lunedì 9 aprile 2012

“Ha definito matti da ricoverare, dissipatori di denaro pubblico, gente sprovveduta che non conosce la città i componenti di questa Giunta” *




«l’idea dell’umanità al primo posto, voglio mostrare che non si dà alcuna idea dello stato, perché lo stato è qualcosa di meccanico, così come non si dà l’idea di una macchina… Dobbiamo dunque oltrepassare anche lo stato! Ogni stato, infatti, non può non trattare uomini liberi come rotelle di un meccanismo; ma non deve farlo; perciò deve finire.»

G.W.F. Hegel (?), F.W.J. Schelling (?), F. Hölderlin (?), Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco (1796 o 1797).



Sembrerebbe incredibile, eppur è vero, lo dimostra una sentenza del TAR di Milano [v. qui]: per ottenere dal Comune di Limbiate la copia conforme all’originale di una parte del verbale del consiglio comunale del 23 novembre 2011, sono stato costretto a ricorrere al tribunale amministrativo, e solo il sabato precedente l’udienza camerale di giovedì 29 marzo 2012 il Comune si è deciso a depositare nella segreteria del tribunale il documento da me richiesto il 24 novembre 2011!

Cessata la materia del contendere con il deposito del documento, il TAR non aveva più l’obbligo di pronunciarsi sul merito della controversia, bensì solo sulla questione delle spese. Tuttavia, i giudici hanno voluto esprimere comunque un giudizio sull’intera vicenda, seppure in modo estremamente sintetico ed attenendosi alla forma alquanto asettica tipica delle sentenze del tribunale amministrativo, ma in questa occasione il significato delle frasi usate è comunque bruciante, come la brace sotto la cenere. Il TAR, infatti, non solo ha rigettato la pretesa della difesa del Comune (che si basava su una nota della responsabile dell’Ufficio legale e contratti, secondo la quale la copia del documento da me richiesto era stata preparata, ma io non mi sono mai presentato per ritirarla), scrivendo in sentenza che

il deposito in giudizio della documentazione per cui è causa, dopo la notificazione del ricorso introduttivo” [fatta il 23 gennaio 2012, ultimo giorno utile; n.d.r.] e solo nell’occasione dell’”adempimento di una distinta e successiva istanza, dimostra ipso facto la fallacia del diniego iniziale” [decorso dal 23 dicembre 2011 nella forma del silenzio rigetto; sott. mie; n.d.r.];

il TAR ha anche voluto sottilmente ridicolizzare la debolezza della linea di difesa del Comune (costruita sulla nota di cui sopra, nella quale si sosteneva che l’accoglimento dell’istanza mi era stato comunicato telefonicamente, che vi era una discordanza tra i fatti “realmente” [a suo dire] accaduti e la ricostruzione che ne veniva fatta nel mio ricorso e che ciò poteva essere testimoniato [in un giudizio amministrativo!] dalla segretaria comunale e dalla stessa responsabile dell’Ufficio legale e contratti [persone con le quali non ho mai avuto alcun contatto, nemmeno telefonico!]), scrivendo abbastanza seccamente che

l’articolata prova testimoniale, finalizzata a dimostrare l’accoglimento in via telefonica, non sarebbe stata comunque idonea a superare la contrapposta ricostruzione dei fatti dedotta dal ricorrente, quest’ultima forte della mancata formalizzazione dell’accoglimento medesimo.

Per comprendere esattamente il tenore di questo giudizio si deve considerare, innanzi tutto, che l’articolo 12 del regolamento comunale per l’accesso agli atti obbliga l’amministrazione comunale, in caso di accoglimento dell’istanza, a comunicare in forma scritta la data entro la quale l’istante può ritirare le copie dei documenti richiesti, gli orari dell’ufficio presso il quale deve recarsi, il nominativo del responsabile del procedimento ovvero del funzionario cui l’interessato può rivolgersi, l’importo da corrispondere per la riproduzione delle copie; e che, inoltre, la giurisprudenza ha affermato più volte che

il diniego di accesso può essere opposto dall’Amministrazione soltanto con provvedimento motivato in relazione alla salvaguardia degli interessi di cui all'art. 24 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e con riferimento all’art. 8 del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352; è, pertanto, da considerarsi illegittimo sia un diniego immotivato, e comunque opposto alla richiesta di accesso nei casi non consentiti, sia l'omissione di ogni provvedimento sulla richiesta, ovvero l’elusione della richiesta di accesso con risposte non esaurienti. (TAR Catania 10 novembre 2009, n. 1847) [sott. mia; n.d.r.]

