sabato 23 febbraio 2013

Mussolini e mussolinismo





Nessuno si nasconda le naturali preoccupazioni per la rinuncia alle più elementari dignità. Ché l’immaturo spirito del fascismo sta proprio nel non sapere destare neanche il rispetto per il mestiere. Il ricorrere ai miti invece che all’esperienza, il consolidare antropomorficamente le realtà complesse della contingenza, indica senza il pudore dell’infingimento il suo semplicismo.
Con la stereotipia di una disciplina si vorrebbero riparare le deficienze ma non si osa far nascere l’ordine dal libero disordine. Lo spirito di avventura non riesce a scoprire la tradizione e i lamenti sulle degenerazioni morali non intendono che fuori della lotta politica manca il criterio del rinnovamento etico.
Mussolini è stato l’eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione al riposo. La sua figura di ottimista sicuro di sé, le astuzie oratorie, l’amore per il successo e per le solennità domenicali, la virtù della mistificazione e dell’enfasi riescono schiettamente popolari tra gli italiani.
È difficile immaginarlo altrimenti che sotto le spoglie di un audace condottiero di compagnie di ventura; o come il capo primitivo di una selvaggia banda posseduta da un dogmatico terrore che non consenta riflessioni. La sua vittoria, tra il disorientamento degli altri, si spiega esaurientemente pensando alle sue qualità risolutive di tattico.
Gli manca il senso squisitamente moderno dell’ironia, non comprende la storia se non per miti, gli sfugge la finezza critica dell’attività creativa che è dote centrale del grande politico. La sua professione di relativismo non riuscì neppure a sembrare un’agile mistificazione: troppo dominante vi avvertì ognuno la sconcertata ricerca ingenua di un riparo che eludesse l’infantile incertezza e coprisse le malefatte. Coerenza e contraddizioni sono in Mussolini due diversi aspetti di una mentalità politica che non può liberarsi dai vecchi schemi di un moralismo troppo disprezzato per potere essere veramente sostituito. Egli rimane perciò diviso e indeciso tra momenti di una coerenza troppo dogmatica per non riuscire goffa e sfoghi di esuberanza anarchicamente ingiustificata. Ha bisogno di un mondo in cui al condottiero non si chieda di essere un politico. Lottare per un’idea, elaborare nella lotta un pensiero, è un lusso e una seccatura: Mussolini è abbastanza intelligente per piegarvisi, ma gli basterebbe la lotta pura e semplice senza i tormenti  della critica moderna.

[..]

Avrebbe potuto riuscire il duce di una Compagnia di Gesù, l’arma di un pontefice persecutore di eretici, con una sola idea in testa da ripetere e da far entrare «a suon di randellate» nei crani «refrattari». Gli articoli del «Popolo d’Italia» erano così: ripetizioni di un ordine, dogmi e spesso stereotipie di un monotono disegno, così sono i comunicati e i discorsi; letterariamente hanno qualcosa di militare e di catechismo: si deduca l’opera del boia e dello squadrista dalle verità assolute, trascendenti, e cristallizzate. Infatti i tre momenti centrali della vita di Mussolini hanno coinciso con tre momenti risolutivi, entusiastici, dogmatici della storia italiana: il messianismo socialista, l’apocalissi antitedesca, la palingenesi fascista: chi vorrà essere così ottuso da ricercare nel condottiero di questi episodi uno sviluppo, e delle ragioni ideali di progresso? Perché vedere un problema politico dove si tratta di un fenomeno di psicologia del successo e di una nuova arte economica delle idee?

[…]

Le debolezze intrinseche di questo temperamento si scorsero quando il condottiero dovette farsi amministratore e diplomatico. In un consesso internazionale di impenetrabili l’inferiorità di Mussolini, attore più che artista, tribuno più che statista, è palese perché egli non sa che specchiarsi nella propria enfasi. La sua eloquenza, la forza del polemista, non sanno battersi sul terreno delle ironie e dei sottintesi, restano smontate appena dal comizio e dalla sala di scherma si passi all’arguta conversazione e alla snervante schermaglia insidiosa delle parole. Mussolini è a suo agio soltanto quando parla al buon popolo e  ne ascolta i desideri e lo rimbrotta con fiero cipiglio per le sue monellerie. L’ordinaria amministrazione con la sua monotonia è un altro fiero nemico del presidente; se egli non avesse un piacevole divertimento nelle trovate sportive che gli riconciliano la popolarità, il compito quotidiano sarebbe snervante e senza risorse.

[…]

Tuttavia restano notevoli le attitudini di Mussolini a conservare il potere tra un popolo entusiasta e desideroso di svaghi, che egli conosce benissimo e cui appresta quotidiane sorprese… Messa da parte ogni preoccupazione di politica estera egli si è dedicato inesorabilmente a un’abile tattica reazionaria di liquidazione di tutti i partiti e di tutti gli organismi politici e, aiutato dalla crisi economica, sembra voler ridurre alla sua ragione tutti gli avversari. Anche in questo esperimento il trasformismo giolittiano è stato ripreso con più decisi espedienti teatrali e le doti del politico si riducono tutte ad astuzie di manovra e a calcoli tattici, indici di un’arte affatto umanistica e militare. Il mussolinismo è dunque un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l’abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza. La lotta politica in regime mussoliniano non è facile: non è facile resistergli perché egli non resta fermo a nessuna coerenza, a nessuna posizione, a nessuna distinzione precisa ma è pronto sempre a tutti i trasformismi. Dovrà ineluttabilmente l’Italia rimanere condannata dalla sua inferiorità economica a questi costumi anacronistici e cortigiani? O le forze della nuova iniziativa popolare e di ceti dirigenti incompromessi riusciranno a dare il tono alla nostra storia futura? A questo punto è evidente che una nostra profezia riuscirebbe troppo interessata e per quel che non nasce dal contesto spetta piuttosto all’iniziativa del lettore.


Piero Gobetti, La Rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia (1924), Einaudi, Torino, 1966, pp. 188-191.

venerdì 22 febbraio 2013

Il popolo delle scimmie


     […]



Il processo di sfacelo della piccola borghesia si inizia nell’ultimo decennio del secolo scorso. La Piccola borghesia perde ogni importanza e scade da ogni funzione vitale nel campo della produzione, con lo sviluppo della grande industria e del capitale finanziario: essa diventa pura classe politica e si specializza nel «cretinismo parlamentare». Questo fenomeno, che occupa una gran parte della storia contemporanea italiana, prende diversi nomi nelle sue varie fasi: si chiama originalmente «avvento della sinistra al potere», diventa giolittismo, è lotta contro i tentativi kaiseristici di Umberto I, dilaga nel riformismo socialista. La piccola borghesia si incrosta nell’istituto parlamentare: da organismo di controllo della borghesia capitalistica sulla Corona e sull’amministrazione pubblica, il Parlamento diviene una bottega di chiacchiere e di scandali, diviene un mezzo al parassitismo. Corrotto fino alle midolla, asservito completamente al potere governativo, il Parlamento perde ogni prestigio presso le masse popolari. Le masse popolari si persuadono che l’unico strumento di controllo e di opposizione agli arbitrii del potere amministrativo è l’azione diretta, è la pressione dall’esterno.


[…]


La piccola borghesia, che ha definitivamente perduto ogni speranza di riacquistare una funzione produttiva (…) cerca in ogni modo di conservare una posizione di iniziativa storica: essa scimmieggia la classe operaia, scende in piazza. Questa nuova tattica si attua nei modi e nelle forme consentiti a una classe di chiacchieroni, di scettici, di corrotti (…): è come la proiezione nella realtà  di una novella della jungla del Kipling: la novella del Bandar-Log, del popolo delle scimmie, il quale crede di essere superiore a tutti gli altri popoli della jungla, di possedere tutta l’intelligenza, tutta l’intuizione storica, tutto lo spirito rivoluzionario, tutta la sapienza di governo, ecc., ecc. Era avvenuto questo: la piccola borghesia, che si era asservita al potere governativo attraverso la corruzione parlamentare, muta la forma della sua prestazione d’opera, diventa antiparlamentare e cerca di corrompere la piazza.


[…]


Dopo aver corrotto e rovinato l’istituto parlamentare, la piccola borghesia corrompe e rovina anche gli altri istituti, i fondamentali sostegni dello Stato: l’esercito, la polizia, la magistratura. Corruzione e rovina condotte in pura perdita, senza alcun fine preciso (l’unico fine preciso avrebbe dovuto essere la creazione di un nuovo Stato: ma il «popolo delle scimmie» è caratterizzato appunto dall’incapacità organica a darsi una legge, a fondare uno Stato).

