sabato 18 aprile 2015

Bruciati 2.000.000 € di entrate: il TAR ha annullato gli oneri concessori





A proposito della sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato il P.I.I. di Via Belluno, rimasta nei fatti segreta per quasi un anno e mezzo, si può avere, forse, il dubbio che i nostri pseudo-governanti locali non ne sapessero nulla (ma il silenzio religiosamente mantenuto anche dopo il mio articolo farebbe pensare il contrario). Non si può avere alcun dubbio, invece, a proposito di un’altra sentenza (questa volta emessa dal TAR di Milano il 21 gennaio 2015), che sicuramente è ben conosciuta dalla cricca di potere che la fa da padrona nel Comune di Limbiate. La vice-sindachessa, infatti, e il capogruppo del suo partito, il PD, nella seduta del Consiglio Comunale del 18 marzo 2015 vi si sono riferiti, seppure ellitticamente. Ma non si sono limitati ad omettere qualsiasi preciso riferimento: addirittura ne hanno falsificato il contenuto, seppure con qualche imbarazzo (come facilmente si evince dalla lettura del verbale della seduta), presentandolo come favorevole al Comune! I consiglieri, sia quelli di maggioranza che quelli di minoranza, non solo non hanno colto l’imbarazzo, ma ancora una volta hanno bevuto tutto, serenamente. Ma su questa falsificazione tornerò in un altro articolo. È importante, innanzitutto, rendere nota la decisione del TAR e chiarire quali conseguenze si preannunciano per il bilancio comunale.

La sentenza di cui parlo (n. 255/2015) ha annullato il “Regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio”, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 29 maggio 2012. Si trattava (il passato ormai è obbligatorio) del  regolamento che avrebbe dovuto consentire al Comune di assoggettare vari utenti (in genere grandi società proprietarie di linee di distribuzione di energia elettrica, gas, acqua; e di trasmissione di dati elettronici e comunicazioni telefoniche) al pagamento (obbligatorio per legge) di oneri per le concessioni amministrative ottenute per l’attraversamento e l’uso del suolo pubblico.

Le cifre che il Comune avrebbe potuto incassare sulla base di questo provvedimento, se fosse stato formulato con un testo legittimo, erano consistenti: le previsioni inscritte (anzi, “accertate”) nei bilanci 2012 e 2013 erano, rispettivamente, 1.150.000 e 500.000 €; la cifra per il 2014 non è nota, poiché il conto consuntivo non è stato nemmeno presentato, e nel bilancio previsionale la cifra è “impastata” con altre entrate, ma possiamo ritenere che fosse almeno pari a quella per il 2013. (Sulla vera ragione della diminuzione drastica della previsione 2013 rispetto al 2012, e sull'ulteriore "abbattimento" del 50% approvato, del tutto illegittimamente, per il 2015, dirò nel prossimo articolo). Ma  alcune delle grandi società utenti del suolo comunale hanno impugnato sia il provvedimento comunale (avanti il TAR) sia gli avvisi di pagamento della società concessionaria della riscossione (avanti il giudice civile). Ciò che queste grandi società hanno ottenuto è scritto nella sentenza citata, con la quale il TAR di Milano, Sezione quarta, “annulla il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio approvato con deliberazione consiliare del Comune di Limbiate n. 32 del 29.05.2012”.

Prima di svolgere in un altro articolo le amarissime considerazioni che è impossibile non fare su questo bel risultato, che evidenzia ulteriormente quanto consumata sia la capacità di governo della vice-sindachessa e assessore al bilancio, ed illustra la sapienza amministrativa dei funzionari comunali del settore finanziario e del settore tecnico (diretto da una dottissima dirigente, particolarmente distintasi con la relazione sulla quale si basava il tentativo di affidare a BEA s.p.a la raccolta dei rifiuti - relazione annullata anch'essa con analoghe argomentazioni dai medesimi giudici della quarta sezione del TAR Milano), nonché di quelli del settore guidato da un’azzeccagarbugli ultra ferrata, è necessario indicare, per chi avesse voglia di documentarsi, i riferimenti normativi ai quali i giudici amministrativi si sono richiamati, che sono i seguenti:

- art. 2, comma 7, art. 25 e art. 27 del D.lgs.vo  n. 285/1992 (Codice della Strada); 
- art. 23 della Costituzione; 
- art. 67 del D.P.R. n. 495/1992;
- art. 52 e art. 63 del D.lgs.vo n. 446/1997;
- Capo II del D.lgs.vo n. 507/1993;
- art. 17, comma 63, della Legge n. 127/1997;

e riportare le motivazioni della sentenza (della quale ho evidenziato con il grassetto i passi salienti):

Il regolamento impugnato non è coerente con il quadro normativo complessivo appena esaminato.

“In primo luogo, va osservato che, seppure è ipotizzabile l’introduzione del canone concessorio non ricognitorio attraverso una disciplina generale ed astratta di natura regolamentare, nondimeno, in coerenza con le previsioni dell’art. 27 del codice della strada, la sua riferibilità ad una particolare occupazione di beni pubblici stradali postula la necessaria modificazione del titolo concessorio o convenzionale ad essa sotteso.

L’art. 27 del codice della strada impone di parametrare [il] canone alle caratteristiche specifiche del singolo rapporto pubblicistico di utilizzazione del bene pubblico, tanto che rende necessario prevedere nel titolo concessorio la debenza e la misura del canone.

Tale principio non è rispettato dal regolamento impugnato, che pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto.

Si tratta di un profilo evidente rispetto alla posizione della società ricorrente, la quale gestisce impianti di illuminazione pubblica, occupando porzioni del territorio comunale sulla base di una specifica convenzione di affidamento stipulata nel 2005, che non prevede l’applicazione di un canone per l’occupazione del suolo pubblico per il passaggio l’appoggio e la collocazione delle linee elettriche, degli attrezzi e dei mezzi d’opera.

A fronte dell’autorizzazione all’occupazione gratuita dei beni pubblici stradali, è palesemente illegittima l’introduzione direttamente ed unilateralmente, con atto autoritativo regolamentare generale ed astratto, del canone non ricognitorio, in quanto l’art. 27 non consente l’applicazione del canone se non attraverso la modificazione del singolo titolo concessorio.

Non si tratta di un problema formale, ma di garantire, in coerenza con le puntuali previsioni dell’art. 27, che tanto l’applicazione del canone, quanto il suo ammontare, siano aderenti al contenuto dello specifico rapporto di concessione, sulla base degli oneri complessivi che esso comporta, tenendo conto delle soggezioni che derivano alla strada o all’autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e del vantaggio che l'utente ne ricava, secondo l’espressa previsione dell’art. 27, comma 8, del codice della strada.

E’ evidente poi che, qualora il titolo che consente l’occupazione del suolo abbia matrice convenzionale, come nel caso di specie, l’applicazione del canone allo specifico rapporto deve avvenire modificando il titolo sulla base di un nuovo accordo delle parti, che tenga conto, come accaduto in sede di stipulazione dell’accordo, del complesso sia dei doveri e dei diritti, sia dei vantaggi e dei costi che gravano sulle parti.

Ecco, allora, che il regolamento impugnato è illegittimo perché pretende di applicare il canone in modo generalizzato, incidendo in modo uniforme su una pluralità indeterminata di rapporti, senza tenere conto delle peculiarità giuridiche ed economiche di ciascun rapporto concessorio, nonché della natura convenzionale o unilaterale del titolo da cui promana.

Sotto altro profilo, va osservato che il regolamento non è coerente con la disciplina legislativa del rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, o la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.

In particolare, l’art. 4 del regolamento prevede espressamente che il canone sia riscosso in aggiunta alla TOSAP.

Tale disciplina, da un lato, viola il divieto di cumulo tra prelievi patrimoniali aventi causa nella medesima occupazione di suolo pubblico, dall’altro, non tiene conto del fatto che è il COSAP, ovvero la TOSAP, a porsi come misura massima del prelievo effettuabile a tale titolo, sicché l’eventuale eccedenza del canone non ricognitorio rispetto quanto già versato per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche non può rimanere a carico dell’utilizzatore.

Anche i criteri di quantificazione del canone non rispecchiano i parametri posti dal citato art. 27 del codice della strada.

Il regolamento impugnato si limita a stabilire delle tariffe da applicare senza indicare i parametri utilizzati per la loro determinazione e correlandole ad unità di misura, di volta in volta individuate a seconda del tipo di occupazione; in altre parole, il canone è quantificato applicando tariffe unitarie moltiplicate per l’estensione delle aree occupate.

E’ evidente che si tratta di parametri del tutto diversi da quelli individuati dall’art. 27 del codice della strada, perché sono legati ad un profilo solo quantitativo e muovono da valori tabellari predeterminati apoditticamente dall’amministrazione, senza alcuna correlazione con le caratteristiche e il valore di ciascun rapporto concessorio”.

La sentenza del TAR che ha dichiarato illegittimo il regolamento, esplica i suoi effetti ab origine, e pertanto:

1) le cifre finora incassate, sono state incassate illegittimamente;

2) il Comune non potrà pretendere di incassare le differenze fra riscossioni e “accertamenti” poste  fra i residui attivi 2012 e 2013: plausibilmente, circa 1.500.000-1.600.000 €;

3) il Comune non potrà pretendere di incassare 400.000 € previsti per il 2014;

4) le cifre appena ricordate dovranno essere cancellate dalle entrate della cassa pubblica;

5) è più che probabile che, in assenza di un valido provvedimento normativo, altre grandi società si rifiutino di pagare quanto da loro dovuto;

6) la sentenza si riverbererà su un altro analogo ricorso (di ENEL Distribuzione S.p.a.) ancora pendente presso la medesima sezione del TAR;

7) la sentenza si riverbererà, inoltre, sui procedimenti intentati avanti il giudice civile da ENEL Sole ed ENEL Distribuzione (ed unificati, sembrerebbe), ammesso che non si siano già conclusi, o che non siano stati sospesi: sull’udienza del 19 maggio 2014, ovviamente nulla è mai stato reso noto dai personaggi definiti sopra.

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