venerdì 27 aprile 2012

Partigianato e democrazia. L'amministrazione delle «repubbliche»


 Dante Livio Bianco (1909-1953)




Guerra partigiana vuol dire guerra popolare, vuol dire espressione e messa in movimento di nuove energie democratiche, vuol dire politica dei C.L.N.
L'epoca delle «repubbliche» segna precisamente l'apogeo, all'aria aperta, oltreché dell'organizzazione militare partigiana, anche delle nuove istituzioni democratiche. Escono alla luce del sole i C.L.N. che si erano già in precedenza costituiti nella clandestinità — il più delle volte per iniziativa e suggestione diretta dei comandi partigiani, o sotto lo stimolo indiretto rappresentato dalla presenza delle formazioni — e se ne costituiscono di nuovi. Là dove la cosa è possibile, si procede a libere elezioni democratiche, che debbono o designare i membri dei C.L.N. di nuova costituzione, oppure decidere se convalidare o meno i membri di quelli già esistenti.
Da qualche parte, si fanno sentire anche scrupoli di natura costituzionale: chi deve votare? Tutti i cittadini indiscriminatamente? E chi stabilisce come dev'essere costituito il corpo elettorale? La questione si presentò particolarmente in Valle Stura, a Demonte: e venne risolta colla convocazione d'un'assemblea costituente, composta d'una quarantina di persone, tutte di provata fede antifascista e di specchiata moralità, e rappresentanti non solo il capoluogo, ma anche le varie frazioni e borgate del comune. E solo dopo che la minuscola costituente ebbe deliberato sulla questione preliminare, si procedette all'elezione del C.L.N., conformemente a quanto deliberato.
Generalmente, ogni comune ha il suo C.L.N., o si prepara ad averlo: ed il C.L.N. funziona come giunta comunale di governo. Solo là dove particolari circostanze sconsigliano l'immediato ricorso al sistema delle elezioni democratiche, viene nominato un commissario straordinario (cosi, per restare in Valle Stura, a Vinadio).
Nelle valli Maira e Varaita, poi, prende vita un nuovo istituto, assai interessante, non previsto nel comune ordinamento dei C.L.N. : è il C.L.N. «di valle». In relazione agli sviluppi della guerra partigiana, ma anche per altre ragioni, la valle costituisce, oltreché una circoscrizione militare, anche un'entità economica, sociale e politica con peculiarità ed esigenze sue proprie: il C.L.N. di valle esprime e cura appunto queste particolarità ed esigenze supercomunali, e si pone come organo di controllo, di coordinamento e di direzione dei C.L.N. comunali.
Le incombenze dei C.L.N. sono molteplici: esse si compendiano essenzialmente, lasciando da parte il campo strettamente politico, nell'esercizio dell'amministrazione civile.
È anzitutto la delicata materia dell'annona che viene accuratamente disciplinata, in modo da soddisfare nel miglior modo le esigenze della popolazione. Si provvede così alla gestione degli ammassi (per esempio del burro, del latte, dei formaggi, ecc.), alla fissazione e disciplina dei prezzi, al controllo delle esportazioni, con l'istituzione, talvolta, di dazi d'esportazione, da corrispondersi in danaro o in natura, con una quota della merce in uscita.
D'altro canto, è d'intesa coi C.L.N. che i comandi partigiani prendono iniziative o comunque si prestano a favore della popolazione. Così, un po' dappertutto, è attraverso l'organizzazione partigiana che avviene il rifornimento del grano e della farina destinato al consumo civile. È il comando partigiano che, in Valle Maira, impianta un servizio regolare di camion che, in sostituzione delle autocorriere da tempo requisite dai tedeschi, assicura alla popolazione la possibilità di comunicazioni.
Analogamente è il comando partigiano che in Valle Stura, dopo di averne militarizzato il personale, assume la gestione del trenino a vapore che — per ragioni di sicurezza, e non esclusa forse una nota ad pompam — viaggia come « treno armato », con un cannoncino da 47/32 e una mitragliatrice antiaerea piazzata sui carri. E non manca nemmeno, in qualche luogo, a cura delle autorità civili sempre d'intesa con quelle militari, una sia pur improvvisata organizzazione per la protezione anti-aerea : come a Demonte dove — dopo alcune avvisaglie poi purtroppo confermate dalle incursioni degli Stuka che bombardarono Vinadio — si istituì un regolare servizio, con posti d'avvistamento, altoparlanti per le segnalazioni, sacchetti di sabbia, squadre di spegnitori, e via dicendo.
Viceversa, sempre sul piano di quella stretta collaborazione fra i partigiani e la popolazione,  talvolta son le autorità militari che chiedono prestazioni straordinarie ai civili: come avvenne in Valle Gesso, dove fu indetta una specie di mobilitazione civile, di servizio del lavoro, per la posa dei reticolati ed altre opere interessanti la difesa della zona.
In queste nuove condizioni, si regola meglio anche la materia delle requisizioni, per far fronte alle esigenze, specie alimentari, delle formazioni, senza disconoscere i bisogni e le legittime aspettative della popolazione.
Come vivono le formazioni partigiane del Cuneese? I mezzi di sussistenza (per tacer di altre fonti minori od occasionali) sono essenzialmente tre:
1) i «colpi»;
2) il finanziamento da parte del C.L.N. del Piemonte;
3) le requisizioni.
Sui « colpi » v'è poco da dire: sono i noti colpi di mano sui magazzini e sui depositi nazifascisti, l’impossessamento di bestiame, di viveri, di materiali in giacenza o in viaggio per tedeschi o repubblichini.
Quanto poi al finanziamento del C.L.N. del Piemonte, si tratta di sovvenzioni assai cospicue, di decine e decine di milioni: purtroppo però insufficienti a coprire l'intera massa delle spese. Un esercito partigiano costa caro (sempre meno caro, però, che un esercito regolare!): e le somme che arrivano da Torino non bastano. Si noti che — almeno nelle formazioni del Cuneese — né gli ufficiali ricevevan stipendio, né i partigiani percepivano il soldo: il servizio partigiano era volontario e, per forza, gratuito, e solo saltuariamente — ma raramente, per la verità — veniva corrisposto, in via eccezionale, qualche modesto «premio» in danaro (nei casi più meritevoli di considerazione, si accordavano viceversa, con una certa regolarità, sussidi per le famiglie). Eppure, ripetiamo, nonostante la soppressione d'un capitolo di spese così importante come quello degli « assegni », nonostante lo spirito di sacrificio e la sobrietà talvolta spartana dei partigiani, i milioni che giungono da Torino non bastano: ed ecco perché parte delle requisizioni devono essere fatte senza pagamento.
Chi scriverà un giorno la storia del partigianato, dovrà soffermarsi a lungo su questa materia delle requisizioni: poiché esse — a parte il lato puramente statistico ed economico della questione — sono una nuova, diretta testimonianza del carattere popolare della guerra di liberazione, e confermano la profonda solidarietà fra partigiani e popolazione, e i grandi sacrifici di questa — specie nei suoi strati meno abbienti — e l'alto contributo da essa dato alla lotta.
Intanto però, nelle «repubbliche», coll'intervento dei C.L.N., si rende possibile un miglior controllo e una maggior perequazione, una più giusta distribuzione del carico delle requisizioni, che vengono meglio disciplinate anche dal lato formale, con un sistema di garanzie dirette a prevenire abusi ed ingiustizie.



