, incurvato sul tavolo
sembra ancora più fragile e minuto. Poi risponde, a voce bassissima.
«Mah,
il popolo italiano, ecco.» Le parole si smorzano nella stanzetta all'ultimo
piano di Palazzo Giustiniani, l’estate romana fa da cornice morbida e sfatta al
pastone di voci che sale su da via della Dogana vecchia: dalla terrazza si vedono
Palazzo Madama, San Luigi dei Francesi, la chiesa barocca del Borromini. «È la
cosa che mi pesa di più. Man mano che mi sono fatto una conoscenza più profonda
del popolo italiano, ho toccato i suoi aspetti di scarsa educazione civile e
politica. Mi riferisco alla parte prevalente del paese, non a tutto il Paese.
Questo rafforzarsi costante del mio pessimismo, questa constatazione
progressiva della non rispondenza della maggior parte del popolo è una delusione
forte per uno che ha sempre ritenuto e ritiene di dover fare qualcosa per la
vita pubblica.»
Ferruccio Parri,
ottantadue anni, senatore a vita nel gruppo degli indipendenti di sinistra,
un'esistenza spesa per gli ideali della giustizia e della libertà. Combattente nella
grande guerra - tre medaglie d'argento -, redattore del «Corriere della Sera»
dal '22 al '25, dimissionario dal giornale con Luigi Albertini, organizzatore
con Carlo Rosselli, nel 1926, dell'espatrio clandestino di Filippo Turati, processato,
incarcerato, confinato dai fascisti, tra i fondatori del Partito d'Azione,
leader della Resistenza armata, vicecomandante («Maurizio») del Corpo Volontari
della Libertà, presidente del Consiglio dal 21 giugno al 9 dicembre 1945, Parri
è stato ed è, dalla Liberazione a oggi, un preciso punto di riferimento della
lotta democratica e antifascista, la coscienza critica del modo di far politica
nato dalla Resistenza.
Non è
stato il 1945 il momento della sua delusione più amara, quando fu defenestrato
dal governo? Lei era allora l'uomo del Nord, rappresentava il CLN, la violenta
rottura con lo stato fascista.
«È
stata una delusione personale, quella, forse un segno di mie qualità non buone.
Non avrei voluto essere defenestrato in modo così brusco perché covavo due
ambizioni, evidentemente infondate. Volevo essere io, non tanto come persona ma
perché dietro di me c'era la
Resistenza, ad aprire la Costituente e a
trattare con gli alleati. De Gasperi si è comportato con dignità, ma che cosa
sapeva della lotta di liberazione? Aveva visto crepare la gente attorno a lui,
sapeva che cosa era costata, sapeva come aveva inciso, sapeva di che cosa
poteva vantarsi buona parte d'Italia, allora?»
Era un'altra Italia.
«Sì, era proprio un'altra Italia. De Gasperi
non lo sapeva e non l'ha detto agli alleati; non poteva dirlo, d'altronde. Questa
è stata una delusione forte per me.»
E poi?
«E poi tante cose. Ma soprattutto una che
spiega il mio pessimismo. L'accusa che io faccio ai democristiani di allora:
"Voi DC, per governare il Paese, vi siete serviti della classe dirigente
fascista, con una scrematura epurazionale insufficiente, che non è penetrata in
profondità, ha tolto solo di mezzo qualcuno dei più violenti. Voi avete dato
espressione politica e partitica a questa gente. Li avete legittimati e
naturalmente ne avete sentito il peso, un peso conservatore e anche
reazionario, con una mentalità sagomata da vent'anni di fascismo, pericolosa
soprattutto fra i professori universitari, i magistrati, i burocrati".»
[…]
«La Resistenza è stata
largamente popolare, dove noi abbiamo operato. Ce ne siamo accorti dopo, che
nel Paese era stata un fatto minoritario. Ha inciso, ha lasciato forti tracce,
ma quelli che ci seguivano, i compagni, si possono chiamare il vero popolo
italiano? Questo avvenimento, che è stato certo il più epico della storia
italiana, da chi è stato capito, chi ne è stato informato come doveva? L'italiano
medio è rimasto in tale lontananza di spirito! L'Italia ufficiale, con le sue
fanfare, si è accorta della Resistenza dopo il 1960.»
[…]
Senatore Parri, lei ne ha viste tante, è stato
un protagonista di mezzo secolo di storia. Qual è il brandello della sua vita
che la rappresenta di più?
«Nessuno e tutto. La mia attività politica
inizia nel 1910-1912. Poi la grande guerra, io sono stato interventista di tipo
salveminiano. Sapesse qual è stata la prova dei miei coetanei, allora. Il 1915,
la tremenda guerra. Ho visto il sacrificio di una generazione, un sacrificio
che è stato anche sincero. Sono stati importantissimi per me, quegli anni. Il
filone della mia vita è attaccato là, là si dipartono le prove del '22, le
esperienze del '25-26, la fuga di Turati, principale merito di Carlo Rosselli,
un trascinatore formidabile, non ho conosciuto nessuno come lui. Poi le lotte
antifasciste del 1930, Giustizia e libertà, il processo al tribunale speciale. Ma
ogni fatto ha le sue radici là, nella grande guerra, anche se i momenti
culminanti della vita sono stati forse il '25-26 e di nuovo il '42-'43, con la
fondazione del Partito d'azione e la necessità di cominciare a organizzare la Resistenza armata che
vedevo ineluttabile. Un altro tempo fu nel '45. Ma è lo stesso filo che non si
è mai rotto, lo stesso filo che ha sempre contato per me fin dal 1915.
[…]
Caro
Parri, c'è una bella e commovente fotografia dell’aprile 1945, lei in testa ai
partigiani, a Milano, a San Babila, accanto a Longo e a Cadorna. Adesso a San
Babila ci sono le squadre fasciste, i muri della piazza sono pieni di svastiche,
di scritte provocatorie.
«Delusioni
gravi, amarezze grosse, che cosa vuole che le dica? Siamo arrivati al punto che
dopo la guerra e il sangue della Resistenza abbiamo Almirante e non solo Almirante,
Rauti, Ciccio Franco. Io ho un altro processo, adesso, per diffamazione, ancora
una volta, contro i fascisti. In un'interpellanza parlamentare mi si accusa
anche di aver tradito la
Resistenza, di aver accettato, quando fui preso dai tedeschi
nel gennaio 1945 e dovevo essere fucilato, la libertà per intervento di Allen
Dulles e dei servizi alleati in Svizzera.»
Lei è stato una delle prime vittime del linciaggio qualunquista
e neofascista dopo la
Liberazione.
«Sì, ho dovuto querelare Guglielmo Giannini,
testimoniare al processo Graziani, sapesse quante minacce di morte mi costò. Ne
ricevo anche adesso, continuamente. I fascisti ce l’hanno con me in una maniera
accanita e inesplicabile. Ho avuto tanti processi gravi, difficili, penosi,
faticosi. Sapesse cosa vuol dire sentirsi dare del traditore da questi nazisti, da
questi traditori, una cosa desolante, come vuole che faccia a non essere pessimista, a non
essere deluso?»
(«II Giorno», 1 luglio 1972)
[Corrado Stajano, Maestri e infedeli. Ritratti del Novecento, Garzanti, Milano 2008,
pp. 63-68]
[1] Uomo politico e giornalista (1890-1981). Presidente
del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia fu presidente del Consiglio
dal giugno al dicembre del 1945.
L'intervista, di Corrado Stajano, faceva parte della serie del «Giorno» dal titolo «I grandi delusi».
giovedì 26 aprile 2012
«…impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, con la dolente immagine dei giovani morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati…»
[…]
Lo studio di Nuto [Revelli]. Ne ho visti tanti di studi di
scrittori. Consimili. Ma quel suo studio di Cuneo dove ho passato ore in
momenti diversi della vita mi è rimasto nella mente non tanto per le carte
accumulate, per le cassette ordinate, i ruolini della sua banda partigiana, le
tracce e gli strumenti di un'esistenza di lavoro. Per due immagini appese alla parete
sopra il divano, piuttosto. Due fotografie.
La prima - una scena risorgimentale - rappresenta tre
partigiani della III Divisione Langhe Giustizia e Libertà condotti a morte dai
fascisti. È il 9 marzo 1945. Armando Meniciati e i fratelli Cirelli camminano
con alta dignità, per una strada in salita lungo la facciata di una casa. Le
mani incatenate dietro la schiena. La testa levata, uno dei tre guarda curioso
il fotografo. Un fascista con l'elmetto e il mitra imbracciato sembra più
agitato di loro. Armando Meniciati ha quasi ventun anni, è nato a Padova, è un
operaio. Giuliano Cirelli compirà ventun anni tra un mese, è nato a Copparo, in
provincia di Ferrara, è un operaio. Suo fratello Waldem, barbiere, ha quattro anni
più di lui. Vanno alla fucilazione. A Dogliani, località Pianceretto.
La seconda è una fotografia di Ferruccio Parri, col
cappello in testa, gli occhiali sulla fronte. Quel che di lui ha scritto, nell'Orologio, Carlo Levi lega tutto, la
storia di Nuto, la sua odissea, la sua memoria, quella dei compagni inquieti e
ribelli della sua vita: «Aveva il viso sofferente, come se un dolore continuo,
il dolore degli altri che non può aver fine, gli volgesse in basso gli angoli
della bocca, gli spegnesse lo sguardo, e gli avesse, fin da fanciullo,
imbiancato i lunghi capelli. Lo guardavo diritto [...] e mi pareva che egli
fosse impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido
colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, con la dolente immagine
dei giovani morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati, con le lacrime
e i freddi sudori dei feriti, dei rantolanti, degli angosciati, dei malati,
degli orfani, nelle città e sulle montagne». [1]
[Corrado
Stajano, Il nuovo parabellum, in AA.VV.,
Nuto Revelli, percorsi di memoria,
fascicolo speciale per gli ottant’anni di Nuto Revelli de «Il presente e la
storia», rivista dell’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia,
giugno 1999, pp. 212-213]
La fotografia è ripresa da Dante Livio Bianco, Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese, in Guerra partigiana. Raccolta di scritti a cura di Giorgio Agosti e Franco Venturi, Einaudi, Torino 1954.
[1] Il passo è tratto dal VII capitolo. V. la succinta scheda de L'Orologio sul sito web della casa editrice Einaudi: "Pubblicato nel 1950, L'Orologio è uno dei migliori esempi di narrativa politica del dopoguerra, un'appassionata
testimonianza sullo sfaldamento delle forze politiche antifasciste. Un orologio
che si rompe dà l'avvio alla storia di tre giorni e tre notti nel dicembre del
'45, che cambia il destino dell'Italia. La fine del governo resistenziale di
Ferruccio Parri, l'inizio della crisi dei partiti liberale e azionista,
l'avvento al potere di Alcide De Gasperi e della Democrazia cristiana, e
soprattutto Roma e l'Italia di allora: un complesso intreccio di avvenimenti
politici e di condizioni umane raccontano con una tensione e un pathos che
coinvolgono il lettore e rivelano la temperatura di una stagione traboccante di
vitalità e nello stesso tempo vulnerabile di fronte a tutte le illusioni".
Nel saggio-narrazione di Leonardo Sacco, L’Orologio della Repubblica. Carlo Levi e il
caso Italia (seconda edizione riveduta, Basilicata editrice, Matera 1999) vi è un quadro dettagliato del contesto
storico, politico e culturale del romanzo di Carlo Levi, con molte indicazioni
per decifrare gli pseudonimi dei personaggi e precise ricostruzioni delle vicende
che nel volgere di pochi mesi portarono all’annullamento della spinta per una radicale trasformazione dello Stato, della società e del modo di fare politica, che
aveva animato la Resistenza
nel Nord d’Italia.
mercoledì 25 aprile 2012
[Fu una guerra morale, un corso accelerato di vita civile quanto più, tutt'intorno, tutto sembrava furia, bestialità, cecità, delitto]
Franco Fortini
(1917-1994)
Il grande valore di quel che è accaduto venti anni fa non
è soltanto nel riacquisto delle libertà costituzionali e parlamentari, quelle
libertà che mi consentono di parlarvi e che consentono, anche a chi la pensa diversamente da me, di esprimersi nei luoghi e nei tempi che la legge prevede: e nemmeno
nel riscatto delle colpe che gli italiani accettarono o subirono di addossarsi
nel ventennio precedente. Forse ad un giudizio storico più rigoroso comincia
ad esser chiaro che il fascismo non è stato altro che la forma politica che in
un paese economicamente e civilmente debole le classi dirigenti si sono scelte
per poter avviare il passaggio da una fase di economia prevalentemente agricola
ad una di economia prevalentemente industriale; e allora la stessa Resistenza
risulterà essere un episodio del medesimo fenomeno, ossia l’operazione politico-militare
che ha contribuito a spazzare via i resti di una classe politica inetta ed ha
consentito lo sviluppo delle forme moderne di produzione capitalistica anche
nella nostra penisola. Credo però che la grande eredità della Resistenza
consista proprio in quello che a molti o pavidi o ipocriti è sembrata la sua
macchia o la sua vergogna: di aver messo spietatamente gli uomini gli uni
contro gli altri, di aver diviso le famiglie e spesso l'uomo da se stesso, di
aver contrapposto doveri, di aver imposto scelte strazianti, di averlo
costretto a scegliere. Questo popolo che per secoli era stato avvezzo dalla sua
storia a pensare che c'era qualcuno, un qualsiasi superiore, che decideva per
lui, si trovò costretto a dilemmi morali feroci: debbo rischiare la vita di
montanari innocenti, che domani una rappresaglia può impiccare o bruciare vivi,
per non accettare di trattare col vicino comando tedesco? Debbo, obbedendo alle
leggi della guerra, rifiutare di presentarmi come responsabile di un attentato
e lasciar fucilare dieci o cento ostaggi, o debbo invece salvar la vita degli
altri a prezzo della mia propria? Debbo, ufficiale dell'esercito, porgere la
mia rivoltella al tedesco che me la chiede o devo portarmela alla tempia? Debbo
obbedire a mia madre, che non ha che me e mi implora di non rischiare la vita,
o andare volontariamente a perderla con i compagni partigiani? Inseguito,
affamato, disarmato, devo varcare la frontiera svizzera, o presentarmi alla
caserma fascista a implorare perdono? Internato in Germania, mentre intorno mi
muoiono i compagni di tubercolosi e di fame, debbo o no firmare quel foglio che
significa cibo, coperta, ritorno in patria? Quel ragazzo di diciotto anni, spia
del nemico, che mi chiede pietà piangendo, debbo farlo fucilare o no?
Questi e simili interrogativi si posero tragicamente
e bruscamente a centinaia di migliaia di italiani, in quei mesi. Fu una guerra
morale, un corso accelerato di vita civile quanto più, tutt'intorno, tutto
sembrava furia, bestialità, cecità, delitto. Gli italiani scoprirono che non
esistono cause assolutamente immacolate, che non esistono gruppi di «puri», che
le azioni collettive esigono la rinuncia alla integrità e che il rimorso è
inseparabile dall’azione. Scoprirono che è cosa ben diversa sparare al nemico straniero,
che parla un'altra lingua, e indossa altri colori e sparare sul tuo
concittadino o sentire il tuo stesso dialetto sulle labbra del militare che
manovra la mitragliatrice contro un gruppo di donne e di bimbi atterriti, com'è
accaduto a Marzabotto. Quando la violenza delle contraddizioni è portata fino
all'orrore, le volontà si fanno implacabili, zone ignorate della coscienza e
della società vengono avanti, e scopriamo con spavento e con gioia che la gerarchia
degli uomini era, appunto, apparente e falsa. Questo - e non soltanto quello
dei partiti politici e delle parole d'ordine - è stato il senso rivoluzionario
della Resistenza. È lo sconvolgimento introdottosi fin nel più umile villaggio
dell’Appennino o delle Alpi, la morte sull'aia o nel fosso che ci aveva visti
giocare da ragazzi.
[Ventesimo della Resistenza, in una scuola
(1965), in Un giorno o l’altro,
Quodlibet, Macerata 2006, pp. 354-355]
martedì 24 aprile 2012
I disabili pagano per la propaganda del centrosinistra e per la protervia di alcuni burocrati
Dal l ° di aprile, le famiglie dei ragazzi che frequentano il Centro
Diurno Disabili sono costrette a pagare il pasto dei figli ad un prezzo maggiorato del 59,32 %.
L’assessora ai Servizi sociali Franca Basso ha
giustificato questo aumento con le seguenti auree parole:
“Se non avessimo
avuto pressanti esigenze di cassa non l’avremmo fatto, ma non abbiamo avuto i
trasferimenti dallo Stato, chiaramente terremo conto delle situazioni di
maggiore bisogno”.
Con le note che seguono voglio mettere in luce
l’inconsistenza della sola prima affermazione; sulle altre due (due mistificazioni oltraggiose!) mi
soffermerò in un altro articolo.
Per le famiglie l’aumento è
elevatissimo, poiché su ognuna (e
sono tutte famiglie di modeste condizioni economico-sociali) graverà, solo per
la mensa, un’altra spesa di 420 € per
anno, alla quale dovranno aggiungere l’aumento
di 2,50 € della retta mensile per la frequenza del C.D.D.
Ma, con un aumento così elevato per gli utenti, quanti
denari in più entreranno nella cassa del Comune di Limbiate? Il conto è il
seguente:
- n. frequentanti: 28;
- n. giorni di frequenza per settimana: 5;
- n. settimane di frequenza per anno: 48;
- maggiorazione della tariffa/pasto: 1,75 €;
- maggiorazione
dell’entrata: 28 x 5 x 48 x 1,75 = 11.760 €.
Già sorge spontanea la domanda: nel Comune di Limbiate,
che ha riscossioni e spese attestate sui 22-23 milioni di euro/anno, quale “pressante
esigenza di cassa” potrebbe essere soddisfatta con un aumento delle
entrate di 11.760 €, da incassare nell’arco di un anno?
Per la cassa del Comune 11.760 € è una cifra irrisoria. Infatti, secondo il Conto consuntivo 2011, la somma
delle entrate riscosse è stata di 22.528.262,04 €, e
ci si rende conto di quanto sia irrisorio l’aumento delle entrate se si calcola
qual è il rapporto percentuale tra le due cifre: 11.760: 225.282,6204= 0,0522%.
La cifra di 11.760 € è solo una goccia nel mare delle entrate, e ancor più diventa evidente se la raffrontiamo con la somma delle entrate e dei crediti del Comune, che è indicata dalle seguenti cifre
(desunte dal Consuntivo 2011):
- riscossioni..................................: 22.528.262,04 +
- accertamenti residui.................: 6.521.108,15 +
- residui attivi di anni precedenti: 7.112.234,39 =
- totale.................................: 36.161.604,58;
su questa somma, l’aumento della
tariffa per le refezioni del C.D.D. rappresenta una percentuale infinitesimale: 11.760: 361.616,0458 = 0,0325%.
È chiaro che, seppure esistesse una “pressante esigenza di cassa”,
una cifra tanto piccola non potrebbe in alcun modo migliorare la capacità di
pagamento del Comune.
Innanzi tutto, l’anno 2011 si è chiuso con un saldo tra riscossioni (22.528.262,04 €) e pagamenti (19.887.447,36 €) di 2.640.814,68 €. €, un dato che già
non indica alcuna “pressante
esigenza di cassa”.
Ma anche ipotizzando che il Comune debba far fronte nel corso del 2012 a tutti gli impegni di spesa residui, le
cifre non evidenziano alcuna “pressante
esigenza di cassa”. Infatti:
- saldo riscossioni-pagamenti 2011................: 2.640.814,68 +
- entrate accertate residue (=crediti sicuri): 6.521.108,15
-
- impegni di spesa residui.................................: 9.428.185,40 =
- differenza.......................................................: -266.262,57
La cifra di 266.262,57 € è un disavanzo che non può creare
nessuna “pressante esigenza di cassa”! Innanzi
tutto perché i movimenti di cassa sono dei flussi di entrate e di uscite che si
protraggono nel corso dell’anno; ma soprattutto perché si deve tener conto,
anche, dei flussi in entrata e in uscita
dei residui degli anni precedenti, la cui gestione contribuisce a
determinare la situazione della cassa:
- saldo di amministrazione 2011....: -266.262,57
+
- residui attivi di anni precedenti...: 7.112.234,39 -
- residui passivi di anni precedenti: 4.546.259,24 =
- differenza..................................: 2.299.712,58
La somma delle riscossioni, dei pagamenti, dei residui
attivi e passivi della competenza e degli anni precedenti è costituita da una
miriade di voci che corrispondono alle attività istituzionali dell’ente Comune,
fra le quali vi sono moltissimi sprechi
e/o spese inutili, spesso per decine di migliaia di euro, che potrebbero essere
eliminati o ridotti con una gestione
più oculata, sia sotto l’aspetto amministrativo sia sotto l’aspetto
politico.
Nessuna indicazione in questo senso è venuta dall’assessora Franca Basso (che ha, fra
le altre, le seguenti deleghe: Politiche
per la comunità, Servizi per la
persona, Nuove e vecchie povertà),
quando ha annunciato quest’altra
stangata. Costei non ha sentito il
dovere, quando ha deciso di “colpire
i più deboli” (secondo l’amaro e sacrosanto commento di alcuni genitori di
ragazzi disabili), di presentare uno straccio di piano di risparmi di gestione,
poiché non ha la più pallida idea di
come si amministri una comunità. È
evidente che la sua immaginazione non riesce a concepire, nel pensare l'amministrazione
dei settori dei quali si deve occupare, nient’altro che una gestione di tipo privatistico (condita, beninteso, con un po’
di attenzione alle “situazioni di
maggiore bisogno”!). Un'assessora con le deleghe appena ricordate, che amministra (si fa per dire) tenendo come stella polare delle fantomatiche "pressanti esigenze di cassa", è un caso grottesco, ma la stessa sostanziale aridità umana, la stessa
inettitudine amministrativa, la stessa inintelligenza politica hanno dimostrato,
anche a questo proposito, la spocchiosissima vice-sindachessa Ripamonti (che ha
anche la delega alle Risorse Umane ed
Economiche!), quel patetico
sbruffone di De Luca, il torvo assessore alle Politiche famigliari Daniele
Lodola, il ponzatore di nuovi modelli di sviluppo Andrea Pellegata (che è
delegato ad occuparsi, fra le altre costosissime fandonie, anche della Comunicazione Politica), e il resto
della Giunta.
Anche la somma dei residui
attivi e passivi di anni precedenti è data da una miriade di poste che
spesso sono vecchie di molti anni e che, per quanto riguarda gli attivi, non sono stati e non sono riscossi, in
alcuni casi per decisione politica,
e in molti altri per mancanza di… zelo
di alcuni dirigenti del Comune. Lo dimostra l’impennata dei riaccertamenti,
vale a dire della cancellazione dei
crediti ormai inesigibili da anni e degli investimenti mai fatti, evidenziata
dai dati dei Consuntivi 2010 e 2011:
- residui attivi cancellati nel 2010..: 877.715,92
- residui attivi cancellati nel 2011...: 4.489.228,53
- residui passivi cancellati nel 2010: 1.807.229,77
- residui passivi cancellati nel 2011: 4.782.591,51
Questi dati sono
clamorosi, poiché
indicano che per molti anni un’enorme
massa di crediti non è stata esatta ed è diventata ormai inesigibile, e
molti investimenti non sono stati fatti, fino a provocare l’intervento della Corte
dei Conti che ha imposto il riaccertamento. Un esame della gestione dei residui
negli ultimi anni, condotto sulle schede del riaccertamento, provocherebbe
sorprese clamorose! Ma si tratta di dati che l’amministrazione si guarda bene
dal divulgare davvero, quindi l’esame deve essere rimandato a quando tutti i
documenti saranno, se lo saranno, disponibili (pare che nemmeno i consiglieri
comunali siano in possesso di tutti i documenti del Rendiconto consuntivo
2011!).
Vi è poi il capitolo degli enormi sprechi nei lavori
pubblici, nei quali è frequentissimo il caso di lavori che devono essere rifatti dopo pochissimi anni (e a volte dopo pochissimi mesi!). Segno che
manca un’adeguata vigilanza affinché i lavori siano fatti secondo le migliori regole
dell’arte e con materiali di ottima qualità.
Fra le spese totalmente inutili (poiché non producono né produrranno mai alcun benessere di nessun tipo per i cittadini, ma al massimo quella retorica che G. W. F. Hegel chiamava “pappa per il cuore”; ma per lo più si tratta di brodaglia retorica), vi sono quelle del ponzatore di nuovi modelli di sviluppo, al quale, unico fra tutti gli assessori, è stato assegnato, pare, un fondo di 150.000 € perché si dedichi a costruire un qualche apprezzabile consenso per il centro-sinistra.
Fra le spese totalmente inutili (poiché non producono né produrranno mai alcun benessere di nessun tipo per i cittadini, ma al massimo quella retorica che G. W. F. Hegel chiamava “pappa per il cuore”; ma per lo più si tratta di brodaglia retorica), vi sono quelle del ponzatore di nuovi modelli di sviluppo, al quale, unico fra tutti gli assessori, è stato assegnato, pare, un fondo di 150.000 € perché si dedichi a costruire un qualche apprezzabile consenso per il centro-sinistra.
Fra le spese inutili vi sono anche quelle legali,
fatte semplicemente per tentare di difendere la boria di chi comanda. Fra le
tante che si potrebbero ricordare ne rammento solo due, che la Giunta Comunale
che adesso toglie soldi alle
famiglie dei disabili avrebbe potuto risparmiare,
ma si è ben guardata dal farlo. Sarebbe bastata solo una più oculata
condotta dei dirigenti e un po’ di quell’intelligenza e competenza
politico-amministrativa della quale mancano totalmente le Leuzzi, le Curcio, i De
Luca, le Ripamonti, le Basso, i Pellegata, ecc., e sarebbero state risparmiate, anche, delle
figure… escrementizie. Mi riferisco, naturalmente, alla causa che mi hanno
costretto ad intentare per difendere un mio (e di tutti i cittadini) elementare
ma importantissimo diritto, quello dell’accesso agli atti. Su questa questione
ho già scritto [v. qui
e qui],
e quindi mi limito a ricordare che per
questa causa persa già in partenza la
Giunta ha sperperato 4.500 €.
Ma si deve ricordare anche un’altra causa, per la quale la Giunta ha sperperato una cifra ancor
più grande, 7.500
€. In questa causa, intentata dalla Ecotrattamenti S.r.l., per
il Comune sarebbe stato meglio non
costituirsi, poiché, come ha
sentenziato il T.A.R. Lombardia, aveva
torto marcio. Ma in quel periodo la Giunta Comunale e i
dirigenti dei partiti della maggioranza erano stravolti dall’ansia di
recuperare i consensi persi con la vicenda degli Istituti Comprensivi, e quindi,
dopo alcuni tentennamenti, scelsero di manovrare il Comitato delle Pacciade per
inventare un “movimento ambientalista” che era falso, poiché non solo era
sostenuto dal Comune e da tutti i partiti (anche da quelli che avevano fatto
promesse interessate alla Ecotrattamenti!), ma addirittura anche da chi, soprattutto,
teme che un impianto potenzialmente pericoloso vicino ai suoi terreni, che la
Giunta De Luca farà diventare edificabili, pregiudichi la capitalizzazione della sua rendita
fondiaria urbana. E per sostenere questo pseudo-movimento, al quale hanno
partecipato in buona fede diverse persone che
letteralmente si sono fatte turlupinare, la Giunta Comunale pretese di imporre
la sospensione della costruzione di un impianto pirolitico con un’ordinanza del tutto illegittima di
un suo dirigente. Tutti quanti, però, sapevano che le autorizzazioni degli
impianti di trattamento dei rifiuti sono di competenza della Provincia, e che
quindi l’ordinanza era illegittima:
lo sapevano il dirigente del Settore Tecnico, la responsabile dell’Ufficio
Ambiente, il sindaco e il resto della Giunta (e se non lo sapevano sono dei
somari patentati), e anche quella claque
elettorale che è il Comitato delle Pacciade formalmente capeggiato da Mauro
Varisco, che lo ha anche scritto!
In effetti, l’ordinanza contribuì al raggiungimento dello
scopo, e tutti espressero la più grande soddisfazione: lo pseudo Comitato,
Mauro Varisco, che da allora è convinto che lui muove la “vera politica, quella
trasversale” (dal centrosinistra al centro-destra, passando per i redditieri
fondiari), tutti i partiti e soprattutto quelli che vorrebbero fare
l’opposizione interna al centro-sinistra ma sono troppo pusillanimi per farlo
davvero. Tutti pensavano che, tanto, la Ecotrattamenti, si
sarebbe sentita svergognata da un’ordinanza di sospensione e non avrebbe
reagito! E che, ottenuto un notevole effetto propagandistico con l’ordinanza e
con vari ordini del giorno, sarebbe poi stata la Provincia di Monza ad
assumersi l’onere dell’autorizzazione
dell’impianto pirolitico! La ditta, però, ricorse al T.A.R., e la Giunta, pur sapendo che inevitabilmente avrebbe
perso, invece di non costituirsi in giudizio, decise di spendere 7.500 € per pagare un avvocato che ha potuto solo prendere
atto, in udienza, della prevedibile decisione
dei giudici di non entrare nel merito della causa, poiché, discutendo
preliminarmente della richiesta di sospensiva, hanno ritenuto che l’illegittimità dell’ordinanza comunale fosse tanto
manifesta, che non valeva nemmeno la pena di fissare l’udienza di merito!
Ecco, se la Giunta Comunale fosse stata capace di una maggiore
intelligenza amministrativa e politica, e avesse deciso di non infilarsi a
testa bassa in queste due cause, costate in totale 12.000 €,
adesso non sarebbe necessario recuperare 11.760 € aumentando il costo della refezione nel C.D.D.!
Ma, oltre che rinfacciare questi sperperi agli
amministratori inetti, è possibile andare oltre ed indicare alcune voci attive
del Consuntivo 2011 che potrebbero essere destinate a coprire l’aumento del
costo della refezione del C.D.D., ed anche l’altro importantissimo servizio,
quello del trasporto degli alunni, sul quale ho già scritto [v. qui].
Ma su questo in un prossimo articolo.
mercoledì 18 aprile 2012
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”
Per fare la segretaria nel Comune
di Limbiate, la signora dottoressa Maria Leuzzi percepisce dai cittadini
limbiatesi, come assai opportunamente ha ricordato Michelangelo Campisi (v. Ricciardi! Chi
era costui? ), uno stipendio di altissimo livello: 108.289,25 €,
oltre la "retribuzione di risultato" che non sappiamo a quanto ammonti
[v. qui].
Tuttavia, la signora in questione non dimostra propriamente l’allure
del funzionario di altissimo livello. E nemmeno sembra avere nel suo
bagaglio culturale qualche basilare elemento di… paremiologia.
Inoltre, dimostra
di non essere dotata di un seppur minimo senso del ridicolo,
altrimenti si asterrebbe dal diffondere, a proposito della vicenda che ha visto
il Comune soccombere nel giudizio che sono stato costretto a chiedere al TAR
Lombardia [v. qui],
le ricostruzioni non veritiere che sono già state messe in ridicolo dai giudici
amministrativi.
Il TAR ha condannato il Comune,
ma in realtà ha condannato il comportamento della signora in questione, che,
secondo il regolamento, è Responsabile del procedimento di accesso agli atti.
La signora, però, non vuole prendere atto che la controversia, nonostante la cessazione della materia del
contendere, si è conclusa con la secca
condanna del Comune alle spese legali. Certo, nella vicenda, la signora non
ha fatto una figura brillante, ma, giusto il proverbio, dovrebbe dolersene solo
con se stessa (e, forse, con i suoi collaboratori, ma presumibilmente costoro
hanno seguito le sue disposizioni) e, se volesse organizzare il suo ufficio in
modo da non incorrere più in altri… incidenti dello stesso tipo, farebbe bene a
fare con i suoi collaboratori un ripasso, non solo del Regolamento comunale per
l’accesso agli atti, ma anche del D.M. 28-11-2000,
Codice di comportamento dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni, prestando particolare attenzione all’articolo
2, commi 5 e 6, e all’articolo 11, commi 1 e 4. [1]
La signora in questione, invece insiste et signe, come si direbbe in Francia, nel raccontare le frottole che sono state integralmente
rigettate dal Tribunale Amministrativo Regionale, ma che lei ripete, con
qualche variante, su tutti i giornali locali. A dire il vero, con le sue dichiarazioni
la signora in questione più che altro mi fa ridere, e non sono certo il solo,
poiché in questi giorni non riesco più a fare una passeggiata senza che qualche
conoscente mi fermi per rivolgermi battute sul fatto che, per qualche
funzionario del comune nel quale abito da cinquantaquattro anni, risulto a un
dipresso “un clandestino”, o altre frasi similmente scherzose. Ma la signora in
questione ormai sta facendo una vera campagna denigratoria, con la quale tenta
di accreditare una serie di "particolari" che dimostrerebbero la correttezza del
comportamento del suo ufficio, e addirittura una particolare attenzione e
benevolenza nei miei riguardi!
La signora in questione pretende di sostenere che avrei fatto una richiesta senza
lasciare neanche un recapito, e che avrei chiesto un verbale “molto copioso”, e visto che lo scopo era quello di una
mia tutela legale, per evitarmi una spesa gravosa, vale a dire pagare una marca
da bollo e un’imposta di segreteria, mi avrebbero chiesto di precisare a quale
parte del verbale (che non avevo ancora visto!) fossi interessato. La signora dice il falso, perché nella mia istanza di accesso agli atti, come ha potuto verificare il TAR, avevo ben indicato
il mio recapito e precisato a quale (limitatissima) parte del verbale fossi
interessato. E se non avessi indicato né il mio recapito né precisato quale parte del verbale effettivamente mi interessava, sarebbe stato compito del suo ufficio (prescritto dal regolamento) scrivermi al mio indirizzo (registrato all'anagrafe!), sospendendo in questo modo il procedimento, per chiedermi le indicazioni che fossero state necessarie per evadere la pratica. Ciò non è stato fatto! E ora la signora in questione sui giornali omette di ricordare l'omissione di questo "particolare importante" ed ha la faccia di bronzo di accusarmi di non aver sufficientemente informato il TAR. Esilarante!
Per farsi un'idea di come si è svolta la vicenda prima della notifica del mio ricorso,
il TAR ha avuto a disposizione solo le precise indicazioni della mia istanza, che è un atto amministrativo; la
signora Leuzzi e la Responsabile
dell’Ufficio legale del Comune pretendevano, invece, di contrapporre solo alcune
annotazioni manuali sulla mia
istanza (che si possono apporre in
qualsiasi momento) e il contenuto di un paio di telefonate fatte non da loro, ma che avrebbero voluto provare con
la loro testimonianza! Le telefonate non
sono atti amministrativi. La ragione per cui nel mio ricorso io ho omesso
di raccontare il contenuto delle telefonate, è che il TAR giudica solo su atti amministrativi. Sembra che la
dottoressa Leuzzi e la responsabile dell’Ufficio legale del Comune, iscritta all’ordine degli avvocati, non
lo sapppiano. Tuttavia, dopo il deposito della memoria difensiva del Comune,
sono stato costretto a contrapporre la
mia versione sulle telefonate. Evidentemente, per i giudici amministrativi è risultata più credibile la mia versione.
La signora in questione, inoltre, tenta di dipingermi come un folle che, per non pagare poche decine di euro per la marca da bollo e l’imposta di segreteria, ha preferito sostenere le spese di una vertenza legale. La signora non può avere idea di quanto, con questa panzana, abbia fatto sghignazzare me e le molte persone che qui a Limbiate mi conoscono, perché, ripeto, ci vivo da cinquantaquattro anni, mentre lei è conosciuta da pochi cittadini che seguono i consigli comunali solo per l’orrenda boria e l’insolente postura con le quali si rivolge ai consiglieri. Ma, pur sghignazzando, non posso trascurare di ricordarle, ancora una volta, il piccolo particolare che il TAR ha riconosciuto che IO avevo ragione e il Comune invece aveva torto; e lo ha condannato a risarcirmi tutte le spese richiamando il principio della soccombenza virtuale! Questa è la ragione vera per la quale il Comune (scilicet: la signora Leuzzi) non vuole fare ricorso in appello per tentare di far cancellare la condanna a risarcirmi le spese: perché sa bene che una sentenza come quella che mi ha riconosciuto il risarcimento delle spese, il Consiglio di Stato non la riformerebbe mai! Altro che preocupazione di non spendere del denaro pubblico! Questa preoccupazione la signora Leuzzi non l’ha avuta prima, quando, potendo contare sul denaro pubblico che lei, nei fatti, ha il privilegio di poter usare contro i cittadini, non si è preoccupata di evitare di causare al Comune un danno erariale con la sua inadempienza, ed ha portato la sua boria burocratica fino alla stolidezza!
La signora in questione, inoltre, tenta di dipingermi come un folle che, per non pagare poche decine di euro per la marca da bollo e l’imposta di segreteria, ha preferito sostenere le spese di una vertenza legale. La signora non può avere idea di quanto, con questa panzana, abbia fatto sghignazzare me e le molte persone che qui a Limbiate mi conoscono, perché, ripeto, ci vivo da cinquantaquattro anni, mentre lei è conosciuta da pochi cittadini che seguono i consigli comunali solo per l’orrenda boria e l’insolente postura con le quali si rivolge ai consiglieri. Ma, pur sghignazzando, non posso trascurare di ricordarle, ancora una volta, il piccolo particolare che il TAR ha riconosciuto che IO avevo ragione e il Comune invece aveva torto; e lo ha condannato a risarcirmi tutte le spese richiamando il principio della soccombenza virtuale! Questa è la ragione vera per la quale il Comune (scilicet: la signora Leuzzi) non vuole fare ricorso in appello per tentare di far cancellare la condanna a risarcirmi le spese: perché sa bene che una sentenza come quella che mi ha riconosciuto il risarcimento delle spese, il Consiglio di Stato non la riformerebbe mai! Altro che preocupazione di non spendere del denaro pubblico! Questa preoccupazione la signora Leuzzi non l’ha avuta prima, quando, potendo contare sul denaro pubblico che lei, nei fatti, ha il privilegio di poter usare contro i cittadini, non si è preoccupata di evitare di causare al Comune un danno erariale con la sua inadempienza, ed ha portato la sua boria burocratica fino alla stolidezza!
Infine, il tentativo di risoluzione
extragiudiziale della questione, millantato come “bonario” dalla signora, è
stato questo: solo dopo aver ricevuto la notifica del ricorso tramite l’ufficiale giudiziario, lei mi
ha fatto comunicare per iscritto (ma solo come inciso di una risposta ad un’altra
diversa istanza) che l’istanza per
ottenere il verbale era già stata archiviata; poi ha proposto di
consegnarmi il documento, ma alla condizione che io non depositassi al TAR il mio ricorso, per
il quale ovviamente avevo già dovuto pagare
uno studio legale, senza riconoscermi, naturalmente, alcun indennizzo; e,
dopo il mio rifiuto, ancora pretendeva di convocarmi insieme al mio avvocato (che ovviamente avrei dovuto compensare ulteriormente per la trasferta
da Milano!) ad una riunione in
Municipio, dove lei avrebbe tentato, suppongo, di convincermi con la forza del pensiero che io avevo torto marcio! Come ho fatto io, chiunque altro
avrebbe rifiutato.
Per il momento, sul modo in cui
la signora Leuzzi fa la segretaria del nostro Comune, compito
per il quale noi le paghiamo uno stipendio annuo di più di 108.289,25
€, non aggiungo altro, ma ve ne sarebbe. Mi riferisco
alla vicenda della sentenza del TAR sulla nomina di Giuseppe Bova a consigliere
comunale, sulla quale tornerò da qui a qualche giorno. È ormai imminente, infatti,
la pronuncia del Consiglio di Stato sul ricorso che comunque sono riuscito a
presentare, in barba alla signora in questione, che deve essere affetta da un’accentuata
sindrome masochistica, visto che, come
segretaria comunale, anche in questa vicenda ha voluto (o dovuto?) fare una figura non proprio brillante.
Art. 2. Princìpi.
5. Il comportamento del
dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione
tra i cittadini e l'amministrazione. Nei rapporti con i cittadini, egli
dimostra la massima disponibilità e non ne ostacola l'esercizio dei diritti.
Favorisce l'accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e, nei
limiti in cui ciò non sia vietato, fornisce tutte le notizie e informazioni
necessarie per valutare le decisioni dell'amministrazione e i comportamenti dei
dipendenti.
6. Il dipendente limita gli adempimenti a carico dei cittadini e
delle imprese a quelli indispensabili e applica ogni possibile misura di
semplificazione dell'attività amministrativa, agevolando, comunque, lo
svolgimento, da parte dei cittadini, delle attività loro consentite, o comunque
non contrarie alle norme giuridiche in vigore.
