La signora in questione, inoltre, tenta di dipingermi come un folle che, per non pagare poche decine di euro per la marca da bollo e l’imposta di segreteria, ha preferito sostenere le spese di una vertenza legale. La signora non può avere idea di quanto, con questa panzana, abbia fatto sghignazzare me e le molte persone che qui a Limbiate mi conoscono, perché, ripeto, ci vivo da cinquantaquattro anni, mentre lei è conosciuta da pochi cittadini che seguono i consigli comunali solo per l’orrenda boria e l’insolente postura con le quali si rivolge ai consiglieri. Ma, pur sghignazzando, non posso trascurare di ricordarle, ancora una volta, il piccolo particolare che il TAR ha riconosciuto che IO avevo ragione e il Comune invece aveva torto; e lo ha condannato a risarcirmi tutte le spese richiamando il principio della soccombenza virtuale! Questa è la ragione vera per la quale il Comune (scilicet: la signora Leuzzi) non vuole fare ricorso in appello per tentare di far cancellare la condanna a risarcirmi le spese: perché sa bene che una sentenza come quella che mi ha riconosciuto il risarcimento delle spese, il Consiglio di Stato non la riformerebbe mai! Altro che preocupazione di non spendere del denaro pubblico! Questa preoccupazione la signora Leuzzi non l’ha avuta prima, quando, potendo contare sul denaro pubblico che lei, nei fatti, ha il privilegio di poter usare contro i cittadini, non si è preoccupata di evitare di causare al Comune un danno erariale con la sua inadempienza, ed ha portato la sua boria burocratica fino alla stolidezza!
mercoledì 18 aprile 2012
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”
Per fare la segretaria nel Comune
di Limbiate, la signora dottoressa Maria Leuzzi percepisce dai cittadini
limbiatesi, come assai opportunamente ha ricordato Michelangelo Campisi (v. Ricciardi! Chi
era costui? ), uno stipendio di altissimo livello: 108.289,25 €,
oltre la "retribuzione di risultato" che non sappiamo a quanto ammonti
[v. qui].
Tuttavia, la signora in questione non dimostra propriamente l’allure
del funzionario di altissimo livello. E nemmeno sembra avere nel suo
bagaglio culturale qualche basilare elemento di… paremiologia.
Inoltre, dimostra
di non essere dotata di un seppur minimo senso del ridicolo,
altrimenti si asterrebbe dal diffondere, a proposito della vicenda che ha visto
il Comune soccombere nel giudizio che sono stato costretto a chiedere al TAR
Lombardia [v. qui],
le ricostruzioni non veritiere che sono già state messe in ridicolo dai giudici
amministrativi.
Il TAR ha condannato il Comune,
ma in realtà ha condannato il comportamento della signora in questione, che,
secondo il regolamento, è Responsabile del procedimento di accesso agli atti.
La signora, però, non vuole prendere atto che la controversia, nonostante la cessazione della materia del
contendere, si è conclusa con la secca
condanna del Comune alle spese legali. Certo, nella vicenda, la signora non
ha fatto una figura brillante, ma, giusto il proverbio, dovrebbe dolersene solo
con se stessa (e, forse, con i suoi collaboratori, ma presumibilmente costoro
hanno seguito le sue disposizioni) e, se volesse organizzare il suo ufficio in
modo da non incorrere più in altri… incidenti dello stesso tipo, farebbe bene a
fare con i suoi collaboratori un ripasso, non solo del Regolamento comunale per
l’accesso agli atti, ma anche del D.M. 28-11-2000,
Codice di comportamento dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni, prestando particolare attenzione all’articolo
2, commi 5 e 6, e all’articolo 11, commi 1 e 4. [1]
La signora in questione, invece insiste et signe, come si direbbe in Francia, nel raccontare le frottole che sono state integralmente
rigettate dal Tribunale Amministrativo Regionale, ma che lei ripete, con
qualche variante, su tutti i giornali locali. A dire il vero, con le sue dichiarazioni
la signora in questione più che altro mi fa ridere, e non sono certo il solo,
poiché in questi giorni non riesco più a fare una passeggiata senza che qualche
conoscente mi fermi per rivolgermi battute sul fatto che, per qualche
funzionario del comune nel quale abito da cinquantaquattro anni, risulto a un
dipresso “un clandestino”, o altre frasi similmente scherzose. Ma la signora in
questione ormai sta facendo una vera campagna denigratoria, con la quale tenta
di accreditare una serie di "particolari" che dimostrerebbero la correttezza del
comportamento del suo ufficio, e addirittura una particolare attenzione e
benevolenza nei miei riguardi!
La signora in questione pretende di sostenere che avrei fatto una richiesta senza
lasciare neanche un recapito, e che avrei chiesto un verbale “molto copioso”, e visto che lo scopo era quello di una
mia tutela legale, per evitarmi una spesa gravosa, vale a dire pagare una marca
da bollo e un’imposta di segreteria, mi avrebbero chiesto di precisare a quale
parte del verbale (che non avevo ancora visto!) fossi interessato. La signora dice il falso, perché nella mia istanza di accesso agli atti, come ha potuto verificare il TAR, avevo ben indicato
il mio recapito e precisato a quale (limitatissima) parte del verbale fossi
interessato. E se non avessi indicato né il mio recapito né precisato quale parte del verbale effettivamente mi interessava, sarebbe stato compito del suo ufficio (prescritto dal regolamento) scrivermi al mio indirizzo (registrato all'anagrafe!), sospendendo in questo modo il procedimento, per chiedermi le indicazioni che fossero state necessarie per evadere la pratica. Ciò non è stato fatto! E ora la signora in questione sui giornali omette di ricordare l'omissione di questo "particolare importante" ed ha la faccia di bronzo di accusarmi di non aver sufficientemente informato il TAR. Esilarante!
Per farsi un'idea di come si è svolta la vicenda prima della notifica del mio ricorso,
il TAR ha avuto a disposizione solo le precise indicazioni della mia istanza, che è un atto amministrativo; la
signora Leuzzi e la Responsabile
dell’Ufficio legale del Comune pretendevano, invece, di contrapporre solo alcune
annotazioni manuali sulla mia
istanza (che si possono apporre in
qualsiasi momento) e il contenuto di un paio di telefonate fatte non da loro, ma che avrebbero voluto provare con
la loro testimonianza! Le telefonate non
sono atti amministrativi. La ragione per cui nel mio ricorso io ho omesso
di raccontare il contenuto delle telefonate, è che il TAR giudica solo su atti amministrativi. Sembra che la
dottoressa Leuzzi e la responsabile dell’Ufficio legale del Comune, iscritta all’ordine degli avvocati, non
lo sapppiano. Tuttavia, dopo il deposito della memoria difensiva del Comune,
sono stato costretto a contrapporre la
mia versione sulle telefonate. Evidentemente, per i giudici amministrativi è risultata più credibile la mia versione.
La signora in questione, inoltre, tenta di dipingermi come un folle che, per non pagare poche decine di euro per la marca da bollo e l’imposta di segreteria, ha preferito sostenere le spese di una vertenza legale. La signora non può avere idea di quanto, con questa panzana, abbia fatto sghignazzare me e le molte persone che qui a Limbiate mi conoscono, perché, ripeto, ci vivo da cinquantaquattro anni, mentre lei è conosciuta da pochi cittadini che seguono i consigli comunali solo per l’orrenda boria e l’insolente postura con le quali si rivolge ai consiglieri. Ma, pur sghignazzando, non posso trascurare di ricordarle, ancora una volta, il piccolo particolare che il TAR ha riconosciuto che IO avevo ragione e il Comune invece aveva torto; e lo ha condannato a risarcirmi tutte le spese richiamando il principio della soccombenza virtuale! Questa è la ragione vera per la quale il Comune (scilicet: la signora Leuzzi) non vuole fare ricorso in appello per tentare di far cancellare la condanna a risarcirmi le spese: perché sa bene che una sentenza come quella che mi ha riconosciuto il risarcimento delle spese, il Consiglio di Stato non la riformerebbe mai! Altro che preocupazione di non spendere del denaro pubblico! Questa preoccupazione la signora Leuzzi non l’ha avuta prima, quando, potendo contare sul denaro pubblico che lei, nei fatti, ha il privilegio di poter usare contro i cittadini, non si è preoccupata di evitare di causare al Comune un danno erariale con la sua inadempienza, ed ha portato la sua boria burocratica fino alla stolidezza!
La signora in questione, inoltre, tenta di dipingermi come un folle che, per non pagare poche decine di euro per la marca da bollo e l’imposta di segreteria, ha preferito sostenere le spese di una vertenza legale. La signora non può avere idea di quanto, con questa panzana, abbia fatto sghignazzare me e le molte persone che qui a Limbiate mi conoscono, perché, ripeto, ci vivo da cinquantaquattro anni, mentre lei è conosciuta da pochi cittadini che seguono i consigli comunali solo per l’orrenda boria e l’insolente postura con le quali si rivolge ai consiglieri. Ma, pur sghignazzando, non posso trascurare di ricordarle, ancora una volta, il piccolo particolare che il TAR ha riconosciuto che IO avevo ragione e il Comune invece aveva torto; e lo ha condannato a risarcirmi tutte le spese richiamando il principio della soccombenza virtuale! Questa è la ragione vera per la quale il Comune (scilicet: la signora Leuzzi) non vuole fare ricorso in appello per tentare di far cancellare la condanna a risarcirmi le spese: perché sa bene che una sentenza come quella che mi ha riconosciuto il risarcimento delle spese, il Consiglio di Stato non la riformerebbe mai! Altro che preocupazione di non spendere del denaro pubblico! Questa preoccupazione la signora Leuzzi non l’ha avuta prima, quando, potendo contare sul denaro pubblico che lei, nei fatti, ha il privilegio di poter usare contro i cittadini, non si è preoccupata di evitare di causare al Comune un danno erariale con la sua inadempienza, ed ha portato la sua boria burocratica fino alla stolidezza!
Infine, il tentativo di risoluzione
extragiudiziale della questione, millantato come “bonario” dalla signora, è
stato questo: solo dopo aver ricevuto la notifica del ricorso tramite l’ufficiale giudiziario, lei mi
ha fatto comunicare per iscritto (ma solo come inciso di una risposta ad un’altra
diversa istanza) che l’istanza per
ottenere il verbale era già stata archiviata; poi ha proposto di
consegnarmi il documento, ma alla condizione che io non depositassi al TAR il mio ricorso, per
il quale ovviamente avevo già dovuto pagare
uno studio legale, senza riconoscermi, naturalmente, alcun indennizzo; e,
dopo il mio rifiuto, ancora pretendeva di convocarmi insieme al mio avvocato (che ovviamente avrei dovuto compensare ulteriormente per la trasferta
da Milano!) ad una riunione in
Municipio, dove lei avrebbe tentato, suppongo, di convincermi con la forza del pensiero che io avevo torto marcio! Come ho fatto io, chiunque altro
avrebbe rifiutato.
Per il momento, sul modo in cui
la signora Leuzzi fa la segretaria del nostro Comune, compito
per il quale noi le paghiamo uno stipendio annuo di più di 108.289,25
€, non aggiungo altro, ma ve ne sarebbe. Mi riferisco
alla vicenda della sentenza del TAR sulla nomina di Giuseppe Bova a consigliere
comunale, sulla quale tornerò da qui a qualche giorno. È ormai imminente, infatti,
la pronuncia del Consiglio di Stato sul ricorso che comunque sono riuscito a
presentare, in barba alla signora in questione, che deve essere affetta da un’accentuata
sindrome masochistica, visto che, come
segretaria comunale, anche in questa vicenda ha voluto (o dovuto?) fare una figura non proprio brillante.
Art. 2. Princìpi.
5. Il comportamento del
dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione
tra i cittadini e l'amministrazione. Nei rapporti con i cittadini, egli
dimostra la massima disponibilità e non ne ostacola l'esercizio dei diritti.
Favorisce l'accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e, nei
limiti in cui ciò non sia vietato, fornisce tutte le notizie e informazioni
necessarie per valutare le decisioni dell'amministrazione e i comportamenti dei
dipendenti.
6. Il dipendente limita gli adempimenti a carico dei cittadini e
delle imprese a quelli indispensabili e applica ogni possibile misura di
semplificazione dell'attività amministrativa, agevolando, comunque, lo
svolgimento, da parte dei cittadini, delle attività loro consentite, o comunque
non contrarie alle norme giuridiche in vigore.
Art 11. Rapporti con il pubblico.
1. Il dipendente in
diretto rapporto con il pubblico presta adeguata attenzione alle domande di
ciascuno e fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al
comportamento proprio e di altri dipendenti dell'ufficio. (…)
4. Nella redazione dei
testi scritti e in tutte le altre comunicazioni il dipendente adotta un
linguaggio chiaro e comprensibile.
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