[Dante Livio Bianco, Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese, in Guerra partigiana. Raccolta di scritti  a cura di Giorgio Agosti e Franco Venturi, Einaudi, Torino 1954, pp. 98-101]


[«Come vuole che faccia a non essere pessimista, a non essere deluso?»]





Senatore Parri[1], posso chiederle qual è la cosa che nella vita l'ha più delusa?
Un lungo silenzio, Parri si solleva gli occhiali sulla fronte nel gesto che gli è consueto, i capelli bianchi gli spiovono sugli occhi, incurvato sul tavolo sembra ancora più fragile e minuto. Poi risponde, a voce bassissima.
«Mah, il popolo italiano, ecco.» Le parole si smorzano nella stanzetta all'ultimo piano di Palazzo Giustiniani, l’estate romana fa da cornice morbida e sfatta al pastone di voci che sale su da via della Dogana vecchia: dalla terrazza si vedono Palazzo Madama, San Luigi dei Francesi, la chiesa barocca del Borromini. «È la cosa che mi pesa di più. Man mano che mi sono fatto una conoscenza più profonda del popolo italiano, ho toccato i suoi aspetti di scarsa educazione civile e politica. Mi riferisco alla parte prevalente del paese, non a tutto il Paese. Questo rafforzarsi costante del mio pessimismo, questa constatazione progressiva della non rispondenza della maggior parte del popolo è una delusione forte per uno che ha sempre ritenuto e ritiene di dover fare qualcosa per la vita pubblica.»
Ferruccio Parri, ottantadue anni, senatore a vita nel gruppo degli indipendenti di sinistra, un'esistenza spesa per gli ideali della giustizia e della libertà. Combattente nella grande guerra - tre medaglie d'argento -, redattore del «Corriere della Sera» dal '22 al '25, dimissionario dal giornale con Luigi Albertini, organizzatore con Carlo Rosselli, nel 1926, dell'espatrio clandestino di Filippo Turati, processato, incarcerato, confinato dai fascisti, tra i fondatori del Partito d'Azione, leader della Resistenza armata, vicecomandante («Maurizio») del Corpo Volontari della Libertà, presidente del Consiglio dal 21 giugno al 9 dicembre 1945, Parri è stato ed è, dalla Liberazione a oggi, un preciso punto di riferimento della lotta democratica e antifascista, la coscienza critica del modo di far politica nato dalla Resistenza.
Non è stato il 1945 il momento della sua delusione più amara, quando fu defenestrato dal governo? Lei era allora l'uomo del Nord, rappresentava il CLN, la violenta rottura con lo stato fascista.
«È stata una delusione personale, quella, forse un segno di mie qualità non buone. Non avrei voluto essere defenestrato in modo così brusco perché covavo due ambizioni, evidentemente infondate. Volevo essere io, non tanto come persona ma perché dietro di me c'era la Resistenza, ad aprire la Costituente e a trattare con gli alleati. De Gasperi si è comportato con dignità, ma che cosa sapeva della lotta di liberazione? Aveva visto crepare la gente attorno a lui, sapeva che cosa era costata, sapeva come aveva inciso, sapeva di che cosa poteva vantarsi buona parte d'Italia, allora?»
 Era un'altra Italia.
 «Sì, era proprio un'altra Italia. De Gasperi non lo sapeva e non l'ha detto agli alleati; non poteva dirlo, d'altronde. Questa è stata una delusione forte per me.»
 E poi?
 «E poi tante cose. Ma soprattutto una che spiega il mio pessimismo. L'accusa che io faccio ai democristiani di allora: "Voi DC, per governare il Paese, vi siete serviti della classe dirigente fascista, con una scrematura epurazionale insufficiente, che non è penetrata in profondità, ha tolto solo di mezzo qualcuno dei più violenti. Voi avete dato espressione politica e partitica a questa gente. Li avete legittimati e naturalmente ne avete sentito il peso, un peso conservatore e anche reazionario, con una mentalità sagomata da vent'anni di fascismo, pericolosa soprattutto fra i professori universitari, i magistrati, i burocrati".»

[…]

«La Resistenza è stata largamente popolare, dove noi abbiamo operato. Ce ne siamo accorti dopo, che nel Paese era stata un fatto minoritario. Ha inciso, ha lasciato forti tracce, ma quelli che ci seguivano, i compagni, si possono chiamare il vero popolo italiano? Questo avvenimento, che è stato certo il più epico della storia italiana, da chi è stato capito, chi ne è stato informato come doveva? L'italiano medio è rimasto in tale lontananza di spirito! L'Italia ufficiale, con le sue fanfare, si è accorta della Resistenza dopo il 1960.»

[…]

 Senatore Parri, lei ne ha viste tante, è stato un protagonista di mezzo secolo di storia. Qual è il brandello della sua vita che la rappresenta di più?
 «Nessuno e tutto. La mia attività politica inizia nel 1910-1912. Poi la grande guerra, io sono stato interventista di tipo salveminiano. Sapesse qual è stata la prova dei miei coetanei, allora. Il 1915, la tremenda guerra. Ho visto il sacrificio di una generazione, un sacrificio che è stato anche sincero. Sono stati importantissimi per me, quegli anni. Il filone della mia vita è attaccato là, là si dipartono le prove del '22, le esperienze del '25-26, la fuga di Turati, principale merito di Carlo Rosselli, un trascinatore formidabile, non ho conosciuto nessuno come lui. Poi le lotte antifasciste del 1930, Giustizia e libertà, il processo al tribunale speciale. Ma ogni fatto ha le sue radici là, nella grande guerra, anche se i momenti culminanti della vita sono stati forse il '25-26 e di nuovo il '42-'43, con la fondazione del Partito d'azione e la necessità di cominciare a organizzare la Resistenza armata che vedevo ineluttabile. Un altro tempo fu nel '45. Ma è lo stesso filo che non si è mai rotto, lo stesso filo che ha sempre contato per me fin dal 1915.

[…]

Caro Parri, c'è una bella e commovente fotografia dell’aprile 1945, lei in testa ai partigiani, a Milano, a San Babila, accanto a Longo e a Cadorna. Adesso a San Babila ci sono le squadre fasciste, i muri della piazza sono pieni di svastiche, di scritte provocatorie.
«Delusioni gravi, amarezze grosse, che cosa vuole che le dica? Siamo arrivati al punto che dopo la guerra e il sangue della Resistenza abbiamo Almirante e non solo Almirante, Rauti, Ciccio Franco. Io ho un altro processo, adesso, per diffamazione, ancora una volta, contro i fascisti. In un'interpellanza parlamentare mi si accusa anche di aver tradito la Resistenza, di aver accettato, quando fui preso dai tedeschi nel gennaio 1945 e dovevo essere fucilato, la libertà per intervento di Allen Dulles e dei servizi alleati in Svizzera.»
Lei è stato una delle prime vittime del linciaggio qualunquista e neofascista dopo la Liberazione.
«Sì, ho dovuto querelare Guglielmo Giannini, testimoniare al processo Graziani, sapesse quante minacce di morte mi costò. Ne ricevo anche adesso, continuamente. I fascisti ce l’hanno con me in una maniera accanita e inesplicabile. Ho avuto tanti processi gravi, difficili, penosi, faticosi. Sapesse cosa vuol dire sentirsi dare del traditore da questi nazisti, da questi traditori, una cosa desolante, come vuole che faccia a non essere pessimista, a non essere deluso?»