[...]
 
Antonio Gramsci, Il popolo delle scimmie, «L’Ordine Nuovo», 2 gennaio 1921, in Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-1922, Einaudi, Torino, 1966, pp. 9-12.




giovedì 21 febbraio 2013

Forze elementari


 
[…]

Come non esiste uno Stato politico, come non esiste più coesione morale e disciplinare negli organismi e tra gli individui che costituiscono la macchina statale, così non esiste una coesione e una disciplina neppure nell’«organizzazione» fascista, nello Stato ufficioso che dispone a suo buon piacere  oggi della vita e dei beni della nazione italiana. È divenuto ormai evidente che il fascismo non può essere che parzialmente assunto come fenomeno di classe, come movimento di forze politiche consapevoli di un fine reale: esso ha dilagato, ha rotto ogni possibile quadro organizzativo, è superiore alle volontà e ai propositi di ogni Comitato centrale o regionale, è divenuto uno scatenamento di forze elementari irrefrenabili nel sistema borghese di governo economico e politico: il fascismo è il nome della profonda decomposizione della società italiana, che non poteva non accompagnarsi alla profonda decomposizione dello Stato e oggi può essere spiegato solo con riferimento al basso livello di civiltà  che la nazione italiana aveva potuto raggiungere in questi sessanta anni di amministrazione unitaria.
Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa d’impunità, a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odî, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia barbarica e antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e bene amministrato.

[…]

La crudeltà e l’assenza di simpatia sono due caratteri peculiari del popolo italiano, che passa dal sentimentalismo fanciullesco alla ferocia più brutale e sanguinaria, dall’ira passionale alla fredda contemplazione del male altrui. Su questo terreno semibarbarico, che lo Stato ancora gracile e incerto nelle sue articolazioni più vitali a stento riusciva lentamente a dissodare, pullulano oggi, dopo la decomposizione dello Stato, tutti i miasmi.

[…]


Antonio Gramsci, Forze elementari, «L’Ordine Nuovo», 26 aprile 1921, in Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-1922, Einaudi, Torino, 1966, pp. 150-51.

lunedì 18 febbraio 2013

Nemmeno per l'ebbrezza elettorale c'è riparo



La prima pagina del "Fatto Quotidiano" che segue è stata fatta circolare nel web ieri mattina, 17 febbraio 2013:






Ma era un falso, uno scherzo di carnevale (anche se ieri era già Quaresima - il 17  però è ritenuta data fatidica!), del quale ha voluto farsi vittima anche il leader del Movimento 5 Stelle nell'Assemblea Regionale Siciliana, il deputato Giancarlo Cancelleri. Si vada al link


che riporta un lancio dell'AGI pubblicato dopo poche ore. 

Ma se la burla è stata presa immmeditamente come notizia sensazionale vera da un deputato dell'Assemblea Regionale Siciliana (elogiato dal presidente Crocetta del PD), che poi si mette a cianciare di "democrazia partecipata" (forse nel senso che egli ha voluto partecipare come vittima alla burla: per controllare bastava recarsi all'edicola...), qui a Limbiate poteva mancare un povero baccalà che la prendesse sul serio anche dopo che il web (del quale egli esclusivamente si nutre) è stato invaso dalle smentite e dagli sghignazzi? Certamente no, ed ecco che la falsa prima pagina del "Fatto Quotidiano"  è stata pubblicata oggi 18 febbraio 2013, all'incirca alle ore 11.30-12.00, nel "diario" di una pagina Facebook:

http://www.facebook.com/LimbiateCinqueStelle

Davvero fulminante, ma profondissimo, il "commento":  "I numeri vengono a galla solo all'estero..."!!! Affrettarsi a controllare; la "foto" ovviamente potrebbe sparire da quella pagina fra non molto.

Naturalmente, è possibile (perché no?) che il Movimento 5 Stelle ottenga non il 42%, bensì il 70% o anche il 100% dei voti. Ma quando degli ebbri che scambiano i pali della luce per persone e si mettono a parlare con loro "fanno politica", non siamo messi bene.

venerdì 1 febbraio 2013

P’ 'a cazzoneria non c’è riparu




 

Puru Sant’ Arvaru dicìa ca p’ 'a cazzoneria non c’è riparu 

[Proverbio di Galatro (Piana di Gioia Tauro)]