Art 11. Rapporti con il pubblico.
1. Il dipendente in
diretto rapporto con il pubblico presta adeguata attenzione alle domande di
ciascuno e fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al
comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio. (…)
4. Nella redazione dei
testi scritti e in tutte le altre comunicazioni il dipendente adotta un
linguaggio chiaro e comprensibile.
lunedì 16 aprile 2012
Asinerie e falsità di De Luca contro scolari e famiglie “fuorilegge”
L’improbabile
e desolante sindaco di Limbiate, De Luca, ha “giustificato” con gli “argomenti”
riportati nelle frasi stampate su un giornale locale fra virgolette e nelle
altre a lui attribuite dall’articolista, la recente delibera della sua giunta
con la quale la tariffa del trasporto scolastico, già salatissima, è stata
raddoppiata: da 159 a
318 €!
1) “Abbiamo fatto un atto di legalità: la
legge dice che le famiglie devono coprire il 36% del servizio… "
È
FALSO!
Oppure,
De Luca non sa di cosa parla: non c’è alcuna legge che dice che il servizio
di trasporto scolastico deve essere pagato dalle famiglie limbiatesi nella
misura del 36%. Questo obbligo c’è solo per
“gli
enti locali strutturalmente deficitari (che) sono soggetti ai controlli
centrali in materia di copertura del costo di alcuni servizi. Tali controlli
verificano mediante un'apposita certificazione che … il costo complessivo della
gestione dei servizi a domanda individuale, riferito ai dati della
competenza, sia stato coperto con i relativi proventi tariffari e contributi
finalizzati in misura non inferiore al 36 per cento; a tale fine i costi di
gestione degli asili nido sono calcolati al 50 per cento del loro ammontare” ( comma 2 dell’articolo 243 del D.lgs 18
agosto 2000, n. 267 - Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti
Locali).
Fino
ad oggi non risulta che il Comune di Limbiate sia stato dichiarato ente strutturalmente deficitario
con
decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città
e autonomie locali, da emanare entro settembre e da pubblicare nella Gazzetta
Ufficiale (comma 2
dell’art. 242 del T.U.O.E.L.),
con il
quale
sono
fissati per il triennio successivo i parametri obiettivi, determinati con
riferimento a un calcolo di normalità dei dati dei rendiconti dell'ultimo
triennio disponibile..." (ibidem).
Inoltre,
il trasporto scolastico non è un servizio a domanda
individuale, infatti non è compreso nell’elenco del D.M. 31/12/1983,
Individuazioni delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda
individuale, e la voce di spesa non si trova nel Certificato consuntivo 2010 [è il Bilancio
consuntivo; n.d.r.], Quadro 14 - Servizi a domanda individuale, fornito
dal Comune al Ministero dell'Interno! [v. qui]
2) “… invece finora la copertura è stata del 15% e il resto lo metteva il Comune.”
- “Pur
avendo raddoppiato il costo non siamo ancora alla copertura prevista dalla
legge perché arriviamo giusto a una copertura del 31%
come cifra a carico delle famiglie”
È
FALSO!
Il Conto
consuntivo 2010 (p. 102), per il trasporto scolastico dà queste cifre:
-
entrata: 53.697,60;
-
spesa: 274.999,97;
-
copertura (a carico degli utenti): 19,53%
La
tariffa media pro-capite è stata, quindi, di 153,421 €. Il raddoppio di questa
tariffa media eleverà la parte della spesa complessiva coperta dalle famiglie a
107.394,7 € (153,421 x 2 = 306,842 x 350 utenti).
La
percentuale a carico degli utenti salirà a 39,05!
3) “Buona parte dei ragazzi che prendono il
pullman sono distanti non più di 400-500 metri da scuola, mentre altri vanno nei
plessi fuori dai quartieri dove abitano: il nostro obiettivo invece è far sì
che gli alunni frequentino le scuole vicino a casa.”
È
FALSO!
-
Tutte le scuole materne e tutte le scuole elementari di Limbiate hanno bacini d'utenza che
si estendono ben oltre i 500
metri, anche fino a 750-800 m; da Via Cartesio al
Quartiere Metropolitano la distanza è addirittura di 1000-1200 m!
-
Solo la Scuola Media
Gramsci ha un
bacino di utenza che non supera i 1000 m.
-
La Scuola
media Verga, invece,
ha un bacino che arriva fino a 1650 m (S. Francesco) e addirittura fino
a 2000 m
(Mombello).
-
La Scuola Media
di Via L. da Vinci ha anch’essa un bacino che si estende fino
ad almeno 1650 m
(Pinzano, Quartiere Metropolitano).
Sono
distanze massime ben superiori a quelle ammesse dalla legge!
Infatti,
il Decreto Ministeriale (del Ministero dei Lavori Pubblici di concerto con
quello della Pubblica istruzione) 18/12/75 (G.U. n. 29 del 2/2/76), ancora
in vigore anche se è stato abolito ma con
riserva dall'art. 12 comma 5 della Legge nr. 23/96 (poiché il
Ministero della PI non ha ancora emanato le norme quadro, né le Regioni
hanno approvato le relative specifiche norme tecniche esecutive; art. 5
commi 1 e 2 Legge 11/01/96 n. 23), indica nella Tabella 1 le distanze massime:
-
scuole materne: 300 m;
- scuole
elementari: 500 m;
-
scuole medie inferiori: 1000 m;
e i tempi
di percorrenza con mezzi di trasporto:
-
scuole materne: non previsto;
-
scuole elementari: 15';
-
scuole medie inferiori: 15'-30'.
Lo
stesso decreto, tuttavia, al punto 1.1.3 ammette la possibilità di deroga,
"purché l'ente obbligato (il
Comune o la Provincia)
istituzionalizzi e gestisca un servizio di trasporto gratuito per gli alunni della scuola materna e della scuola dell'obbligo".
Dunque,
poiché tutti i plessi scolastici di Limbiate sono fuori dalla norma, il
Comune ha l’obbligo di istituire un servizio di trasporto gratuito per gli alunni della scuola materna e della scuola dell'obbligo.
4) Nel suo intervento [De Luca, come riporta il
giornale] ha spiegato il motivo del raddoppio del servizio scuolabus,
considerato non essenziale, soprattutto in un periodo di gravi ristrettezze
economiche come quello che sta vivendo in questo momento il comune.
È
UN’ASINERIA.
Di
fronte a simili frasi, cosa si può dire? Che traspare una mentalità retrograda,
da governante ultra-liberale d’antan, o da neo-liberista odierno? De
Luca non sa nemmeno cosa significhino questi termini! Egli è così... per cause
naturali. Non si può pretendere che abbia uno spirito egalitario uno che, come
tutti gli arricchiti, ostenta cafonescamente la sua ricchezza (“Sono uno dei
91 limbiatesi con reddito sopra i 100.000 euro”; v. “Prendere
atto della nostra sostanziale incapacità a governare questa città”, secondo
paragrafo). Egli non ha la più pallida idea del concetto di “bisogni sociali”.
Rassegnamoci a constatare che la comprensione che proprio in un periodo di
gravi ristrettezze economiche il Comune dovrebbe (e potrebbe, poiché
dispone di mezzi infinitamente superiori a quelli di tutte le famiglie di
Limbiate) difendere alcune fondamentali conquiste sociali, è un’esperienza
intellettuale, morale e politica che non è alla sua portata. Egli è costituzionalmente inadatto a capire che il trasporto scolastico pubblico e gratuito è parte
integrante del diritto allo studio.
5) “Ma c’è dell’altro: noi ogni
anno spendiamo 340 mila euro per un servizio che utilizzano circa 350 bambini,
se contiamo che per tutte le scuole noi diamo 35 mila euro all’anno, cioè 10
euro a bambino, ci siamo resi conto che il rapporto è sproporzionato”.
- Quindi
l’Amministrazione vorrebbe invece spendere più soldi nella manutenzione degli
edifici scolastici del territorio.
ALTRO
FALSO. ALTRE ASINERIE.
Innanzitutto,
come abbiamo visto, è falso che il Comune spenda 340 mila € per il
trasporto scolastico: le cifre del Conto consuntivo del 2010 attestano che il
Comune ha speso effettivamente 221.302,37 € (spesa 274.999,97 € – entrata 53.697,60
€).
Ma,
soprattutto, di quale rapporto e di quale proporzione sta
parlando? Non risulta che il Comune abbia deliberato di aumentare la miseria
oltraggiosa che attualmente "dà" alle scuole in misura pari alla
cifra che risparmierebbe raddoppiando la tariffa del trasporto scolastico. E se
anche lo avesse deliberato, in base a quale giustizia distributiva l’aumento
dei finanziamenti da assegnare alle scuole dovrebbe essere posto a carico di
solo un decimo degli alunni, per di più il decimo che non ha genitori con
tempo libero e automobile a disposizione?
6) Il sindaco ha quindi auspicato delle
alternative più economiche per il servizio scuolabus, suggerendo ai ragazzi
di iniziare ad andare di più a scuola a piedi.
7) “Servono quindi soluzioni per far risparmiare
tutti, Comune e famiglie”.
8) “Se ci sono dei costi superiori
è perché non si poteva fare altrimenti: finora la politica non ha voluto
toccare nulla ma io non sono sempre in campagna elettorale e ho fatto
ciò che era necessario”.
QUESTO È IL FINALE PIROTECNICO DELLE FALSITÀ E DELLE ASINERIE
Per la frase “ma io non sono sempre in campagna elettorale”, v. «Iö sò io, e vvoi nun zete un cazzo».
Per il resto: innanzi tutto è evidente che De Luca facendo il sindaco fantoccio si è talmente esaltato che ormai vuole emulare quella regina di Francia [Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena] alla quale si attribuisce la frase: «Se [i contadini] non hanno pane, che mangino brioches!».
Ma,
soprattutto, sono qui squadernate le capacità di governo della giunta di De
Luca: egli (che è consorte di una maestra), l’assessora alle Risorse
economiche e vice sindachessa Ripamonti (che è Direttrice dei Servizi
Generali e Amministrativi in un Circolo didattico!), l’assessore alla Scuola e alle
strutture ed infrastrutture scolastiche Cosentino (che di professione fa il
commercialista!), l'assessora alle Politiche per la comunità Franca
Basso, e soprattutto il creativo, sapiente vero (non pseudo,
neh!), grande cultore della comunità, ponzatore di nuovi modelli di sviluppo,
assessore alla Promozione dello sviluppo economico e ai pizzini
Pellegata, tutta questa bella compagnia di giro, per raccattare (forse)
non più di 55.000 €, non riesce ad immaginare nient’altro che il
raddoppio delle tariffe; tanto, il trasporto scolastico sarebbe un servizio
inessenziale! (Ovviamente, con questa definizione viene mascherata l’intenzione
di eliminare fra non molto il servizio).
INVECE,
basterebbe
un modestissimo aumento dell’aliquota dell’addizionale comunale
sull’IRPEF per recuperare una cifra pari al costo attuale del servizio.
Infatti,
nel Conto consuntivo 2010, come entrata dall’addizionale IRPEF, è stata
indicata la cifra di 2.533.000 €, ottenuta applicando l’aliquota
unica dello 0,6%, e quindi il totale dei redditi imponibili era 422.166.666
€. Se proviamo a calcolare una maggiorazione
dello 0,066% l'entrata aumenterebbe
di 278.629,99 €, cifra leggermente
superiore alla spesa del 2010 per il trasporto scolastico.
Inoltre, se lo Spirito Santo si decidesse ad insufflare un po' di
coraggio cristiano negli animi di quelli della compagnia di giro di cui sopra,
si potrebbe anche decidere di esentare dalla maggiorazione tutti i redditi
inferiori a 15.000 € e, con adeguata progressività delle aliquote, caricare
la maggior parte del peso di questa “manovra” soprattutto sui ricchi come De Luca.
Infatti, se prendiamo in considerazione i redditi imponibili del 2009
(purtroppo i dati per gli anni successivi non sono disponibili), quelli
superiori a 15.000 € ammontavano a 362.338.348 €; applicando esclusivamente su questa parte
una maggiorazione dello 0,076% otterremmo la cifra
di 275.377,14 €.
In
entrambi i casi si libererebbero 221.302,37 € che si potrebbero vincolare come fondo da spendere per
le scuole. Naturalmente, solo con questa condizione (da porre insieme ad
un’altra: che si ripubblicizzasse integralmente il servizio del trasporto degli
alunni) questa imposizione fiscale
sarebbe giustificabile ed accettabile.
In questo modo De Luca riuscirebbe a trasformare in un'affermazione seria
la scemenza iniziale del suo discorsetto, perché questo sì che sarebbe un
atto di legalità: con una modestissima imposizione fiscale
progressiva si distribuirebbe in un modo più giusto fra i contribuenti il
costo di un servizio pubblico essenziale come il trasporto scolastico, e
sarebbe anche un modo per attuare, nella gestione del traporto scolastico,
l’art. 3 della Costituzione che, stabilito che tutti i cittadini sono eguali
“davanti alla legge”, aggiunge:
“È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Si
attuerebbe, inoltre, l’articolo 112, comma 1, del Testo Unico sull’Ordinamento
degli Enti Locali (D.lgs 267/2000):
“Gli
enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, provvedono alla
gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed
attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico
e civile delle comunità locali.”
Questi testi
certamente non denotano la “creatività” cara all’assessore ai pizzini.
L’articolo 3 della Costituzione addirittura è una roba vecchia di quasi
sessantacinque anni. Però, anche se sono largamente inattuati, per chi sfanga
la vita questi testi hanno un sapore più genuino del suo brodo di retorica
“sviluppista”.
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