(«II Giorno», 1 luglio 1972)



[Corrado Stajano, Maestri e infedeli. Ritratti del Novecento, Garzanti, Milano 2008, pp. 63-68]

 



[1] Uomo politico e giornalista (1890-1981). Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia fu presidente del Consiglio dal giugno al dicembre del 1945. L'intervista, di Corrado Stajano, faceva parte della serie del «Giorno» dal  titolo «I grandi delusi».




 

giovedì 26 aprile 2012

«…impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, con la dolente immagine dei giovani morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati…»









[…]

Lo studio di Nuto [Revelli]. Ne ho visti tanti di studi di scrittori. Consimili. Ma quel suo studio di Cuneo dove ho passato ore in momenti diversi della vita mi è rimasto nella mente non tanto per le carte accumulate, per le cassette ordinate, i ruolini della sua banda partigiana, le tracce e gli strumenti di un'esistenza di lavoro. Per due immagini appese alla parete sopra il divano, piuttosto. Due fotografie.

La prima - una scena risorgimentale - rappresenta tre partigiani della III Divisione Langhe Giustizia e Libertà condotti a morte dai fascisti. È il 9 marzo 1945. Armando Meniciati e i fratelli Cirelli camminano con alta dignità, per una strada in salita lungo la facciata di una casa. Le mani incatenate dietro la schiena. La testa levata, uno dei tre guarda curioso il fotografo. Un fascista con l'elmetto e il mitra imbracciato sembra più agitato di loro. Armando Meniciati ha quasi ventun anni, è nato a Padova, è un operaio. Giuliano Cirelli compirà ventun anni tra un mese, è nato a Copparo, in provincia di Ferrara, è un operaio. Suo fratello Waldem, barbiere, ha quattro anni più di lui. Vanno alla fucilazione. A Dogliani, località Pianceretto.

La seconda è una fotografia di Ferruccio Parri, col cappello in testa, gli occhiali sulla fronte. Quel che di lui ha scritto, nell'Orologio, Carlo Levi lega tutto, la storia di Nuto, la sua odissea, la sua memoria, quella dei compagni inquieti e ribelli della sua vita: «Aveva il viso sofferente, come se un dolore continuo, il dolore degli altri che non può aver fine, gli volgesse in basso gli angoli della bocca, gli spegnesse lo sguardo, e gli avesse, fin da fanciullo, imbiancato i lunghi capelli. Lo guardavo diritto [...] e mi pareva che egli fosse impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, con la dolente immagine dei giovani morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati, con le lacrime e i freddi sudori dei feriti, dei rantolanti, degli angosciati, dei malati, degli orfani, nelle città e sulle montagne». [1]


[Corrado Stajano, Il nuovo parabellum, in AA.VV., Nuto Revelli, percorsi di memoria, fascicolo speciale per gli ottant’anni di Nuto Revelli de «Il presente e la storia», rivista dell’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia, giugno 1999, pp. 212-213]

La fotografia è ripresa da Dante Livio Bianco, Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese, in Guerra partigiana. Raccolta di scritti a cura di Giorgio Agosti e Franco Venturi, Einaudi, Torino 1954.


 
[1] Il passo è tratto dal VII capitolo.  V. la succinta scheda de L'Orologio sul sito web della casa editrice Einaudi: "Pubblicato nel 1950, L'Orologio è uno dei migliori esempi di narrativa politica del dopoguerra, un'appassionata testimonianza sullo sfaldamento delle forze politiche antifasciste. Un orologio che si rompe dà l'avvio alla storia di tre giorni e tre notti nel dicembre del '45, che cambia il destino dell'Italia. La fine del governo resistenziale di Ferruccio Parri, l'inizio della crisi dei partiti liberale e azionista, l'avvento al potere di Alcide De Gasperi e della Democrazia cristiana, e soprattutto Roma e l'Italia di allora: un complesso intreccio di avvenimenti politici e di condizioni umane raccontano con una tensione e un pathos che coinvolgono il lettore e rivelano la temperatura di una stagione traboccante di vitalità e nello stesso tempo vulnerabile di fronte a tutte le illusioni".

Nel saggio-narrazione di Leonardo Sacco, L’Orologio della Repubblica. Carlo Levi e il caso Italia (seconda edizione riveduta, Basilicata editrice, Matera 1999) vi è un quadro dettagliato del contesto storico, politico e culturale del romanzo di Carlo Levi, con molte indicazioni per decifrare gli pseudonimi dei personaggi e precise ricostruzioni delle vicende che nel volgere di pochi mesi portarono all’annullamento della spinta per una radicale trasformazione dello Stato, della società e del modo di fare politica, che aveva animato la Resistenza nel Nord d’Italia.

mercoledì 25 aprile 2012

[Fu una guerra morale, un corso accelerato di vita civile quanto più, tutt'intorno, tutto sembrava furia, bestialità, cecità, delitto]


Franco Fortini (1917-1994)



Il grande valore di quel che è accaduto venti anni fa non è soltanto nel riacquisto delle libertà costituzionali e parlamentari, quelle libertà che mi consentono di parlarvi e che consentono, anche a chi la pensa diversamente da me, di esprimersi nei luoghi e nei tempi che la legge prevede: e nemmeno nel riscatto delle colpe che gli italiani accettarono o subirono di addossarsi nel ventennio precedente. Forse ad un giudizio storico più rigoroso comincia ad esser chiaro che il fascismo non è stato altro che la forma politica che in un paese economicamente e civilmente debole le classi dirigenti si sono scelte per poter avviare il passaggio da una fase di economia prevalentemente agricola ad una di economia prevalentemente industriale; e allora la stessa Resistenza risulterà essere un episodio del medesimo fenomeno, ossia l’operazione politico-militare che ha contribuito a spazzare via i resti di una classe politica inetta ed ha consentito lo sviluppo delle forme moderne di produzione capitalistica anche nella nostra penisola. Credo però che la grande eredità della Resistenza consista proprio in quello che a molti o pavidi o ipocriti è sembrata la sua macchia o la sua vergogna: di aver messo spietatamente gli uomini gli uni contro gli altri, di aver diviso le famiglie e spesso l'uomo da se stesso, di aver contrapposto doveri, di aver imposto scelte strazianti, di averlo costretto a scegliere. Questo popolo che per secoli era stato avvezzo dalla sua storia a pensare che c'era qualcuno, un qualsiasi superiore, che decideva per lui, si trovò costretto a dilemmi morali feroci: debbo rischiare la vita di montanari innocenti, che domani una rappresaglia può impiccare o bruciare vivi, per non accettare di trattare col vicino comando tedesco? Debbo, obbedendo alle leggi della guerra, rifiutare di presentarmi come responsabile di un attentato e lasciar fucilare dieci o cento ostaggi, o debbo invece salvar la vita degli altri a prezzo della mia propria? Debbo, ufficiale dell'esercito, porgere la mia rivoltella al tedesco che me la chiede o devo portarmela alla tempia? Debbo obbedire a mia madre, che non ha che me e mi implora di non rischiare la vita, o andare volontariamente a perderla con i compagni partigiani? Inseguito, affamato, disarmato, devo varcare la frontiera svizzera, o presentarmi alla caserma fascista a implorare perdono? Internato in Germania, mentre intorno mi muoiono i compagni di tubercolosi e di fame, debbo o no firmare quel foglio che significa cibo, coperta, ritorno in patria? Quel ragazzo di diciotto anni, spia del nemico, che mi chiede pietà piangendo, debbo farlo fucilare o no?

Questi e simili interrogativi si posero tragicamente e bruscamente a centinaia di migliaia di italiani, in quei mesi. Fu una guerra morale, un corso accelerato di vita civile quanto più, tutt'intorno, tutto sembrava furia, bestialità, cecità, delitto. Gli italiani scoprirono che non esistono cause assolutamente immacolate, che non esistono gruppi di «puri», che le azioni collettive esigono la rinuncia alla integrità e che il rimorso è inseparabile dall’azione. Scoprirono che è cosa ben diversa sparare al nemico straniero, che parla un'altra lingua, e indossa altri colori e sparare sul tuo concittadino o sentire il tuo stesso dialetto sulle labbra del militare che manovra la mitragliatrice contro un gruppo di donne e di bimbi atterriti, com'è accaduto a Marzabotto. Quando la violenza delle contraddizioni è portata fino all'orrore, le volontà si fanno implacabili, zone ignorate della coscienza e della società vengono avanti, e scopriamo con spavento e con gioia che la gerarchia degli uomini era, appunto, apparente e falsa. Questo - e non soltanto quello dei partiti politici e delle parole d'ordine - è stato il senso rivoluzionario della Resistenza. È lo sconvolgimento introdottosi fin nel più umile villaggio dell’Appennino o delle Alpi,  la morte sull'aia o nel fosso che ci aveva visti giocare da ragazzi.


[Ventesimo della Resistenza, in una scuola (1965), in Un giorno o l’altro, Quodlibet, Macerata 2006, pp. 354-355]

martedì 24 aprile 2012

I disabili pagano per la propaganda del centrosinistra e per la protervia di alcuni burocrati





Dal  l ° di aprile, le famiglie dei ragazzi che frequentano il Centro Diurno Disabili sono costrette a pagare il pasto dei figli ad un prezzo maggiorato del 59,32 %.

L’assessora ai Servizi sociali Franca Basso ha giustificato questo aumento con le seguenti auree parole:

“Se non avessimo avuto pressanti esigenze di cassa non l’avremmo fatto, ma non abbiamo avuto i trasferimenti dallo Stato, chiaramente terremo conto delle situazioni di maggiore bisogno”.

Con le note che seguono voglio mettere in luce l’inconsistenza della sola prima affermazione; sulle altre due (due mistificazioni oltraggiose!) mi soffermerò in un altro articolo.

Per le famiglie l’aumento è elevatissimo, poiché su ognuna (e sono tutte famiglie di modeste condizioni economico-sociali) graverà, solo per la mensa, un’altra spesa di 420 € per anno, alla quale dovranno aggiungere l’aumento di 2,50 € della retta mensile per la frequenza del C.D.D.

Ma, con un aumento così elevato per gli utenti, quanti denari in più entreranno nella cassa del Comune di Limbiate? Il conto è il seguente:

- n. frequentanti: 28;
- n. giorni di frequenza per settimana: 5;
- n. settimane di frequenza per anno: 48;
- maggiorazione della tariffa/pasto: 1,75 €;
- maggiorazione dell’entrata: 28 x 5 x 48 x 1,75 = 11.760 €.

Già sorge spontanea la domanda: nel Comune di Limbiate, che ha riscossioni e spese attestate sui 22-23 milioni di euro/anno, quale “pressante esigenza di cassa” potrebbe essere soddisfatta con un aumento delle entrate di 11.760 €, da incassare nell’arco di un anno?

Per la cassa del Comune 11.760 € è una cifra irrisoria. Infatti, secondo il Conto consuntivo 2011, la somma delle entrate riscosse è stata di 22.528.262,04 €, e ci si rende conto di quanto sia irrisorio l’aumento delle entrate se si calcola qual è il rapporto percentuale tra le due cifre: 11.760: 225.282,6204= 0,0522%.

La cifra di 11.760 € è solo una goccia nel mare delle entrate, e ancor più diventa evidente se la raffrontiamo con la somma delle entrate e dei crediti del Comune, che è indicata dalle seguenti cifre (desunte dal Consuntivo 2011):

- riscossioni..................................: 22.528.262,04 +
- accertamenti residui.................:   6.521.108,15 +
- residui attivi di anni precedenti:   7.112.234,39 =
- totale.................................: 36.161.604,58;

su questa somma, l’aumento della tariffa per le refezioni del C.D.D. rappresenta una percentuale infinitesimale: 11.760: 361.616,0458 = 0,0325%.

È chiaro che, seppure esistesse una “pressante esigenza di cassa”, una cifra tanto piccola non potrebbe in alcun modo migliorare la capacità di pagamento del Comune.

Innanzi tutto, l’anno 2011 si è chiuso con un saldo tra riscossioni (22.528.262,04 €) e pagamenti (19.887.447,36 €) di 2.640.814,68 €. €, un dato che già non indica alcuna pressante esigenza di cassa”.

Ma anche ipotizzando che il Comune debba far fronte nel corso del 2012 a tutti gli impegni di spesa residui, le cifre non evidenziano alcuna pressante esigenza di cassa”. Infatti:

- saldo riscossioni-pagamenti 2011................: 2.640.814,68 +
- entrate accertate residue (=crediti sicuri): 6.521.108,15 -
- impegni di spesa residui.................................: 9.428.185,40 =   
- differenza.......................................................:   -266.262,57

La cifra di 266.262,57 € è un disavanzo che non può creare nessuna pressante esigenza di cassa”! Innanzi tutto perché i movimenti di cassa sono dei flussi di entrate e di uscite che si protraggono nel corso dell’anno; ma soprattutto perché si deve tener conto, anche, dei flussi in entrata e in uscita dei residui degli anni precedenti, la cui gestione contribuisce a determinare la situazione della cassa:

- saldo di amministrazione 2011....: -266.262,57 +
- residui attivi di anni precedenti...: 7.112.234,39 -
- residui passivi di anni precedenti: 4.546.259,24 =
- differenza..................................: 2.299.712,58   

La somma delle riscossioni, dei pagamenti, dei residui attivi e passivi della competenza e degli anni precedenti è costituita da una miriade di voci che corrispondono alle attività istituzionali dell’ente Comune, fra le quali vi sono moltissimi sprechi e/o spese inutili, spesso per decine di migliaia di euro, che potrebbero essere eliminati o ridotti con una gestione più oculata, sia sotto l’aspetto amministrativo sia sotto l’aspetto politico.

Nessuna indicazione in questo senso è venuta dall’assessora Franca Basso (che ha, fra le altre, le seguenti deleghe: Politiche per la comunità, Servizi per la persona, Nuove e vecchie povertà), quando ha annunciato quest’altra stangata. Costei non ha sentito il dovere, quando ha deciso di “colpire i più deboli” (secondo l’amaro e sacrosanto commento di alcuni genitori di ragazzi disabili), di presentare uno straccio di piano di risparmi di gestione, poiché non ha la più pallida idea di come si amministri una comunità. È evidente che la sua immaginazione non riesce a concepire, nel pensare l'amministrazione dei settori dei quali si deve occupare, nient’altro che una gestione di tipo privatistico (condita, beninteso, con un po’ di attenzione alle “situazioni di maggiore bisogno”!). Un'assessora con le deleghe appena ricordate, che amministra (si fa per dire) tenendo come stella polare delle fantomatiche "pressanti esigenze di cassa", è un caso grottesco, ma la stessa sostanziale aridità umana, la stessa inettitudine amministrativa, la stessa inintelligenza politica hanno dimostrato, anche a questo proposito, la spocchiosissima vice-sindachessa Ripamonti (che ha anche la delega alle Risorse Umane ed­ Economiche!), quel patetico sbruffone di De Luca, il torvo assessore alle  Politiche famigliari Daniele Lodola, il ponzatore di nuovi modelli di sviluppo Andrea Pellegata (che è delegato ad occuparsi, fra le altre costosissime fandonie, anche della Comunicazione Politica), e il resto della Giunta.

Anche la somma dei residui attivi e passivi di anni precedenti è data da una miriade di poste che spesso sono vecchie di molti anni e che, per quanto riguarda gli attivi, non sono stati e non sono riscossi, in alcuni casi per decisione politica, e in molti altri per mancanza di… zelo di alcuni dirigenti del Comune. Lo dimostra l’impennata dei riaccertamenti, vale a dire della cancellazione dei crediti ormai inesigibili da anni e degli investimenti mai fatti, evidenziata dai dati dei Consuntivi 2010 e 2011:

- residui attivi cancellati nel 2010..:     877.715,92
- residui attivi cancellati nel 2011...: 4.489.228,53
- residui passivi cancellati nel 2010: 1.807.229,77
- residui passivi cancellati nel 2011: 4.782.591,51

Questi dati sono clamorosi, poiché indicano che per molti anni un’enorme massa di crediti non è stata esatta ed è diventata ormai inesigibile, e molti investimenti non sono stati fatti, fino a provocare l’intervento della Corte dei Conti che ha imposto il riaccertamento. Un esame della gestione dei residui negli ultimi anni, condotto sulle schede del riaccertamento, provocherebbe sorprese clamorose! Ma si tratta di dati che l’amministrazione si guarda bene dal divulgare davvero, quindi l’esame deve essere rimandato a quando tutti i documenti saranno, se lo saranno, disponibili (pare che nemmeno i consiglieri comunali siano in possesso di tutti i documenti del Rendiconto consuntivo 2011!).

Vi è poi il capitolo degli enormi sprechi nei lavori pubblici, nei quali è frequentissimo il caso di lavori che devono essere rifatti dopo pochissimi anni (e a volte dopo pochissimi mesi!). Segno che manca un’adeguata vigilanza affinché i lavori siano fatti secondo le migliori regole dell’arte e con materiali di ottima qualità. 

Fra le spese totalmente inutili (poiché non producono né produrranno mai alcun benessere di nessun tipo per i cittadini, ma al massimo quella retorica che G. W. F. Hegel chiamava “pappa per il cuore”; ma per lo più si tratta di brodaglia retorica), vi sono quelle del ponzatore di nuovi modelli di sviluppo, al quale, unico fra tutti gli assessori, è stato assegnato, pare, un fondo di 150.000 € perché si dedichi a costruire un qualche apprezzabile consenso per il centro-sinistra.

Fra le spese inutili vi sono anche quelle legali, fatte semplicemente per tentare di difendere la boria di chi comanda. Fra le tante che si potrebbero ricordare ne rammento solo due, che la Giunta Comunale che adesso toglie soldi alle famiglie dei disabili avrebbe potuto risparmiare, ma si è ben guardata dal farlo. Sarebbe bastata solo una più oculata condotta dei dirigenti e un po’ di quell’intelligenza e competenza politico-amministrativa della quale mancano totalmente le Leuzzi, le Curcio, i De Luca, le Ripamonti, le Basso, i Pellegata, ecc., e sarebbero state  risparmiate, anche, delle figure… escrementizie. Mi riferisco, naturalmente, alla causa che mi hanno costretto ad intentare per difendere un mio (e di tutti i cittadini) elementare ma importantissimo diritto, quello dell’accesso agli atti. Su questa questione ho già scritto [v. qui e qui], e quindi mi limito a ricordare che per questa causa persa già in partenza la Giunta ha sperperato 4.500 €.

Ma si deve ricordare anche un’altra causa, per la quale la Giunta ha sperperato una cifra ancor più grande, 7.500 €. In questa causa, intentata dalla Ecotrattamenti S.r.l., per il Comune sarebbe stato meglio non costituirsi, poiché, come ha sentenziato il T.A.R. Lombardia, aveva torto marcio. Ma in quel periodo la Giunta Comunale e i dirigenti dei partiti della maggioranza erano stravolti dall’ansia di recuperare i consensi persi con la vicenda degli Istituti Comprensivi, e quindi, dopo alcuni tentennamenti, scelsero di manovrare il Comitato delle Pacciade per inventare un “movimento ambientalista” che era falso, poiché non solo era sostenuto dal Comune e da tutti i partiti (anche da quelli che avevano fatto promesse interessate alla Ecotrattamenti!), ma addirittura anche da chi, soprattutto, teme che un impianto potenzialmente pericoloso vicino ai suoi terreni, che la Giunta De Luca farà diventare edificabili, pregiudichi la capitalizzazione della sua rendita fondiaria urbana. E per sostenere questo pseudo-movimento, al quale hanno partecipato in buona fede diverse persone che letteralmente si sono fatte turlupinare, la Giunta Comunale pretese di imporre la sospensione della costruzione di un impianto pirolitico con un’ordinanza del tutto illegittima di un suo dirigente. Tutti quanti, però, sapevano che le autorizzazioni degli impianti di trattamento dei rifiuti sono di competenza della Provincia, e che quindi l’ordinanza era illegittima: lo sapevano il dirigente del Settore Tecnico, la responsabile dell’Ufficio Ambiente, il sindaco e il resto della Giunta (e se non lo sapevano sono dei somari patentati), e anche quella claque elettorale che è il Comitato delle Pacciade formalmente capeggiato da Mauro Varisco, che lo ha anche scritto!

In effetti, l’ordinanza contribuì al raggiungimento dello scopo, e tutti espressero la più grande soddisfazione: lo pseudo Comitato, Mauro Varisco, che da allora è convinto che lui muove la “vera politica, quella trasversale” (dal centrosinistra al centro-destra, passando per i redditieri fondiari), tutti i partiti e soprattutto quelli che vorrebbero fare l’opposizione interna al centro-sinistra ma sono troppo pusillanimi per farlo davvero. Tutti pensavano che, tanto, la Ecotrattamenti, si sarebbe sentita svergognata da un’ordinanza di sospensione e non avrebbe reagito! E che, ottenuto un notevole effetto propagandistico con l’ordinanza e con vari ordini del giorno, sarebbe poi stata la Provincia di Monza ad assumersi l’onere dell’autorizzazione dell’impianto pirolitico! La ditta, però, ricorse al T.A.R., e la Giunta, pur sapendo che inevitabilmente avrebbe perso, invece di non costituirsi in giudizio, decise di spendere 7.500 € per pagare un avvocato che ha potuto solo prendere atto, in udienza, della prevedibile decisione dei giudici di non entrare nel merito della causa, poiché, discutendo preliminarmente della richiesta di sospensiva, hanno ritenuto che l’illegittimità dell’ordinanza comunale fosse tanto manifesta, che non valeva nemmeno la pena di fissare l’udienza di merito!

Ecco, se la Giunta Comunale fosse stata capace di una maggiore intelligenza amministrativa e politica, e avesse deciso di non infilarsi a testa bassa in queste due cause, costate in totale 12.000 €, adesso non sarebbe necessario recuperare 11.760 € aumentando il costo della refezione nel C.D.D.!

Ma, oltre che rinfacciare questi sperperi agli amministratori inetti, è possibile andare oltre ed indicare alcune voci attive del Consuntivo 2011 che potrebbero essere destinate a coprire l’aumento del costo della refezione del C.D.D., ed anche l’altro importantissimo servizio, quello del trasporto degli alunni, sul quale ho già scritto [v. qui]. Ma su questo in un prossimo articolo.

mercoledì 18 aprile 2012

“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”





Per fare la segretaria nel Comune di Limbiate, la signora dottoressa Maria Leuzzi percepisce dai cittadini limbiatesi, come assai opportunamente ha ricordato Michelangelo Campisi (v. Ricciardi! Chi era costui? ), uno stipendio di altissimo livello: 108.289,25 €, oltre la "retribuzione di risultato" che non sappiamo a quanto ammonti [v. qui]. Tuttavia, la signora in questione non dimostra propriamente l’allure del funzionario di altissimo livello. E nemmeno sembra avere nel suo bagaglio culturale qualche basilare elemento di… paremiologia. Inoltre, dimostra di non essere dotata di un seppur minimo senso del ridicolo, altrimenti si asterrebbe dal diffondere, a proposito della vicenda che ha visto il Comune soccombere nel giudizio che sono stato costretto a chiedere al TAR Lombardia [v. qui], le ricostruzioni non veritiere che sono già state messe in ridicolo dai giudici amministrativi.  

Il TAR ha condannato il Comune, ma in realtà ha condannato il comportamento della signora in questione, che, secondo il regolamento, è Responsabile del procedimento di accesso agli atti. La signora, però, non vuole prendere atto che la controversia, nonostante la cessazione della materia del contendere, si è conclusa con la secca condanna del Comune alle spese legali. Certo, nella vicenda, la signora non ha fatto una figura brillante, ma, giusto il proverbio, dovrebbe dolersene solo con se stessa (e, forse, con i suoi collaboratori, ma presumibilmente costoro hanno seguito le sue disposizioni) e, se volesse organizzare il suo ufficio in modo da non incorrere più in altri… incidenti dello stesso tipo, farebbe bene a fare con i suoi collaboratori un ripasso, non solo del Regolamento comunale per l’accesso agli atti, ma anche del D.M. 28-11-2000, Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, prestando particolare attenzione all’articolo 2, commi 5 e 6, e all’articolo 11, commi 1 e 4. [1]

La signora in questione, invece insiste et signe, come si direbbe in Francia, nel raccontare le frottole che sono state integralmente rigettate dal Tribunale Amministrativo Regionale, ma che lei ripete, con qualche variante, su tutti i giornali locali. A dire il vero, con le sue dichiarazioni la signora in questione più che altro mi fa ridere, e non sono certo il solo, poiché in questi giorni non riesco più a fare una passeggiata senza che qualche conoscente mi fermi per rivolgermi battute sul fatto che, per qualche funzionario del comune nel quale abito da cinquantaquattro anni, risulto a un dipresso “un clandestino”, o altre frasi similmente scherzose. Ma la signora in questione ormai sta facendo una vera campagna denigratoria, con la quale tenta di accreditare una serie di "particolari" che dimostrerebbero la correttezza del comportamento del suo ufficio, e addirittura una particolare attenzione e benevolenza nei miei riguardi!

La signora in questione pretende di sostenere che avrei fatto una richiesta senza lasciare neanche un recapito, e che avrei chiesto un verbale “molto copioso”, e visto che lo scopo era quello di una mia tutela legale, per evitarmi una spesa gravosa, vale a dire pagare una marca da bollo e un’imposta di segreteria, mi avrebbero chiesto di precisare a quale parte del verbale (che non avevo ancora visto!) fossi interessato. La signora dice il falso, perché nella mia istanza di accesso agli atti, come ha potuto verificare il TAR, avevo ben indicato il mio recapito e precisato a quale (limitatissima) parte del verbale fossi interessato. E se non avessi indicato né il mio recapito né precisato quale parte del verbale effettivamente mi interessava, sarebbe stato compito del suo ufficio (prescritto dal regolamento) scrivermi al mio indirizzo (registrato all'anagrafe!), sospendendo in questo modo il procedimento, per chiedermi le indicazioni che fossero state necessarie per evadere la pratica. Ciò non è stato fatto! E ora la signora in questione sui giornali omette di ricordare l'omissione di questo "particolare importante" ed ha la faccia di bronzo di accusarmi di non aver sufficientemente informato il TAR. Esilarante!

Per farsi un'idea di come si è svolta la vicenda prima della notifica del mio ricorso, il TAR ha avuto a disposizione solo le precise indicazioni della mia istanza, che è un atto amministrativo; la signora Leuzzi e la Responsabile dell’Ufficio legale del Comune pretendevano, invece, di contrapporre solo alcune annotazioni manuali sulla mia istanza (che si possono apporre in qualsiasi momento) e il contenuto di un paio di telefonate fatte non da loro, ma che avrebbero voluto provare con la loro testimonianza! Le telefonate non sono atti amministrativi. La ragione per cui nel mio ricorso io ho omesso di raccontare il contenuto delle telefonate, è che il TAR giudica solo su atti amministrativi. Sembra che la dottoressa Leuzzi e la responsabile dell’Ufficio legale del Comune, iscritta all’ordine degli avvocati, non lo sapppiano. Tuttavia, dopo il deposito della memoria difensiva del Comune, sono stato costretto a contrapporre la mia versione sulle telefonate. Evidentemente, per i giudici amministrativi è risultata più credibile la mia versione.


La signora in questione, inoltre, tenta di dipingermi come un folle che, per non pagare poche decine di euro per la marca da bollo e l’imposta di segreteria, ha preferito sostenere le spese di una vertenza legale. La signora non può avere idea di quanto, con questa panzana, abbia fatto sghignazzare me e le molte persone che qui a Limbiate mi conoscono, perché, ripeto, ci vivo da cinquantaquattro anni, mentre lei è conosciuta da pochi cittadini che seguono i consigli comunali solo per l’orrenda boria e l’insolente postura con le quali si rivolge ai consiglieri. Ma, pur sghignazzando, non posso trascurare di ricordarle, ancora una volta, il piccolo particolare che il TAR ha riconosciuto che IO avevo ragione e il Comune invece aveva torto; e lo ha condannato a risarcirmi tutte le spese richiamando il principio della soccombenza virtuale! Questa è la ragione vera per la quale il Comune (scilicet: la signora Leuzzi) non vuole fare ricorso in appello per tentare di far cancellare la condanna a risarcirmi le spese: perché sa bene che una sentenza come quella che mi ha riconosciuto il risarcimento delle spese, il Consiglio di Stato non la riformerebbe mai! Altro che preocupazione di non spendere del denaro pubblico! Questa preoccupazione la signora Leuzzi non l’ha avuta prima, quando, potendo contare sul denaro pubblico che lei, nei fatti, ha il privilegio di poter usare contro i cittadini, non si è preoccupata di evitare di causare al Comune un danno erariale con la sua inadempienza, ed ha portato la sua boria burocratica fino alla stolidezza!

Infine, il tentativo di risoluzione extragiudiziale della questione, millantato come “bonario” dalla signora, è stato questo: solo dopo aver ricevuto la notifica del ricorso tramite l’ufficiale giudiziario, lei mi ha fatto comunicare per iscritto (ma solo come inciso di una risposta ad un’altra diversa istanza) che l’istanza per ottenere il verbale era già stata archiviata; poi ha proposto di consegnarmi il documento, ma alla condizione che io non depositassi al TAR il mio ricorso, per il quale ovviamente avevo già dovuto pagare uno studio legale, senza riconoscermi, naturalmente, alcun indennizzo; e, dopo il mio rifiuto, ancora pretendeva di convocarmi insieme al mio avvocato (che ovviamente avrei dovuto compensare ulteriormente per la trasferta da Milano!) ad una riunione in Municipio, dove lei avrebbe tentato, suppongo, di convincermi con la forza del pensiero che io avevo torto marcio! Come ho fatto io, chiunque altro avrebbe rifiutato.

Per il momento, sul modo in cui la signora Leuzzi fa la segretaria del nostro Comune, compito per il quale noi le paghiamo uno stipendio annuo di più di 108.289,25 €, non aggiungo altro, ma ve ne sarebbe. Mi riferisco alla vicenda della sentenza del TAR sulla nomina di Giuseppe Bova a consigliere comunale, sulla quale tornerò da qui a qualche giorno. È ormai imminente, infatti, la pronuncia del Consiglio di Stato sul ricorso che comunque sono riuscito a presentare, in barba alla signora in questione, che deve essere affetta da un’accentuata sindrome masochistica, visto che, come segretaria comunale, anche in questa vicenda ha voluto (o dovuto?) fare una figura non proprio brillante.




[1]  D.M. 28-11-2000, Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Art. 2. Princìpi.

5. Il comportamento del dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione tra i cittadini e l'amministrazione. Nei rapporti con i cittadini, egli dimostra la massima disponibilità e non ne ostacola l'esercizio dei diritti. Favorisce l'accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e, nei limiti in cui ciò non sia vietato, fornisce tutte le notizie e informazioni necessarie per valutare le decisioni dell'amministrazione e i comportamenti dei dipendenti.

6. Il dipendente limita gli adempimenti a carico dei cittadini e delle imprese a quelli indispensabili e applica ogni possibile misura di semplificazione dell'attività amministrativa, agevolando, comunque, lo svolgimento, da parte dei cittadini, delle attività loro consentite, o comunque non contrarie alle norme giuridiche in vigore.

Art 11. Rapporti con il pubblico.

1. Il dipendente in diretto rapporto con il pubblico presta adeguata attenzione alle domande di ciascuno e fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio. (…)

4. Nella redazione dei testi scritti e in tutte le altre comunicazioni il dipendente adotta un linguaggio chiaro e comprensibile.



lunedì 16 aprile 2012

Asinerie e falsità di De Luca contro scolari e famiglie “fuorilegge”





L’improbabile e desolante sindaco di Limbiate, De Luca, ha “giustificato” con gli “argomenti” riportati nelle frasi stampate su un giornale locale fra virgolette e nelle altre a lui attribuite dall’articolista, la recente delibera della sua giunta con la quale la tariffa del trasporto scolastico, già salatissima, è stata raddoppiata: da 159 a 318 €!

1) “Abbiamo fatto un atto di legalità: la legge dice che le famiglie devono coprire il 36% del servizio… "

È FALSO!

Oppure, De Luca non sa di cosa parla: non c’è alcuna legge che dice che il servizio di trasporto scolastico deve essere pagato dalle famiglie limbiatesi nella misura del 36%. Questo obbligo c’è solo per

“gli enti locali strutturalmente deficitari (che) sono soggetti ai controlli centrali in materia di copertura del costo di alcuni servizi. Tali controlli verificano mediante un'apposita certificazione che … il costo complessivo della gestione dei servizi a domanda individuale, riferito ai dati della competenza, sia stato coperto con i relativi proventi tariffari e contributi finalizzati in misura non inferiore al 36 per cento; a tale fine i costi di gestione degli asili nido sono calcolati al 50 per cento del loro ammontare” ( comma 2 dell’articolo 243 del D.lgs 18 agosto 2000, n. 267 - Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali).

Fino ad oggi non risulta che il Comune di Limbiate sia stato dichiarato ente strutturalmente deficitario

con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, da emanare entro settembre e da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (comma 2 dell’art. 242 del T.U.O.E.L.),

con il quale 

sono fissati per il triennio successivo i parametri obiettivi, determinati con riferimento a un calcolo di normalità dei dati dei rendiconti dell'ultimo triennio disponibile..." (ibidem).

Inoltre, il trasporto scolastico non è un servizio a domanda individuale, infatti non è compreso nell’elenco del D.M. 31/12/1983, Individuazioni delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale, e la voce di spesa non si trova nel Certificato consuntivo 2010 [è il Bilancio consuntivo; n.d.r.], Quadro 14 - Servizi a domanda individuale, fornito dal Comune al Ministero dell'Interno! [v. qui]


2) “… invece finora la copertura è stata del 15% e il resto lo metteva il Comune.”

- “Pur avendo raddoppiato il costo non siamo ancora alla copertura prevista dalla legge perché arriviamo giusto a una copertura del 31% come cifra a carico delle famiglie”

È FALSO!

Il Conto consuntivo 2010 (p. 102), per il trasporto scolastico dà queste cifre:

- entrata: 53.697,60;
- spesa: 274.999,97;
- copertura (a carico degli utenti): 19,53%

La tariffa media pro-capite è stata, quindi, di 153,421 €. Il raddoppio di questa tariffa media eleverà la parte della spesa complessiva coperta dalle famiglie a 107.394,7 € (153,421 x 2 = 306,842 x 350 utenti).

La percentuale a carico degli utenti salirà a 39,05! 

3) “Buona parte dei ragazzi che prendono il pullman sono distanti non più di 400-500 metri da scuola, mentre altri vanno nei plessi fuori dai quartieri dove abitano: il nostro obiettivo invece è far sì che gli alunni frequentino le scuole vicino a casa.”

È FALSO!

- Tutte le scuole materne e tutte le scuole elementari di Limbiate hanno bacini d'utenza che si estendono ben oltre i 500 metri, anche fino a 750-800 m; da Via Cartesio al Quartiere Metropolitano la distanza è addirittura di 1000-1200 m!

- Solo la Scuola Media Gramsci ha un bacino di utenza che non supera i 1000 m.

- La Scuola media Verga, invece, ha un bacino che arriva fino a 1650 m (S. Francesco) e addirittura fino a 2000 m (Mombello).

- La Scuola Media di Via L. da Vinci ha anch’essa un bacino che si estende fino ad almeno 1650 m (Pinzano, Quartiere Metropolitano).

Sono distanze massime ben superiori a quelle ammesse dalla legge!
  
Infatti, il Decreto Ministeriale (del Ministero dei Lavori Pubblici di concerto con quello della Pubblica istruzione) 18/12/75 (G.U. n. 29 del 2/2/76), ancora in vigore anche se è stato abolito ma con riserva dall'art. 12 comma 5 della Legge nr. 23/96 (poiché il Ministero della PI non ha ancora emanato le norme quadro, né le Regioni hanno approvato le relative specifiche norme tecniche esecutive; art. 5 commi 1 e 2 Legge 11/01/96 n. 23), indica nella Tabella 1 le distanze massime:

- scuole materne: 300 m; 
- scuole elementari: 500 m;
- scuole medie inferiori: 1000 m;
  
e i tempi di percorrenza con mezzi di trasporto:

- scuole materne: non previsto;
- scuole elementari: 15';
- scuole medie inferiori: 15'-30'.

Lo stesso decreto, tuttavia, al punto 1.1.3 ammette la possibilità di deroga, "purché l'ente obbligato (il Comune o la Provincia) istituzionalizzi e gestisca un servizio di trasporto gratuito per gli alunni della scuola materna e della scuola dell'obbligo".

Dunque, poiché tutti i plessi scolastici di Limbiate sono fuori dalla norma, il Comune ha l’obbligo di istituire un servizio di trasporto gratuito per gli alunni della scuola materna e della scuola dell'obbligo.

