giovedì 26 aprile 2012

«…impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, con la dolente immagine dei giovani morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati…»









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Lo studio di Nuto [Revelli]. Ne ho visti tanti di studi di scrittori. Consimili. Ma quel suo studio di Cuneo dove ho passato ore in momenti diversi della vita mi è rimasto nella mente non tanto per le carte accumulate, per le cassette ordinate, i ruolini della sua banda partigiana, le tracce e gli strumenti di un'esistenza di lavoro. Per due immagini appese alla parete sopra il divano, piuttosto. Due fotografie.

La prima - una scena risorgimentale - rappresenta tre partigiani della III Divisione Langhe Giustizia e Libertà condotti a morte dai fascisti. È il 9 marzo 1945. Armando Meniciati e i fratelli Cirelli camminano con alta dignità, per una strada in salita lungo la facciata di una casa. Le mani incatenate dietro la schiena. La testa levata, uno dei tre guarda curioso il fotografo. Un fascista con l'elmetto e il mitra imbracciato sembra più agitato di loro. Armando Meniciati ha quasi ventun anni, è nato a Padova, è un operaio. Giuliano Cirelli compirà ventun anni tra un mese, è nato a Copparo, in provincia di Ferrara, è un operaio. Suo fratello Waldem, barbiere, ha quattro anni più di lui. Vanno alla fucilazione. A Dogliani, località Pianceretto.

La seconda è una fotografia di Ferruccio Parri, col cappello in testa, gli occhiali sulla fronte. Quel che di lui ha scritto, nell'Orologio, Carlo Levi lega tutto, la storia di Nuto, la sua odissea, la sua memoria, quella dei compagni inquieti e ribelli della sua vita: «Aveva il viso sofferente, come se un dolore continuo, il dolore degli altri che non può aver fine, gli volgesse in basso gli angoli della bocca, gli spegnesse lo sguardo, e gli avesse, fin da fanciullo, imbiancato i lunghi capelli. Lo guardavo diritto [...] e mi pareva che egli fosse impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, con la dolente immagine dei giovani morti, dei fucilati, degli impiccati, dei torturati, con le lacrime e i freddi sudori dei feriti, dei rantolanti, degli angosciati, dei malati, degli orfani, nelle città e sulle montagne». [1]


[Corrado Stajano, Il nuovo parabellum, in AA.VV., Nuto Revelli, percorsi di memoria, fascicolo speciale per gli ottant’anni di Nuto Revelli de «Il presente e la storia», rivista dell’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia, giugno 1999, pp. 212-213]

La fotografia è ripresa da Dante Livio Bianco, Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese, in Guerra partigiana. Raccolta di scritti a cura di Giorgio Agosti e Franco Venturi, Einaudi, Torino 1954.


 
[1] Il passo è tratto dal VII capitolo.  V. la succinta scheda de L'Orologio sul sito web della casa editrice Einaudi: "Pubblicato nel 1950, L'Orologio è uno dei migliori esempi di narrativa politica del dopoguerra, un'appassionata testimonianza sullo sfaldamento delle forze politiche antifasciste. Un orologio che si rompe dà l'avvio alla storia di tre giorni e tre notti nel dicembre del '45, che cambia il destino dell'Italia. La fine del governo resistenziale di Ferruccio Parri, l'inizio della crisi dei partiti liberale e azionista, l'avvento al potere di Alcide De Gasperi e della Democrazia cristiana, e soprattutto Roma e l'Italia di allora: un complesso intreccio di avvenimenti politici e di condizioni umane raccontano con una tensione e un pathos che coinvolgono il lettore e rivelano la temperatura di una stagione traboccante di vitalità e nello stesso tempo vulnerabile di fronte a tutte le illusioni".

Nel saggio-narrazione di Leonardo Sacco, L’Orologio della Repubblica. Carlo Levi e il caso Italia (seconda edizione riveduta, Basilicata editrice, Matera 1999) vi è un quadro dettagliato del contesto storico, politico e culturale del romanzo di Carlo Levi, con molte indicazioni per decifrare gli pseudonimi dei personaggi e precise ricostruzioni delle vicende che nel volgere di pochi mesi portarono all’annullamento della spinta per una radicale trasformazione dello Stato, della società e del modo di fare politica, che aveva animato la Resistenza nel Nord d’Italia.

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