
Le cifre che il Comune avrebbe potuto incassare sulla base di questo provvedimento, se fosse stato formulato con un testo legittimo, erano consistenti: le previsioni inscritte (anzi, “accertate”) nei bilanci 2012 e 2013 erano, rispettivamente, 1.150.000 e 500.000 €; la cifra per il 2014 non è nota, poiché il conto consuntivo non è stato nemmeno presentato, e nel bilancio previsionale la cifra è “impastata” con altre entrate, ma possiamo ritenere che fosse almeno pari a quella per il 2013. (Sulla vera ragione della diminuzione drastica della previsione 2013 rispetto al 2012, e sull'ulteriore "abbattimento" del 50% approvato, del tutto illegittimamente, per il 2015, dirò nel prossimo articolo). Ma alcune delle grandi società utenti del suolo comunale hanno impugnato sia il provvedimento comunale (avanti il TAR) sia gli avvisi di pagamento della società concessionaria della riscossione (avanti il giudice civile). Ciò che queste grandi società hanno ottenuto è scritto nella sentenza citata, con la quale il TAR di Milano, Sezione quarta, “annulla il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio approvato con deliberazione consiliare del Comune di Limbiate n. 32 del 29.05.2012”.
Prima di svolgere in un altro articolo le amarissime considerazioni che è impossibile non fare su questo bel risultato, che evidenzia ulteriormente quanto consumata sia la capacità di governo della vice-sindachessa e assessore al bilancio, ed illustra la sapienza amministrativa dei funzionari comunali del settore finanziario e del settore tecnico (diretto da una dottissima dirigente, particolarmente distintasi con la relazione sulla quale si basava il tentativo di affidare a BEA s.p.a la raccolta dei rifiuti - relazione annullata anch'essa con analoghe argomentazioni dai medesimi giudici della quarta sezione del TAR Milano), nonché di quelli del settore guidato da un’azzeccagarbugli ultra ferrata, è necessario indicare, per chi avesse voglia di documentarsi, i riferimenti normativi ai quali i giudici amministrativi si sono richiamati, che sono i seguenti:
- art. 2, comma 7, art. 25 e art. 27 del D.lgs.vo n. 285/1992 (Codice della Strada);
- art. 23 della Costituzione;
- art. 67 del D.P.R. n. 495/1992;
- art. 52 e art. 63 del D.lgs.vo n. 446/1997;
- Capo II del D.lgs.vo n. 507/1993;
- art. 17, comma 63, della Legge n. 127/1997;
e riportare le motivazioni della sentenza (della quale ho evidenziato con il grassetto i passi salienti):
“Il regolamento impugnato non è coerente con il quadro normativo complessivo appena esaminato.
“In primo luogo, va osservato che, seppure è ipotizzabile l’introduzione del canone concessorio non ricognitorio attraverso una disciplina generale ed astratta di natura regolamentare, nondimeno, in coerenza con le previsioni dell’art. 27 del codice della strada, la sua riferibilità ad una particolare occupazione di beni pubblici stradali postula la necessaria modificazione del titolo concessorio o convenzionale ad essa sotteso.
Tale principio non è rispettato dal regolamento impugnato, che pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto.
Si tratta di un profilo evidente rispetto alla posizione della società ricorrente, la quale gestisce impianti di illuminazione pubblica, occupando porzioni del territorio comunale sulla base di una specifica convenzione di affidamento stipulata nel 2005, che non prevede l’applicazione di un canone per l’occupazione del suolo pubblico per il passaggio l’appoggio e la collocazione delle linee elettriche, degli attrezzi e dei mezzi d’opera.
E’ evidente poi che, qualora il titolo che consente l’occupazione del suolo abbia matrice convenzionale, come nel caso di specie, l’applicazione del canone allo specifico rapporto deve avvenire modificando il titolo sulla base di un nuovo accordo delle parti, che tenga conto, come accaduto in sede di stipulazione dell’accordo, del complesso sia dei doveri e dei diritti, sia dei vantaggi e dei costi che gravano sulle parti.
Ecco, allora, che il regolamento impugnato è illegittimo perché pretende di applicare il canone in modo generalizzato, incidendo in modo uniforme su una pluralità indeterminata di rapporti, senza tenere conto delle peculiarità giuridiche ed economiche di ciascun rapporto concessorio, nonché della natura convenzionale o unilaterale del titolo da cui promana.
Sotto altro profilo, va osservato che il regolamento non è coerente con la disciplina legislativa del rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, o la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
In particolare, l’art. 4 del regolamento prevede espressamente che il canone sia riscosso in aggiunta alla TOSAP.
Tale disciplina, da un lato, viola il divieto di cumulo tra prelievi patrimoniali aventi causa nella medesima occupazione di suolo pubblico, dall’altro, non tiene conto del fatto che è il COSAP, ovvero la TOSAP, a porsi come misura massima del prelievo effettuabile a tale titolo, sicché l’eventuale eccedenza del canone non ricognitorio rispetto quanto già versato per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche non può rimanere a carico dell’utilizzatore.
Anche i criteri di quantificazione del canone non rispecchiano i parametri posti dal citato art. 27 del codice della strada.
Il regolamento impugnato si limita a stabilire delle tariffe da applicare senza indicare i parametri utilizzati per la loro determinazione e correlandole ad unità di misura, di volta in volta individuate a seconda del tipo di occupazione; in altre parole, il canone è quantificato applicando tariffe unitarie moltiplicate per l’estensione delle aree occupate.
E’ evidente che si tratta di parametri del tutto diversi da quelli individuati dall’art. 27 del codice della strada, perché sono legati ad un profilo solo quantitativo e muovono da valori tabellari predeterminati apoditticamente dall’amministrazione, senza alcuna correlazione con le caratteristiche e il valore di ciascun rapporto concessorio”.
La sentenza del TAR che ha dichiarato illegittimo il regolamento, esplica i suoi effetti ab origine, e pertanto:
1) le cifre finora incassate, sono state incassate illegittimamente;
3) il Comune non potrà pretendere di incassare 400.000 € previsti per il 2014;
4) le cifre appena ricordate dovranno essere cancellate dalle entrate della cassa pubblica;
5) è più che probabile che, in assenza di un valido provvedimento normativo, altre grandi società si rifiutino di pagare quanto da loro dovuto;
6) la sentenza si riverbererà su un altro analogo ricorso (di ENEL Distribuzione S.p.a.) ancora pendente presso la medesima sezione del TAR;
7) la sentenza si riverbererà, inoltre, sui procedimenti intentati avanti il giudice civile da ENEL Sole ed ENEL Distribuzione (ed unificati, sembrerebbe), ammesso che non si siano già conclusi, o che non siano stati sospesi: sull’udienza del 19 maggio 2014, ovviamente nulla è mai stato reso noto dai personaggi definiti sopra.
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