venerdì 27 aprile 2012
[«Come vuole che faccia a non essere pessimista, a non essere deluso?»]
Senatore Parri[1],
posso chiederle qual è la cosa che nella vita l'ha più delusa?
Un
lungo silenzio, Parri si solleva gli occhiali sulla fronte nel gesto che gli è
consueto, i capelli bianchi gli spiovono sugli occhi, incurvato sul tavolo
sembra ancora più fragile e minuto. Poi risponde, a voce bassissima.
«Mah,
il popolo italiano, ecco.» Le parole si smorzano nella stanzetta all'ultimo
piano di Palazzo Giustiniani, l’estate romana fa da cornice morbida e sfatta al
pastone di voci che sale su da via della Dogana vecchia: dalla terrazza si vedono
Palazzo Madama, San Luigi dei Francesi, la chiesa barocca del Borromini. «È la
cosa che mi pesa di più. Man mano che mi sono fatto una conoscenza più profonda
del popolo italiano, ho toccato i suoi aspetti di scarsa educazione civile e
politica. Mi riferisco alla parte prevalente del paese, non a tutto il Paese.
Questo rafforzarsi costante del mio pessimismo, questa constatazione
progressiva della non rispondenza della maggior parte del popolo è una delusione
forte per uno che ha sempre ritenuto e ritiene di dover fare qualcosa per la
vita pubblica.»
Ferruccio Parri,
ottantadue anni, senatore a vita nel gruppo degli indipendenti di sinistra,
un'esistenza spesa per gli ideali della giustizia e della libertà. Combattente nella
grande guerra - tre medaglie d'argento -, redattore del «Corriere della Sera»
dal '22 al '25, dimissionario dal giornale con Luigi Albertini, organizzatore
con Carlo Rosselli, nel 1926, dell'espatrio clandestino di Filippo Turati, processato,
incarcerato, confinato dai fascisti, tra i fondatori del Partito d'Azione,
leader della Resistenza armata, vicecomandante («Maurizio») del Corpo Volontari
della Libertà, presidente del Consiglio dal 21 giugno al 9 dicembre 1945, Parri
è stato ed è, dalla Liberazione a oggi, un preciso punto di riferimento della
lotta democratica e antifascista, la coscienza critica del modo di far politica
nato dalla Resistenza.
Non è
stato il 1945 il momento della sua delusione più amara, quando fu defenestrato
dal governo? Lei era allora l'uomo del Nord, rappresentava il CLN, la violenta
rottura con lo stato fascista.
«È
stata una delusione personale, quella, forse un segno di mie qualità non buone.
Non avrei voluto essere defenestrato in modo così brusco perché covavo due
ambizioni, evidentemente infondate. Volevo essere io, non tanto come persona ma
perché dietro di me c'era la
Resistenza, ad aprire la Costituente e a
trattare con gli alleati. De Gasperi si è comportato con dignità, ma che cosa
sapeva della lotta di liberazione? Aveva visto crepare la gente attorno a lui,
sapeva che cosa era costata, sapeva come aveva inciso, sapeva di che cosa
poteva vantarsi buona parte d'Italia, allora?»
Era un'altra Italia.
«Sì, era proprio un'altra Italia. De Gasperi
non lo sapeva e non l'ha detto agli alleati; non poteva dirlo, d'altronde. Questa
è stata una delusione forte per me.»
E poi?
«E poi tante cose. Ma soprattutto una che
spiega il mio pessimismo. L'accusa che io faccio ai democristiani di allora:
"Voi DC, per governare il Paese, vi siete serviti della classe dirigente
fascista, con una scrematura epurazionale insufficiente, che non è penetrata in
profondità, ha tolto solo di mezzo qualcuno dei più violenti. Voi avete dato
espressione politica e partitica a questa gente. Li avete legittimati e
naturalmente ne avete sentito il peso, un peso conservatore e anche
reazionario, con una mentalità sagomata da vent'anni di fascismo, pericolosa
soprattutto fra i professori universitari, i magistrati, i burocrati".»
[…]
«La Resistenza è stata
largamente popolare, dove noi abbiamo operato. Ce ne siamo accorti dopo, che
nel Paese era stata un fatto minoritario. Ha inciso, ha lasciato forti tracce,
ma quelli che ci seguivano, i compagni, si possono chiamare il vero popolo
italiano? Questo avvenimento, che è stato certo il più epico della storia
italiana, da chi è stato capito, chi ne è stato informato come doveva? L'italiano
medio è rimasto in tale lontananza di spirito! L'Italia ufficiale, con le sue
fanfare, si è accorta della Resistenza dopo il 1960.»
[…]
Senatore Parri, lei ne ha viste tante, è stato
un protagonista di mezzo secolo di storia. Qual è il brandello della sua vita
che la rappresenta di più?
«Nessuno e tutto. La mia attività politica
inizia nel 1910-1912. Poi la grande guerra, io sono stato interventista di tipo
salveminiano. Sapesse qual è stata la prova dei miei coetanei, allora. Il 1915,
la tremenda guerra. Ho visto il sacrificio di una generazione, un sacrificio
che è stato anche sincero. Sono stati importantissimi per me, quegli anni. Il
filone della mia vita è attaccato là, là si dipartono le prove del '22, le
esperienze del '25-26, la fuga di Turati, principale merito di Carlo Rosselli,
un trascinatore formidabile, non ho conosciuto nessuno come lui. Poi le lotte
antifasciste del 1930, Giustizia e libertà, il processo al tribunale speciale. Ma
ogni fatto ha le sue radici là, nella grande guerra, anche se i momenti
culminanti della vita sono stati forse il '25-26 e di nuovo il '42-'43, con la
fondazione del Partito d'azione e la necessità di cominciare a organizzare la Resistenza armata che
vedevo ineluttabile. Un altro tempo fu nel '45. Ma è lo stesso filo che non si
è mai rotto, lo stesso filo che ha sempre contato per me fin dal 1915.
[…]
Caro
Parri, c'è una bella e commovente fotografia dell’aprile 1945, lei in testa ai
partigiani, a Milano, a San Babila, accanto a Longo e a Cadorna. Adesso a San
Babila ci sono le squadre fasciste, i muri della piazza sono pieni di svastiche,
di scritte provocatorie.
«Delusioni
gravi, amarezze grosse, che cosa vuole che le dica? Siamo arrivati al punto che
dopo la guerra e il sangue della Resistenza abbiamo Almirante e non solo Almirante,
Rauti, Ciccio Franco. Io ho un altro processo, adesso, per diffamazione, ancora
una volta, contro i fascisti. In un'interpellanza parlamentare mi si accusa
anche di aver tradito la
Resistenza, di aver accettato, quando fui preso dai tedeschi
nel gennaio 1945 e dovevo essere fucilato, la libertà per intervento di Allen
Dulles e dei servizi alleati in Svizzera.»
Lei è stato una delle prime vittime del linciaggio qualunquista
e neofascista dopo la
Liberazione.
«Sì, ho dovuto querelare Guglielmo Giannini,
testimoniare al processo Graziani, sapesse quante minacce di morte mi costò. Ne
ricevo anche adesso, continuamente. I fascisti ce l’hanno con me in una maniera
accanita e inesplicabile. Ho avuto tanti processi gravi, difficili, penosi,
faticosi. Sapesse cosa vuol dire sentirsi dare del traditore da questi nazisti, da
questi traditori, una cosa desolante, come vuole che faccia a non essere pessimista, a non
essere deluso?»
(«II Giorno», 1 luglio 1972)
[Corrado Stajano, Maestri e infedeli. Ritratti del Novecento, Garzanti, Milano 2008,
pp. 63-68]
[1] Uomo politico e giornalista (1890-1981). Presidente
del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia fu presidente del Consiglio
dal giugno al dicembre del 1945.
L'intervista, di Corrado Stajano, faceva parte della serie del «Giorno» dal titolo «I grandi delusi».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento