martedì 12 giugno 2012
Homenaje a Teofilo Stevenson 1952-2012
È morto Teofilo Stevenson, leggenda della Rivoluzione
cubana
(ASCA-AFP)
- L'Avana, 12 giu - E' stato uno dei piu' grandi pugili di tutti i tempi
malgrado non sia mai passato fra i professionisti per amore della sua patria,
Cuba. Teofilo Stevenson, dominatore della scena della boxe dilettantistica per
oltre 14 anni e primo a vincere la medaglia d'oro olimpica nella stessa
categoria (pesi massimi) per tre volte consecutive, è morto ieri a 60 anni per
un attacco cardiaco.
Nato nel
1952, Stevenson vinse il primo oro a Monaco nel 1972, il secondo nel 1976 a Montreal e nel 1980 a Mosca, ma gli fu
negata la possibilità di ottenere una quarta medaglia, quando Cuba aderì al
boicottaggio promosso dall'Unione Sovietica contro le Olimpiadi che si disputarono
a Los Angeles nel 1984.
Stevenson
ha terminato la carriera nel 1986, con il record di 302 vittorie in 321
incontri, diventando poi allenatore e dirigente della Federazione cubana di
pugilato e occupandosi di un altro grande campione, Felix Savon, anche lui
vincitore di tre ori olimpici (1992, 1996, 2000).
Dopo i
giochi del 1976 rifiutò diverse offerte per passare ai professionisti e
soprattutto per combattere contro l'allora campione dei pesi massimi Muhammad
Ali, rimanendo fedele agli ideali della Rivoluzione Cubana. ''Cos'è un milione
di dollari a confronto dell'amore di otto milioni di cubani?'', era solito
ripetere. (uda/)
da "il
manifesto" del 29 marzo 2006
Incontro con il mito della boxe cubana che oggi compie 54
anni e ha portato in Italia una rappresentativa juniores per una serie di stage
con i pugili di casa nostra. «Lo sport è salute perché dà molti più anni alla
vita di quanti la vita ne dia allo sport. Così vinciamo nonostante l'embargo
Usa»
Oggi il mito compie 54 anni. Alto, ancora «tirato », per
nulla ingrassato, come è invece accaduto a tanti altri pugili una volta scesi
dal ring sulla terra. Lo abbiamo atteso nella sala del palazzo delle
Federazioni, a Roma, mentre intanto dallo schermo arrivavano le immagini del
documentario dedicatogli da Alessandro Angelini. Sei ragazzi in tuta cubana
accompagnano le movenze di Teofilo negli incontri che l'hanno consegnato alla
storia del pugilato. Sono i cadetti juniores che il tre volte oro olimpico
cubano ha portato in Italia per una serie di stages con i pari età di casa
nostra. Sfugge loro tra le labbra, qua e là, persino un «suggerimento»
(«gancio!») quando vedono nello schermo l'avversario un po' scoperto. Poi
intuiscono scattare il diretto destro - quasi invisibile all'occhio - e
sorridono. Soprattutto quando vedono Teofilo, alle olimpiadi di Monaco '72,
dare lezione a Duane Bobick, una delle «grandi speranze bianche» che hanno
concluso la carriera già tra i dilettanti. Poi lui entra e loro diventano più
seri, anche se con gli occhi ridenti. E cercano di capire cosa si dice tra
Gianni Minà che intrattiene da par suo la platea (in cui spicca anche Vincenzo
Cantatore) e l'esempio vivente che inseguono da quando hanno infilato per la
prima volta i guantoni. È un'altra lezione, di stile anche questa. Il mito non
si compiace, quasi sminuisce il suo immenso talento, restituendo invece a Cuba,
alla Rivoluzione, al sistema educativo che è riuscita a mettere in piedi, i
meriti di una carriera difficilmente ripetibile. Del resto loro lo sanno, si
sono rivisti bambini nelle palestre sbrecciate, nei cortili polverosi, mentre
imparano i rudimenti della noble art dai migliori maestri che ci siano al
mondo. Come tecnica, nessuno lo contesta, quella cubana è la scuola migliore. «
È un onore ricevere tanti complimenti qui in Italia - esordisce Teofilo con
voce calda e soffocata - ma questi vanno ai miei allenatori, al mio popolo, al
mio comandante. Se sono diventato così famoso è perché lo sport, insieme alla
cultura, all'educazione e alla salute, è stato la base della Rivoluzione cubana
come spiegò Fidel Castro nel famoso discorso La storia mi assolverà. Il
nostro paese ha fatto sforzi enormi per portare avanti lo sport nonostante
l'embargo americano. Con poche risorse, siamo sempre riusciti a fare tanto».
Perché altri paesi latinoamericani molto più grandi di
Cuba non hanno mai raggiunto i vostri risultati sportivi?
A Cuba la
Rivoluzione ha creato un istituto di medicina sportiva e una
scuola internazionale dello sport che ci hanno permesso di tirare su atleti e
allenatori di primo livello. E' un sistema che continua a produrre ancora oggi
gli stessi talenti del passato. Ospitiamo atleti che vengono da ogni angolo del
mondo e a tutti insegnamo che il sacrificio porta risultati. Lo sport è salute
perché dà molti più anni alla vita di quanti la vita ne dia allo sport.
Il tuo rifiuto del professionismo fu una scelta ideologica
o una conseguenza del fatto che chi prima di te aveva provato l'avventura in
America (Kid Gavilan e Kid Chocolate) aveva fallito malamente?
Loro hanno vissuto in un'altra epoca, sotto il regime di
Batista. Il nostro apostolo, José Martí, diceva «siate colti per essere
liberi». Così uno sa dove andare e quali passi affrontare. Il professionismo
tratta i pugili come una merce da vendere e mettere da parte una volta che non
servono più.
Chi è l'avversario che ti ha messo maggiormente in
difficoltà?
Il rivale più duro è sempre stato l'allenamento. Se non lo
superi, non puoi vincere. Come lo studio prima degli esami.
Cos'è la paura sul ring?
Ognuno la vede secondo il proprio punto di vista. Per me è
la responsabilità di affrontare un impegno. Se sei ben preparato, la paura
scompare.
Negli anni settanta tutto il mondo sognava un incontro tra
te e Alì, come sarebbe finita?
Lo hanno chiesto anche a lui e ha risposto che il match
sarebbe finito pari. Mohammed è stato uno dei più grandi di sempre, prima come
uomo poi come pugile. Si è battuto per i diritti della sua gente, ha cercato di
aiutare il mondo a risolvere i problemi. Ha un grande cuore e una grande
sensibilità, soprattutto nella vita privata.
E della parabola di Tyson che pensi?
Non conosco il mondo professionistico e dunque non mi
sento di rispondere. Non credo comunque che la sua storia sia molto diversa da
quella di tanti altri finiti male, la boxe ne è piena di casi così.
Sei mai andato ko?
Una volta, in Bulgaria, durante una finale di un torneo
juniores. Scivolai e mi rialzai senza problemi. Knockdown non mi ci ha mai
messo nessuno.
Neanche il tuo erede, Felix Savon, quando facevate
guantoni insieme?
Ci ha provato due volte e due volte l'ho steso, senza
muovere i piedi, solo le mani. Io lo avvisavo prima: guarda che se mi colpisci
fai male. I suoi allenatori gli dicevano di studiarmi e non provocarmi. Lo
mandai a gambe all'aria prima di un mondiale e Alcides Sagarra lo rimproverò: a
un leone puoi tirargli la coda finché dorme ma quando si sveglia lascia
perdere...
Le prossime medaglie olimpiche Cuba le conquisterà in
Cina...
Mi dicono che i cinesi sono grandi organizzatori di
eventi. Vedremo.
(Francesco Piccioni)
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