La sentenza n. 147/2012 della Corte
Costituzionale [per il testo integrale click Ricerca sulle pronunce] ha dichiarato che era illegittima la norma, voluta dal ministro
Gelmini, che obbligava a raggruppare le scuole dalle materne alle medie inferiori in Istituti Comprensivi di almeno 1000 alunni. Il
PD e la spocchiosissima, incompetentissima, inetta e sempre più imbufalita
vice-sindachessa Ripamonti, e Ti-che-te-tarchett-i-ball e tutti i loro amici,
possono mettersi dove si capisce anche se non lo scrivo la delibera con la
quale riuscivano a fare ancor peggio della già pessima norma nazionale: abusando di una legge finanziaria berlusconiana, al tempo già impugnata da sette Regioni, volevano cedere due scuole al Comune di Solaro e
creare a Limbiate, come conseguenza obbligatoria, due enormi I.C., uno di 1.300
e l’altro di 1.700 alunni! Un’aberrazione che nessun altro sarebbe riuscito a
concepire.
La vice-sindachessa
spocchiosissima ora lamenterà, probabilmente, che anche i giudici della
Consulta esprimono una “visione di
radicale disistima politica e personale” di lei Angela Ripamonti, come quella che esprime il sottoscritto, della
quale si è lamentata nel corso di una delle tante violazioni del regolamento
del Consiglio Comunale sulle quali non osa aprir bocca la servile Wanda Osiris
presidente; l’orang-outang della politica limbiatese concionerà invece che lui resta
convinto della giustezza del provvedimento comunale, ecc. ecc. Tralasciamo,
però, di infierire su questa corte dei miracoli; concediamo una tregua alla
vice-sindachessa, che in queste ore, poverina, dev’essere sconvolta da un
travaso di bile. Vale la pena, invece, di fare qualche considerazione, alla luce
del modo in cui si è conclusa la vicenda, sull’ormai evanescente Comitato
Scuola Città e sulla lista elettorale dell’Asinistra, che occupa il C.S.C. e lo
egemonizza con i metodi tipici della partitocrazia.
La sentenza, infatti, non
è una sconfitta solo per il PD e per il gruppo di potere sovracomunale del
quale fa parte la Ripamonti;
essa mette in chiaro, anche, il fallimento del Comitato Scuola Città, che dopo
il Consiglio Comunale aperto del 26 ottobre 2011 ha rifiutato di scontrarsi con la giunta, come l’evolversi dei fatti
avrebbe imposto, non solo perché la maggioranza dei suoi membri aveva
votato per il centrosinistra, ma soprattutto in ossequio al volere
dell’Asinistra di Limbiate, che su alcuni membri del C.S.C. esercita, più che un’egemonia, un vero e proprio plagio. A Limbiate, oltre ad alcuni
gruppetti di politicanti (o aspiranti politicanti) non c’è niente. I cittadini
ogni tanto sono convocati per sorbire la brodaglia retorica di Pellegata e per
scrivere pizzini. Niente di più. In questa situazione, il C.S.C. ha gettato al
vento l’occasione irripetibile di avviare, finalmente anche a Limbiate, la
costruzione di una forma di organizzazione dei cittadini autonoma dalle cerchie
dei politicanti. Un’esperienza che, se fosse stata portata avanti con coerenza,
ora vedrebbe confermato il suo valore, ed anzi sarebbe esaltata, dalla
decisione della Consulta. Invece, “maestri”, eminenze grige e consiglieri comunali
dell’Asinistra, che si fanno venire l’itterizia al solo pensiero di dover fare
opposizione ad un partito ultraliberista come il PD, hanno consigliato e
favorito l’auto-insabbiamento del C.S.C. Piuttosto che favorire lo sviluppo di
una coscienza autonoma dei cittadini, consiglieri comunali e “maestri”
dell’Asinistra, hanno preferito consigliare e favorire l’atrofizzazione
dell’unica esperienza associativa degli ultimi decenni che dalla concretezza
dei fatti era spinta a reclamare una
reale partecipazione alle decisioni
politico-amministrative. (Lo riconosceva un filosofo della politica come
Norberto Bobbio, liberale ma onestissimo: la
partecipazione c’è solo quando si partecipa ad una decisione; tutto il
resto, nella migliore delle ipotesi, è solo bric-à-brac “consultivo” o, peggio ancora, banale “ascolto”).
Il vuoto lasciato dal C.S.C. è oggi occupato spregiudicatamente dal centro-destra, al quale è lasciata l'organizzazione e la guida della protesta per l'aumento delle tariffe dei servizi pubblici: vale a dire che l'opposizione sociale è stata consegnata nelle mani di chi a suo tempo ha firmato i contratti per i servizi con i soggetti privati che oggi pretendono, ed ottengono, dall'inetta Ripamonti e dal centrosinistra il rispetto delle clausole-capestro che impongono di aumentare le tariffe dei servizi pubblici! Di questo risultato possono gloriarsi i vari Ongaro, Iannone, Gibertini, una maestra ottusa dalla weltanschauung casearia e altri del C.S.C., insieme ai loro mentori e referenti dell'Asinistra.
Ovviamente, ancora una
volta, soprattutto gli ultimi appena nominati millantano il contrario, ma la sentenza, che giunge mentre il
C.S.C. e l’Asinistra non sono riusciti, neanche lontanamente, ad avvicinarsi
all’obiettivo, evidenzia anche che la vicenda degli I.C. sarebbe potuta essere,
per una sinistra priva della A, un’occasione d’oro per provare a contendere al PD l’egemonia dell’elettorato
del centrosinistra. Se sulla questione degli I.C. fosse stata fatta la
scelta di praticare un’opposizione coraggiosa e coerente, da portare avanti, se
necessario, anche fino alla rottura della coalizione del centrosinistra, come
l’importanza della questione avrebbe richiesto e giustificato (una rottura che
tuttavia sarebbe stata del tutto ininfluente per quanto riguarda la maggioranza
necessaria per governare il Comune) - quella scelta oggi risulterebbe
convalidata, in modo implicito ma evidentissimo, dalla sentenza della Corte
Costituzionale. L’assetto politico della coalizione sarebbe modificato; i
rapporti di forza diventerebbero più favorevoli per entrambi i consiglieri
dell’Asinistra, che appartengono a partiti diversi e si muovono sempre
separatamente, a parte qualche comunicato stampa congiunto.
Ma questa scelta è stata
rifiutata con terrore. Il fatto è che entrambi i consiglieri dell’Asinistra
partecipano alla coalizione con la preoccupazione angosciosa e corrosiva di, e
solo per, ottenere un po’ di visibilità, che non sarebbero in grado di
procurarsi diversamente, non avendo mai fatto nella loro vita, né conosciuto, e men che meno studiato, una
qualsiasi esperienza di prassi sociale. Una preoccupazione che prevale su
qualsiasi considerazione politica, della quale del resto non sono capaci,
poiché della politica riescono ad immaginare solo le mistificazioni più o meno
consolatorie nelle quali quotidianamente si avvoltolano, e ne disconoscono la
vera natura. (Questo modo di stare nella coalizione risulta proficuo più per
Traina che per l’altro, che è solo grant,
gross, pussé ciula che baloss, ma crede di essere un Atlante con il mondo sulle spalle).
Una diversa situazione dei
rapporti di forza avrebbe positive conseguenze su molte altre questioni, a
proposito delle quali l’Asinistra ha un mancamento al solo pensiero di fare davvero l’opposizione interna (infatti non la fa). Su
questioni come le tariffe dei servizi, in particolare quella del trasporto
scolastico, il fisco comunale, il PGT, l’area di Via Ravenna, il P.L. Euronics,
gli OO.UU, ecc., con rapporti di forza più favorevoli si potrebbe contrastare
il neo-liberismo selvaggio della vice-sindachessa, di
Ti-che-te-tarchett-i-ball, dello sbrodolante neo assessore alla speculazione
edilizia, dell’improbabile e desolante De Luca. Ma, lo diceva già Don Abbondio
(o meglio Alessandro Manzoni, che nel 1848, tuttavia, essendo troppo vecchio per andare sulle
barricate milanesi, consigliò al figlio di andarci): il coraggio, se uno non ce
l’ha, non se lo può dare.
***
Per chi non ha la
pazienza di fare una lettura integrale della sentenza della Corte
Costituzionale, ne riporto le parti essenziali dopo aver premesso, per una migliore
comprensione, l’articolo 19, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011:
«Per
garantire un processo di continuità didattica nell’ambito dello stesso ciclo di
istruzione, a decorrere dall’anno scolastico 2011-2012 la scuola dell’infanzia,
la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in
istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni
scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole
secondarie di I grado; gli istituti compresivi per acquisire l’autonomia devono
essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni
site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche
caratterizzate da specificità linguistiche».
Le parti essenziali della sentenza:
[…]
Il (…) D.P.R.
20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il
razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi
dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), mirava a
modificare il quadro normativo, disponendo, all’art. 1, che alla definizione
«dei criteri e dei parametri per il dimensionamento della rete scolastica e per
la riorganizzazione dei punti di erogazione del servizio scolastico, si
provvede con decreto, avente natura regolamentare, del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adottato di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza
unificata» tra lo Stato e le Regioni. Il medesimo art. 1, peraltro, stabilisce
che, fino all’emanazione del menzionato decreto ministeriale, continui ad
applicarsi la disciplina vigente, in particolare il d.P.R. n. 233 del 1998, ivi
compreso il relativo art. 3 da considerarsi abrogato soltanto all’atto
dell’entrata in vigore del predetto decreto ministeriale (art. 24, comma 1,
lettera d, del d.P.R. n. 81 del 2009).
