giovedì 19 luglio 2012
Essere a sinistra
Emilio Lussu (1890-1975)
… Ma oggi, desidero non aspettare
ancora per rispondere alla tua domanda: «Che vuol dire
essere a sinistra?» Siccome io affermo che tu sei stato sempre a destra ed io a sinistra,
devo precisare.
Innanzi tutto, essere a
sinistra presuppone in molti anche una particolare
formazione psicologica. In molti, non in tutti, evidentemente.
Psicologicamente, io sono stato sempre a sinistra, certo
per atavismo. Gente di montagna, i miei avi non pagarono mai diritti feudali; e non già in
grazia a uno speciale privilegio, ma
perché sopprimevano gli esattori baronali, regolarmente nei passaggi obbligati. Ne è derivato
che, in me, la rivolta a dare quanto non è dovuto è istintiva; il
primo impulso è quello, e poi la ragione lo conferma. Ancora
oggi, in un ordinamento democratico repubblicano liberamente
scelto e accettato, l’autorità mi dà un senso di fastidio: reminiscenza sopravvissuta, nell’inconscio, di quanto i miei avi
sentivano di avversione nemica per le autorità costituite dei
loro tempi, le quali erano certamente arbitrarie e imposte,
contro giustizia. Per cui, il senso di giustizia in me non è solo
ragionato ma innato, il che fa sì che è moltiplicato per due.
Questo senso di giustizia, prima ancora
che non la conoscenza scientifica, mi ha portato al socialismo, fin dai primi
passi politici. E il fastidio che tuttora mi dà l'autorità,
malgrado sia arrivato a maturità politica, esplode poi in umorismo ogni volta in cui
l'autorità si veste di sussiego e di pomposità:
umorismo, cioè il sentimento innato di rivolta, reso incruento e addolcito dall'educazione
e dalla cultura. Un anno fa, un tuo compagno socialdemocratico
di destra, con cui commentavo l'elezione dell'onorevole
Tupini a sindaco di Roma, nelle forme politiche equivoche che
ci sono note, finiva col giudicarlo un grande successo dell'esponente
democristiano perché malgrado tutto, era riuscito ad
essere sindaco di Roma, Sindaco di Roma! La mia reazione era opposta
ed io vedevo in piazza del Campidoglio, sul cavallo di
bronzo dorato, al posto di Marco Aurelio,
Tupini con in testa il cappello a cilindro.
Ecco, psicologicamente, la sinistra e la destra. E
permetterai che ti dica che tu, in questo settore
ancestrale sei e sei sempre stato a destra, anche quando eri un
socialista di base, militante combattivo: l'autorità ti ha sempre, non dico intimidito, ma sedotto. È assai probabile che più di
uno dei ministri e sotto segretari socialdemocratici in questi
dieci anni siano stati al governo, innanzi tutto per questo
stesso fatto psicologico che li poneva a destra pregiudizialmente. E
quanti non ce ne saranno nelle stesse condizioni, fra quelli
che attendono ansiosamente questa mai troppo benedetta alternativa
socialista.
Per uno
di sinistra, il potere è solo un posto di responsabilità e di lotta,
psicologicamente identico al posto che differenti momenti politici impongono si
occupi in carcere, al confino, in esilio o fra i partigiani.
Politicamente,
per un socialista, essere a sinistra è un'altra questione, per quanto non necessariamente
legata alla prima. «La sinistra», tu mi dici nella tua lettera, «deve
consistere nel creare
un governo amico dei lavoratori, capace, onesto, coraggiosamente riformatore.»
No, mio caro: questo è essere a destra.
Essere a
sinistra consiste nel basare la lotta politica e ogni conquista della classe
operaia e dei lavoratori nella lotta autonoma, sindacale, sociale e politica;
essere sempre presenti nella lotta delle masse; realizzare la democrazia verso
il socialismo con continue conquiste e difenderle, con la lotta. Se ciò non avviene,
la democrazia non la si conquista e non la si difende: né con la Costituzione, né col
presidente della Repubblica, né col Parlamento, né col governo, né con
l'esercito, per sé soli.
La
stessa Costituzione democratica non ci viene da un areopago di «amici dei
lavoratori, capaci, onesti, coraggiosamente riformatori», ma dalla Assemblea di
un popolo, i cui delegati, usciti dalla Resistenza e dalla Liberazione,
rappresentavano le istanze sociali e politiche più avanzate della rivoluzione
antifascista e antinazista. Erano i rappresentanti usciti dal popolo: erano il
popolo di quel saliente periodo storico. Voglio dire che la libertà e lo stato
democratico non ci sono caduti dall'alto illuminato, ma ci sono venuti dal
basso, dall'impeto della lotta popolare e nazionale. La Repubblica, allora,
rappresentava una istanza ed una condizione della democrazia, ed io ero per la Repubblica: quindi a
sinistra. Per te, repubblica o monarchia erano termini secondari. Il problema
istituzionale, che pure era il problema attuale della democrazia, ti era
indifferente: eri quindi a destra.
Quelli che, all'atto della Liberazione e subito dopo
reclamavano la rivoluzione integrale socialista non erano a sinistra. Erano
massimalisti, cioè politici incapaci di porre gli obbiettivi voluti in rapporto
con la realtà della situazione generale, nazionale e internazionale, incapaci di
valutare l'avversario in rapporto ai mezzi necessari per affrontarlo. Che altro
non è il massimalismo che dismisura fra azione e pensiero. A sinistra, allora, erano
quelli che, stando nella lotta, intendevano legarla alla realtà ed evitare
l'avventura del passo superiore alla lunghezza delle gambe, evitare cioè il
precipizio. Ma erano a destra quelli che pensavano che ormai non rimaneva altro
da fare, tutto essendo già stato fatto. Ed erano a destra quelli che, dopo la Costituente, ormai
ottenuta la Costituzione
della Repubblica, si rimettevano fiduciosamente ai prossimi Parlamenti e ai
loro governi. Eppure, la lotta democratica, nella legalità costituzionale,
cominciava proprio allora, e dura tuttora, senza che si siano prefissate tappe
di arrivo e di sosta. La lotta per la democrazia non conosce riposo.
I
Consigli di gestione sono caduti perché non li abbiamo saputi inserire nella
realtà dell'azienda né abbiamo voluto difendere i primi esperimenti e volevamo
codificarli prima ancora che fossero conquistati in una maturata esperienza di capacità
e di lotta, e attendevamo dal governo, dove pure erano i rappresentanti operai,
quanto dipendeva solo da noi. Ma le Commissioni interne, con cui gli operai
erano subito penetrati nella vita interna della fabbrica, hanno resistito,
nonostante la spietata
repressione padronale sostenuta dal potere politico. Abbiamo ancora il Testo di
pubblica sicurezza fascista, perché non abbiamo saputo mobilitare a fondo, con
una lotta unitaria, le masse, per sopprimerlo. E non abbiamo ancora la Regione, che pure è la
base dell'ordinamento dello Stato, per la stessa ragione. Essere a sinistra
significa vedere questi errori, ed essere a destra significa dare scarsa
importanza a tutto ciò. C’è, insomma, più democrazia costituzionale nella lotta
d'una lega di contadini giustamente impostata che non nell'insegnamento pubblico
delle norme della Costituzione. La Costituzione è cosa morta, se non è animata dalla
lotta. E anche quando siamo stanchi e vicini alla sfiducia, non c'è altro su
cui fare affidamento. Rimettersi all'alto è capitolazione sempre.
Tu, che
sei a destra, chiedi a me, che sono a sinistra, se accetto il metodo
democratico e la libertà come mezzo e come fine. Ed io ti rispondo, senza
riserve mentali che li accetto. Ma tu li accetti nella forma, io nella forma e
nella sostanza. Ho cioè coscienza che non c'è né democrazia né libertà politica
se non preceduta e accompagnata dalla liberazione del cittadino dall'oppressione
e dal bisogno. Per un socialista, la lotta democratica è la lotta per arrivare
a questa liberazione. Anche tu aspiri a questa liberazione, ma paternalisticamente,
con «un governo amico dei lavoratori, capace, onesto ecc.», io dal basso. Cioè,
non un governo amico dei lavoratori, ma un governo dei lavoratori, che arrivino
al governo per la loro forza e la loro capacità. Senza questa forza e questa
capacità, i lavoratori non sanno che farsene del governo, perché se vi
arrivassero per intrallazzi, vi sarebbero intrappolati e schiacciati e
corrotti, come è avvenuto a voi socialdemocratici.
Ecco la
destra e la sinistra, rispondendoti piuttosto affrettatamente. Ed è della
sinistra non solo la volontà di accettare il metodo democratico, ma di erigerlo
e di imporlo agli altri, e di essere costantemente inseriti nella massa dei
lavoratori e del popolo per poter respingere con la violenza la eventuale violenza
di chi, abbandonato il metodo democratico, ricorresse alla violenza, assente o
complice lo Stato. Perché, per rispettare il metodo democratico occorre essere
in due.
E basta
davvero!
Con affetto, tuo
Emilio Lussu (1957)
[Da Emilio
Lussu, Essere a sinistra, Mazzotta, Milano
1976, pp. 239-242 ]
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