Il Comune, invece, ricevuta la mia richiesta di accesso, aveva tentato proprio la strada dell’elusione con risposte non esaurienti, formulate, oltretutto, solo verbalmente ed in modo oltremodo sgarbato da un’impiegata supponente che, per esempio, a proposito di accesso agli atti, ha la pretesa di imporre obblighi ai cittadini richiedenti, pur dichiarando del tutto serenamente di non sapere da quali norme questi obblighi sarebbero stabiliti! Costei, quindi, pagata con soldi pubblici per servire i cittadini, pur essendo addetta alla gestione delle richieste di accesso agli atti non si perita di esibire la sua ignoranza del relativo regolamento comunale! Lo ha dimostrato anche in altre occasioni, per esempio cercando, dapprima, di ostacolare con diverse scuse la visione di atti di due pagine che sarebbero dovuti essere esposti all’albo pretorio elettronico, ma non lo erano, e poi pretendendo di imporre abusivamente una richiesta formale (cioè scritta, protocollata e vistata dal segretario comunale) per rilasciare una copia fotostatica di quelle due pagine! Il regolamento comunale, art. 19, comma 2, ultima frase, dice, invece, che in questi casi il rilascio delle copie “avviene in tempo reale” dopo una richiesta informale, ma questa poveretta si concede il lusso di sbattere in faccia al cittadino che prova ad obiettare che si tratta di fogli che dovrebbero essere esposti in forma elettronica (quindi liberamente riproducibili da chiunque con un PC collegato all’internet) la seguente boriosissima risposta: “Questa amministrazione fa così!”.

Comportamenti simili, di dipendenti comunali che noi cittadini paghiamo affinché forniscano un servizio pubbblico, in quella specie di Panopticon benthamiano che è il Municipio di Limbiate non sono affatto rari: potrei raccontare altri episodi, avvenuti in altri uffici, durante i quali ho sperimentato, anche in occasione di un lutto familiare, il disservizio dell’amministrazione comunale e l’impreparazione e le sgarberie di diversi impiegati. Altrettanto potrebbero fare molti altri cittadini.

Ma, tornando alla vicenda dell’accesso agli atti, come mai l’amministrazione comunale ha scelto di tentare di eludere la mia richiesta?

Nel consiglio comunale del 23 novembre 2011, la vice sindachessa Angela Ripamonti aveva reiterato la diffamazione, già più volte diffusa attraverso i giornali locali, degli insegnanti delle scuole limbiatesi, che a suo dire avrebbero esercitato pressioni psicologiche sugli alunni affinché convincessero i loro genitori a firmare la petizione del Comitato Scuola Città contro la decisione della Giunta comunale di cedere due scuole al Comune di Solaro e raggruppare le altre scuole limbiatesi in due enormi Istituti Comprensivi. A me, presente nel pubblico e indicato con il cognome (fatto scorrettissimo ed inaudito in un Consiglio Comunale!), la vice sindachessa attribuiva, insieme a critiche politiche (del tutto legittime!) che effettivamente avevo rivolto alla sua giunta, anche frasi offensive che non avevo mai pronunciato o che lei volutamente distorceva, dando prova, tra l’altro, di una buona dose di ignoranza linguistica e letteraria: “pizzino”, registrato già nella notte dei tempi e reperibile in decine di opere letterarie ambientate in Sicilia e pubblicate ben prima dell’arresto di Bernardo Provenzano, significa “bigliettino", "pezzettino di carta”, e non “messaggio mafioso”. Come ho sostenuto nel ricorso al TAR, le espressioni usate dalla vice sindachessa erano lesive del mio onore e del mio decoro, e tendevano a svilire l’impegno che avevo profuso sulla questione degli I.C., non solo perché erano pronunciate in un contesto nel quale, senza che mi fosse data la possibilità di intervenire, le stesse hanno inciso negativamente sulla mia persona, ma anche perché si voleva far ricadere su di me la causa della chiusura di ogni dialogo tra il Comune e il Comitato Scuola Città, con conseguente discredito agli occhi degli insegnanti, dei genitori e dei cittadini aderenti al Comitato, oltre che agli occhi dei concittadini presenti.