Non risulta
(…) che tale decreto sia mai intervenuto, tanto che alcune delle Regioni
ricorrenti hanno fatto presente, negli odierni ricorsi, che l’art. 19, comma 4, in esame è stato emanato
quando esse avevano già provveduto all’approvazione dei piani regionali di
dimensionamento in vista dell’inizio dell’anno scolastico 2011/2012, piani
evidentemente formulati secondo lo schema di cui al d.P.R. n. 233 del 1998.
4.— Alla luce delle osservazioni che
precedono, la questione avente ad oggetto l’art. 19, comma 4, è fondata.
La
disposizione censurata mostra, anzitutto, un certo margine di ambiguità perché,
mentre impone l’aggregazione delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria
di primo grado, in istituti comprensivi, non esclude la possibilità di
soppressioni pure e semplici, cioè di soppressioni che non prevedano
contestuali aggregazioni. Ma, comunque, anche volendo disattendere questa
possibile lettura, è
indubbio che la disposizione in esame incide direttamente sulla rete scolastica
e sul dimensionamento degli istituti, materia che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (sentenze n. 200 del 2009, n. 235 del 2010 e n. 92 del 2011), non
può ricondursi nell’ambito delle norme generali sull’istruzione e va, invece,
ricompresa nella competenza concorrente relativa all’istruzione; la sentenza n.
200 del 2009 rileva, in proposito, che «il dimensionamento della rete delle
istituzioni scolastiche» è «ambito che deve ritenersi di spettanza regionale».
Trattandosi di ambito di competenza concorrente, allo Stato spetta soltanto di
determinare i principi fondamentali, e la norma in questione non può esserne
espressione.
L’art.
19, comma 4, infatti, pur richiamandosi ad una finalità di «continuità
didattica nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione», in realtà non dispone sulla
didattica: esso, anche con questa sua prima previsione, realizza un
ridimensionamento della rete scolastica al fine di conseguire una riduzione
della spesa, come, del resto, enunciato dalla rubrica dell’art. 19
(«Razionalizzazione delle spese relative all’organizzazione scolastica.
Concorso degli enti locali alla stabilizzazione finanziaria»), dalla rubrica
del Capo III del decreto-legge («Contenimento e razionalizzazione delle spese
in materia di impiego pubblico, sanità, assistenza, previdenza, organizzazione
scolastica»), nonché dal titolo del medesimo («Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria»). L’aggregazione negli istituti comprensivi,
unitamente alla fissazione della soglia rigida di 1.000 alunni, conduce al
risultato di ridurre le strutture amministrative scolastiche ed il personale
operante all’interno delle medesime, con evidenti obiettivi di risparmio; ma, in tal modo, essa si risolve
in un intervento di dettaglio, da parte dello Stato, in una sfera che,
viceversa, deve rimanere affidata alla competenza regionale.
Il
carattere di intervento di dettaglio nel dimensionamento della rete scolastica
emerge, con ancor maggiore evidenza, dalla seconda parte del comma 4, relativa
alla soglia minima di alunni che gli istituti comprensivi devono raggiungere
per ottenere l’autonomia: in
tal modo lo Stato stabilisce alcune soglie rigide le quali escludono in toto le
Regioni da qualsiasi possibilità di decisione, imponendo un dato numerico
preciso sul quale le Regioni non possono in alcun modo interloquire. Va
ribadito ancora una volta, invece, come questa Corte ha chiarito nella sentenza
n. 200 del 2009, che «la preordinazione dei criteri volti all’attuazione del
dimensionamento» delle istituzioni scolastiche «ha una diretta e immediata incidenza su situazioni
strettamente legate alle varie realtà territoriali e alle connesse esigenze
socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere
apprezzate in sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo
aspetti che ridondino sulla qualità dell’offerta formativa e, dunque, sulla
didattica».
Occorre
rilevare, per completezza, che l’Avvocatura dello Stato ha invocato, nei propri
scritti difensivi, oltre ai titoli di competenza esclusiva ed ai principi fondamentali
in tema di competenza concorrente in materia di istruzione, anche quello di
competenza concorrente relativo al coordinamento della finanza pubblica.
La
Corte osserva, al riguardo, che, pur perseguendo la
disposizione in esame – come si è detto – evidenti finalità di contenimento
della spesa pubblica, resta pur sempre il fatto che anche tale titolo consente
allo Stato soltanto di dettare principi fondamentali, e non anche norme di
dettaglio; e, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
«norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali
possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a
porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un
transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa
corrente; in secondo
luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il
perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 326 del 2010).
Sulla base delle precedenti
considerazioni, va rilevato che la disposizione sottoposta a scrutinio non
risponde alle condizioni necessarie per costituire un principio fondamentale in
materia di coordinamento della finanza pubblica.
[…]
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 4, del d.l. n. 98 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011;
[…]
Nessun commento:
Posta un commento