4) Nel suo intervento [De Luca, come riporta il giornale] ha spiegato il motivo del raddoppio del servizio scuolabus, considerato non essenziale, soprattutto in un periodo di gravi ristrettezze economiche come quello che sta vivendo in questo momento il comune.

È UN’ASINERIA.

Di fronte a simili frasi, cosa si può dire? Che traspare una mentalità retrograda, da governante ultra-liberale d’antan, o da neo-liberista odierno? De Luca non sa nemmeno cosa significhino questi termini! Egli è così... per cause naturali. Non si può pretendere che abbia uno spirito egalitario uno che, come tutti gli arricchiti, ostenta cafonescamente la sua ricchezza (“Sono uno dei 91 limbiatesi con reddito sopra i 100.000 euro”; v. “Prendere atto della nostra sostanziale incapacità a governare questa città”, secondo paragrafo). Egli non ha la più pallida idea del concetto di “bisogni sociali”. Rassegnamoci a constatare che la comprensione che proprio in un periodo di gravi ristrettezze economiche il Comune dovrebbe (e potrebbe, poiché dispone di mezzi infinitamente superiori a quelli di tutte le famiglie di Limbiate) difendere alcune fondamentali conquiste sociali, è un’esperienza intellettuale, morale e politica che non è alla sua portata. Egli è costituzionalmente inadatto a capire che il trasporto scolastico pubblico e gratuito è parte integrante del diritto allo studio.

5) “Ma c’è dell’altro: noi ogni anno spendiamo 340 mila euro per un servizio che utilizzano circa 350 bambini, se contiamo che per tutte le scuole noi diamo 35 mila euro all’anno, cioè 10 euro a bambino, ci siamo resi conto che il rapporto è sproporzionato”.

- Quindi l’Amministrazione vorrebbe invece spendere più soldi nella manutenzione degli edifici scolastici del territorio.

ALTRO FALSO. ALTRE ASINERIE.

Innanzitutto, come abbiamo visto, è falso che il Comune spenda 340 mila € per il trasporto scolastico: le cifre del Conto consuntivo del 2010 attestano che il Comune ha speso effettivamente 221.302,37 € (spesa 274.999,97 € – entrata 53.697,60 €).

Ma, soprattutto, di quale rapporto e di quale proporzione sta parlando? Non risulta che il Comune abbia deliberato di aumentare la miseria oltraggiosa che attualmente "dà" alle scuole in misura pari alla cifra che risparmierebbe raddoppiando la tariffa del trasporto scolastico. E se anche lo avesse deliberato, in base a quale giustizia distributiva l’aumento dei finanziamenti da assegnare alle scuole dovrebbe essere posto a carico di solo un decimo degli alunni, per di più il decimo che non ha genitori con tempo libero e automobile a disposizione?

6) Il sindaco ha quindi auspicato delle alternative più economiche per il servizio scuolabus, suggerendo ai ragazzi di iniziare ad andare di più a scuola a piedi.

7) “Servono quindi soluzioni per far risparmiare tutti, Comune e famiglie”.

8) “Se ci sono dei costi superiori è perché non si poteva fare altrimenti: finora la politica non ha voluto toccare nulla ma io non sono sempre in campagna elettorale e ho fatto ciò che era necessario”.

QUESTO È IL FINALE PIROTECNICO DELLE FALSITÀ E DELLE ASINERIE

Per la frase “ma io non sono sempre in campagna elettorale”, v. «Iö sò io, e vvoi nun zete un cazzo».

Per il resto: innanzi tutto è evidente che De Luca facendo il sindaco fantoccio si è talmente esaltato che ormai vuole emulare quella regina di Francia [Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena] alla quale si attribuisce la frase: «Se [i contadini] non hanno pane, che mangino brioches!».
  
Ma, soprattutto, sono qui squadernate le capacità di governo della giunta di De Luca: egli (che è consorte di una maestra), l’assessora alle Risorse economiche e vice sindachessa Ripamonti (che è Direttrice dei Servizi Generali e Amministrativi in un Circolo didattico!), l’assessore alla Scuola e alle strutture ed infrastrutture scolastiche Cosentino (che di professione fa il commercialista!), l'assessora alle Politiche per la comunità Franca Basso, e soprattutto il creativo, sapiente vero (non pseudo, neh!), grande cultore della comunità, ponzatore di nuovi modelli di sviluppo, assessore alla Promozione dello sviluppo economico e ai pizzini Pellegata, tutta questa bella compagnia di giro, per raccattare (forse) non più di 55.000 €, non riesce ad immaginare nient’altro che il raddoppio delle tariffe; tanto, il trasporto scolastico sarebbe un servizio inessenziale! (Ovviamente, con questa definizione viene mascherata l’intenzione di eliminare fra non molto il servizio).

INVECE,

basterebbe un modestissimo aumento dell’aliquota dell’addizionale comunale sull’IRPEF per recuperare una cifra pari al costo attuale del servizio.

Infatti, nel Conto consuntivo 2010, come entrata dall’addizionale IRPEF, è stata indicata la cifra di 2.533.000 €, ottenuta applicando l’aliquota unica dello 0,6%, e quindi il totale dei redditi imponibili era 422.166.666 €. Se proviamo a calcolare una maggiorazione dello 0,066% l'entrata aumenterebbe di 278.629,99 €, cifra leggermente superiore alla spesa del 2010 per il trasporto scolastico.

Inoltre, se lo Spirito Santo si decidesse ad insufflare un po' di coraggio cristiano negli animi di quelli della compagnia di giro di cui sopra, si potrebbe anche decidere di esentare dalla maggiorazione tutti i redditi inferiori a 15.000 € e, con adeguata progressività delle aliquote, caricare la maggior parte del peso di questa “manovra” soprattutto sui ricchi come De Luca.

Infatti, se prendiamo in considerazione i redditi imponibili del 2009 (purtroppo i dati per gli anni successivi non sono disponibili), quelli superiori a 15.000 € ammontavano a 362.338.348 €; applicando esclusivamente su questa parte una maggiorazione dello 0,076% otterremmo la cifra di 275.377,14 €.

In entrambi i casi si libererebbero 221.302,37 € che si potrebbero vincolare come fondo da spendere per le scuole. Naturalmente, solo con questa condizione (da porre insieme ad un’altra: che si ripubblicizzasse integralmente il servizio del trasporto degli alunni) questa imposizione fiscale sarebbe giustificabile ed accettabile.

In questo modo De Luca riuscirebbe a trasformare in un'affermazione seria la scemenza iniziale del suo discorsetto, perché questo sì che sarebbe un atto di legalità: con una modestissima imposizione fiscale progressiva si distribuirebbe in un modo più giusto fra i contribuenti il costo di un servizio pubblico essenziale come il trasporto scolastico, e sarebbe anche un modo per attuare, nella gestione del traporto scolastico, l’art. 3 della Costituzione che, stabilito che tutti i cittadini sono eguali “davanti alla legge”, aggiunge:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Si attuerebbe, inoltre, l’articolo 112, comma 1, del Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti Locali (D.lgs 267/2000):

“Gli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.”

Questi testi certamente non denotano la “creatività” cara all’assessore ai pizzini. L’articolo 3 della Costituzione addirittura è una roba vecchia di quasi sessantacinque anni. Però, anche se sono largamente inattuati, per chi sfanga la vita questi testi hanno un sapore più genuino del suo brodo di retorica “sviluppista”.