(Per comprendere bene l'obiettivo che perseguiva la vice sindachessa, non va tralasciato di ricordare che un analogo trattamento costei ha riservato al preside delle scuole medie Fernando Panico, indicato come “un altro protagonista di questa lotta”, al fine di screditarlo, insieme a tutto il movimento contro le scelte della giunta comunale sugli I.C., mediante il richiamo di un titolo di giornale locale che avrebbe dimostrato che Panico era stato trasferito da Cislago a Limbiate per “incompatibilità ambientale” con quell’amministrazione comunale).

Ecco perché ho chiesto una copia, autenticata come conforme alla registrazione magnetofonica originale, del verbale di quel consiglio comunale, dichiarando esplicitamente il “fine di adire le vie legali a tutela della (mia) onorabilità”. Avevo tutto il diritto di ottenere quella copia: la giurisprudenza afferma, infatti, che

«secondo quanto stabilito dall’art. 22 della L. n. 241/1990, come novellato dall’art. 15 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso e va garantito a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti nell’ipotesi in cui la conoscenza dei documenti amministrativi fosse necessaria al singolo per curare e difendere i suoi interessi”.

Il medesimo art. 22, al comma 7, dispone poi che “ Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici…”

Anche prima della riforma introdotta dalla L. n. 15 del 2005, il diritto di accesso era garantito, per espressa previsione di legge, a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti nell’ipotesi in cui la conoscenza dei documenti amministrativi fosse necessaria al singolo per curare e difendere i suoi interessi, e senza che tale interesse potesse, restrittivamente, farsi coincidere con quello all’impugnazione (Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 1995, n. 158; id. sez. IV, 14 gennaio 1999, n. 32)». (TAR Catania 10 novembre 2009, n. 1847) [sott. mie; n.d.r.]

Il mio diritto di ottenere questa copia non è stato contestato in alcun modo dal Comune, perché indubitabilmente avevo “un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale chiedevo l’accesso”. Ma è chiaro che la vice sindachessa preferirebbe che io non potessi rivolgermi ad un tribunale per reclamare contro le sue affermazioni, che potrei attestare con un verbale autenticato. Da qui, la scelta di eludere la mia richiesta omettendo di darmi risposta nei modi previsti dall’art. 12 del regolamento comunale per l’accesso agli atti.

Questa inerzia voluta tendeva appunto a creare il silenzio rigetto, contro il quale è possibile un ricorso al TAR (entro i successivi trenta giorni), ma per un cittadino, ovviamente, è alquanto oneroso, mentre non è affatto onerosa la resistenza temeraria dell’amministrazione comunale, che può spendere il denaro pubblico. Ma, sfumato l’obiettivo del silenzio rigetto, perché questa volta un cittadino ha deciso di non subire un'ulteriore soperchieria (sobbarcandosi una spesa non indifferente), la Giunta Comunale di Limbiate, il Segretario Generale e la Dirigente dell’Ufficio legale e contratti, hanno inventato un paio di mistificazioni (era “necessario provvedere alla costituzione in giudizio a tutela della correttezza dell’operato degli uffici verificata ampiamente da questo organo; era stata “riscontrat(a) una sostanziale difformità sussistente tra quanto effettivamente avvenuto a seguito della richiesta del sig. Ricciardi di accesso agli atti e quanto asserito nell’atto del ricorso” [il TAR, come abbiamo visto, ha ridicolizzato entrambe queste “tesi”], e, dopo aver minacciato chissà quale altra azione legale ai miei danni (“in considerazione soprattutto della strumentalità dell’azione messa in campo dal sig. Ricciardi, … ci si riserva ogni altra azione a difesa e dimostrazione della correttezza dell’azione amministrativa di questo Ente”) [voglio vedere, ora, dopo questa sentenza del TAR, quale altra azione tenteranno di farmi subire!], hanno deliberato e determinato, potendo spendere il denaro pubblico, l’incarico ad un avvocato per tentare la difesa di un'inerzia amministrativa voluta ma indifendibile, originata, in realtà, dai motivi che ho indicato sopra. La cifra “determinata” non è affatto modica, considerato il tipo di causa: 2.760,20 €; sommati al rimborso delle spese legali che mi dovranno versare, 1.735 €, fa un totale di 4.495 €, per un’opposizione in giudizio che non vedo come si possa non definire temeraria!

Ovviamente, su questa dissipazione di denaro pubblico farò un esposto alla Corte dei Conti.


* Parole della vice sindachessa angela Ripamonti nel consiglio comunale del 23 novembre 2011, riferendosi a me.


Nessun commento: