martedì 29 luglio 2008

[Le vere responsabilità dei problemi industriali nel settore dell’energia elettrica]

Una rete di distribuzione elettrica antiquata che ci rende oltremodo vulnerabili, lo smantellamento del nucleare e del sapere connesso in cui l’Italia eccelleva, le scelte e le non scelte sconsiderate. La necessità vitale di diversificare. La grande chance dell’eolico e i pregiudizi consolidati sul nucleare. Intervista ad Enzo Annino [pubblicata su «Una Città», n. 157, giugno 2008]



«Con la liberalizzazione si è innanzitutto separata la produzione dell’energia dalla sua trasmissione e distribuzione. Si è quindi privatizzata - entro certi limiti, perché l’Enel è rimasta ancora il produttore del 50% dell’energia nazionale - la produzione, mentre la rete di trasmissione e parte della distribuzione sono state concentrate in un unico ente, Terna Spa, che all’epoca era un ente pubblico, com’è giusto che sia, perché alla rete tutti devono poter accedere con pari diritti. Il decreto Bersani, promulgato durante il primo governo di centro-sinistra, però, oltre ad aver istituito Terna quale ente pubblico, istituì anche il Grtn (Gestore Rete Nazionale) Spa, una società/ente, privo di assets fisici, che aveva il compito di proporre gli investimenti a terzi, cioè a Terna, e di governare la compravendita di energia elettrica. Purtroppo, non avendo la proprietà della rete, il Grtn non è stato in grado di svolgere questi compiti ed il black out del 2003 è avvenuto anche perché il Grtn non ha saputo imporre ai produttori di tenere in esercizio un congruo numero di centrali di notte, quando si importa l’energia dall’estero a basso costo, né è stato in grado di fare gli indispensabili investimenti per i necessari adeguamenti della rete. Dopo il black out il problema è stato riconosciuto e, con un appesantimento di gestione, il Grtn è stato integrato in Terna, ma è sorto un nuovo problema: il passato governo Berlusconi ha privatizzato Terna, la quale ora, pur avendo ancora una quota pubblica, mette al primo posto i suoi profitti avendo anche il potere di condizionare il mercato.

[…] va detto che il referendum sul nucleare in realtà non chiudeva la possibilità di costruire centrali, perché era basato su tre questioni che, in pratica, rendevano solo un po’ più difficile la loro localizzazione. La decisione di farla finita con tutto, centrali funzionanti e ricerca, è stata invece una determinazione della politica, che sentiva che il vento era contro le centrali e quindi ha forzato il risultato del referendum in quel senso. Viceversa la politica non ha poi saputo impostare piani energetici alternativi seri e lungimiranti. Questa determinazione politica si inserì in un sistema industriale in decadenza, che in gran parte era autarchico, basato su prezzi gonfiati e sulla corruzione. Infatti, intorno al 1985 una serie di innovazioni tecnologiche avevano richiesto una modifica delle centrali elettriche, proprio mentre si era resa necessaria anche l’apertura del mercato italiano all’Europa, ma il sistema elettromeccanico italiano - cioè l’insieme delle società che costruivano componenti e impianti per la produzione e la trasmissione di energia elettrica- oppose una grande resistenza alle modifiche necessarie, non investì e non si aggiornò.

Pronta per il nuovo mercato e con le nuove tecnologie c’era l’Ansaldo, di proprietà di Finmeccanica - cioè delle Partecipazioni Statali -, che però fu penalizzata da scorrettezze dei concorrenti. Nel 1990, furono solo Fiat e Nuova Pignone, forse attraverso il pagamento di tangenti (ci sono stati anche dei processi, non c’è niente di segreto), ad aggiudicarsi tutti gli ordini dell’Enel per tutte le nuove centrali italiane a turbogas fino al 2005. Il risultato fu che, nel volgere di pochi anni, l’intero settore italiano dell’elettromeccanica andò in crisi.

Nei primi anni ’80, in Italia, il settore dell’elettromeccanica contava probabilmente oltre 100 mila addetti, con aziende in gran parte di proprietà dell’Eni o dell’Iri, cioè di aziende a maggioritaria partecipazione pubblica. La logica sarebbe stata quella di integrare fra loro queste aziende Eni e Iri, ma questo, purtroppo, non è avvenuto ed anzi, come ho detto, ci fu l’introduzione temporanea della Fiat, che acquistò gran parte del nuovo mercato italiano come progetto una tantum e non ebbe interesse a mantenerlo. Si era parlato di una fusione tra Ansaldo e Pignone, era la soluzione giusta, ma nemmeno questo avvenne.

…l’Italia non ha più né la tecnologia, né la progettualità per costruire e mantenere in funzione centrali nucleari. Non abbiamo praticamente più niente neanche dal punto di vista normativo. Negli anni ‘60 esisteva una adeguata normativa ed un ente di controllo autorevole, competente e con prerogative di autonomia, tale ente regolava la costruzione delle centrali, il loro esercizio, la gestione dei rifiuti.

Tutto questo non c’è più. E se in Italia si vuole rifare il nucleare innanzitutto si deve rifare una legge che governi il settore, così come si deve ricostituire un ente come quello che avevamo, dandogli la stessa autonomia di allora. Io temo che l’Italia, col livello politico frammentato che c’è, non abbia la capacità di elaborare un serio piano energetico e non sia in grado di affrontare seriamente la problematica del nucleare. Occorrerebbe ricostruire tutta la filiera tecnico-scientifica ed industriale che avevamo, e per ricostruirla ci verrebbero almeno 10-15 anni, investimenti economici colossali, un duro lavoro…

In ogni caso credo che un programma di recupero della produzione dell’energia nucleare in Italia, nonostante le difficoltà, sia auspicabile per due motivi. Il primo motivo è che, come ho detto, occorre differenziare le fonti di produzione dell’energia, quasi indipendentemente da valutazioni di costo comparati fra fonti, per una maggiore certezza della disponibilità di energia elettrica. Il secondo è che un Paese che si dica industriale non può far a meno di tecnologie moderne. Come dicevi all’inizio, il nuovo governo Berlusconi ha annunciato di voler procedere al recupero della produzione di energia elettrica da fonte nucleare, tuttavia questi annunci non sono stati corredati da alcun programma di merito, senza tali approfondimenti e riferimenti gli annunci potrebbero restare velleità…»


Leggi l’ intervista intera:

http://www.unacitta.it/pagineproblemiambiente/Annino.html

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lunedì 28 luglio 2008

[Ragionamenti sul]la produzione di energia elettrica sfruttando la forza del vento

Comitato nazionale per il paesaggio


Dall'eccellente sito web del maestro dell'urbanistica Edoardo Salzano:

http://eddyburg.it/article/articleview/1893/0/129/

Black-out elettrico e black-out dell'intelligenza

Informazioni non aiazzoniche sui black-out elettrici, contro l’ignoranza crassa diffusa da un ossimoro aiazzonico.


- Rapporto della Commissione d’indagine [istituita dal governo Berlusconi] sul Black-out del sistema elettrico italiano del 28 settembre 2003 [delle conseguenze del quale furono accusati gli “ambientalisti”];


- Black-out del 2004: ?


- Black-out del 4 novembre 2006:

«Tutta l’Europa occidentale - compresa l’Italia - per un totale di 10 milioni di persone, è stata colpita sabato sera [4 novembre 2006; ndr] da black-out elettrici, originati in Germania, dove si è lamentata un’improvvisa diminuzione della produzione di energia.

CAUSE - Secondo il ministero regionale dell'Energia del Nordreno-Vestfalia un contributo al blackout è stato dato anche dagli impianti di produzione dell'energia eolica. Quanta più corrente viene immessa dagli impianti eolici, tanto più va ridotta la quota proveniente da altre fonti, ha detto un portavoce del ministero a Duesseldorf. Sabato c'è stata una forte immissione di corrente elettrica eolica [il contrario di quanto sproloquia l’ossimoro aiazzonico; ndr], ma sembra che non sia stata adeguatamente ridotta quella di altre fonti. «In coincidenza con questo adeguamento potrebbe essere avvenuto un errore», ha detto il portavoce» [“Corriere della sera”, 06 novembre 2006].

Leggi l’articolo intero :

sabato 26 luglio 2008

[Spirito di scissione]


Luca 12, 49-53

La violenza spirituale. - 49 « Fuoco sono venuto a gettare sulla terra, e che voglio se già si accese? 50 Devo ricevere un battesimo e come sono angustiato finché non sia compiuto! 51 Credete che io sia venuto a dare pace in terra? No, vi dico, ma piuttosto la divisione. 52 D’ora in poi, infatti, ci saranno in una casa cinque persone divise, tre contro due e due contro tre: 53 saranno divisi padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera ».

49-50. Gesù ha acceso un fuoco di purificazione e di ardore; non gli resta che affrontare il battesimo-passione, cfr. Mc 10, 39.
51. Mt 10, 34-35.


2 Corinzi 4, 1-6

4 Il coraggio. – Perciò, investiti di questo ministero, in quanto ci fu usata misericordia, non ci scoraggiamo. 2 Ripudiamo anzi i sotterfugi dettati dalla vergogna e, invece di comportarci con astuzia e di falsare la parola di Dio, ci affidiamo al giudizio coscienzioso di ogni uomo con la chiara manifestazione della verità, al cospetto di Dio. 3 E se anche il nostro evangelo resta velato, è velato per quelli che si perdono, 4 per quegli infedeli ai quali il Dio di questo mondo ha accecato la mente, affinché non vedano brillare la luce dell’evangelo della gloria di Cristo, il quale è immagine di Dio. 5 Poiché noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù come Signore; noi invece siamo vostri servi per causa di Gesù. 6 E quel Dio che aveva detto: « Risplenda dalle tenebre la luce » è colui che la fece risplendere anche nei nostri cuori, per irradiare la conoscenza della gloria di Dio che brilla sul volto di Cristo.

4. Il Dio di questo mondo è Satana, Ef 2, 2; Gv 12, 31; 14, 30.


Matteo 10, 34-42

34 « Non crediate che io sia venuto a metter pace sulla terra: non sono venuto a metter pace, ma spada. 35 Sono venuto, infatti, a metter divisione: l’uomo contro suo padre e la figlia contro sua madre e la nuora contro sua suocera 36 e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. 37 Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me; chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me; 38 e chi non prende la sua croce e mi segue non è degno di me. 39 Chi avrà trovato la sua vita la perderà e chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà.

40 Chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41 Chi accoglie un profeta nella sua qualità di profeta riceverà ricompensa di profeta e chi accoglie un giusto nella sua qualità di giusto riceverà ricompensa di giusto. 42 E chiunque darà a bere ad uno di questi piccoli nella loro qualità di discepoli, anche solo un bicchiere d’acqua fresca, in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa ».

[Da Antico e Nuovo Testamento, Marietti, Casale Monferrato 1964]

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Io vorrei ...


Giovanna Marini e Patrizia Nasini




[Di Giovanna Marini ascolta anche Partono gli emigranti]

[Apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità]

[Contro il politico del K, uno scriba fariseo]

Matteo, 23


1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbi" dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare "rabbi", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. [10] E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci [14]. 15 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.

16 Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. 17 Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? 18 E dite ancora: Se si giura per l'altare non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. 19 Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? 20 Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso.

23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

25 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima l`interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!

27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28 Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.

29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene, colmate la misura dei vostri padri! 33 Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l'altare. 36 In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione.

37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38 Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! 39 Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!".

Note

1. Cfr. Mc 12, 38-40.; Lc 20, 45-47; Lc 11, 37-44; Lc 13, 34-45.

2. Gli scribi e i farisei pretendevano di essere i soli depositari della legge di Dio.

5. I filattèri erano scatolette, contenenti testi della legge, fissate con strisce di pergamene o cuoio sulla fronte e sull'avambraccio sinistro, secondo una interpretazione letterale di Dt 6, 8; cfr. Dt 11, 18; Nm 15, 37. Per le frange cfr. Nm 15, 38.

8-9. Il titolo di rabbi, cioè maestro, e di padre erano riservati ai dottori d'Israele.

14. Questo v. è omesso perché tolto da Mc 12, 40.

23. La legge delle decime non si estendeva alle erbe aromatiche.

25. Cfr. Mc 7, 4.

35. Per Zaccaria cfr. 2 Cr 24, 20-22.

37. Allusione a una predicazione di Gesù a Gerusalemme della quale parla diffusamente il solo Gv.

38. Dio abbandona il tempio di Gerusalemme: cfr. Ger 22, 5; Ez 11, 22-23.

39. Citazione dei Sal 117, 26.

[Da Antico e Nuovo Testamento, Marietti, Casale Monferrato 1964]

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venerdì 25 luglio 2008

Jeep's Blues

Johnny Hodges




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In difesa della Costituzione

100 professori ordinari di diritto costituzionale e di discipline equivalenti


[…]

Osservano (…) che le vigenti deroghe a tale principio [art. 3, comma 1 Cost., secondo il quale tutti i cittadini «sono eguali davanti alla legge»; ndr] in favore di titolari di cariche istituzionali, tutte previste da norme di rango costituzionale o fondate su precisi obblighi costituzionali, riguardano sempre ed esclusivamente atti o fatti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni. Per contro, nel c.d. lodo Alfano la titolarità della carica istituzionale viene assunta non già come fondamento e limite dell'immunità «funzionale», bensì come mero pretesto per sospendere l’ordinario corso della giustizia con riferimento a reati «comuni».

[…]

…date le inesatte notizie diffuse (...), i sottoscritti ritengono opportuno ricordare che l’immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell’ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.

Leggi l’intero articolo: In difesa della Costituzione

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La legalità: il tramonto di una categoria giuspolitica


Francesco Bilancia

[Da http://www.costituzionalismo.it/]



[…]

L’esito di questa deriva – sostenuta e assecondata tanto dai governi di Centrosinistra, e da parte della dottrina, che dai governi di Destra - è, a mio avviso, la radicale trasformazione della forma di Stato italiana, scivolata di fatto da sistema democratico-rappresentativo a sistema di governo a mera legittimazione popolare del (solo?) Presidente del Consiglio.

[…]

[Carl Schmitt], non certo ascrivibile tra i più strenui difensori della liberaldemocrazia, scriveva, a proposito delle leggi di maggioranza, o delle “leggi governative”: prodotto di un corpo parlamentare “ridotto ad una mera funzione di votazioni generali di maggioranza…rinunciando ad ogni esigenza «materiale» della legge…in tal caso tutte le garanzie di giustizia e di razionalità, ma anche lo stesso concetto di legge e di legalità, si riducono ad una conseguente mancanza di sostanza e di contenuto, meramente funzionalistica e fondata su computi puramente aritmetici della maggioranza”.

Osservava Schmitt che, così ragionando, “il 51% dei voti parlamentari dà il diritto e la legalità”…

[…]

Il problema (…) è ottenere il 51% dei seggi parlamentari, e raggiungere questo obiettivo non piegandosi allo schema del governo di coalizione, potendo cioè rinunciare alla tediosa pratica della discussione, del negoziato politico, del compromesso financo con gli alleati di governo. Fino al punto di concepire una legge elettorale che consenta ad un leader di comporre un Parlamento di figuranti e, successivamente, un governo di personaggi minori e privi di ogni responsabilità politica propria in quanto propri dipendenti o, addirittura, subrette televisive, così riducendo i due organi costituzionali di indirizzo politico a strumenti per la traduzione istituzionale del proprio volere in atti legali, trasformando la legge e la legalità in meri atti di esecuzione. La legge di riforma della giustizia sarà allora, per fare un importante esempio, il frutto dell’acritica traduzione procedurale in atto parlamentare del disegno progettato dal proprio avvocato e tarato su misura per le esigenze di uno specifico processo. Questo è il nuovo significato sostanziale della legge, questa la nuova legalità.

[…]

…la legittimazione interna non è più chiaramente data dal principio democratico della maggioranza, bensì dal possesso di fatto del potere statale, precedentemente conquistato in modo legale. Quanti regimi totalitari sono sorti a seguito di una originaria vittoria elettorale, che attribuendo il potere legale ha altresì fornito la base utile per abusarne fino alla consumazione di un colpo di Stato?

[…]

Leggi l’intero articolo: http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=282


[…]

[Le statistiche di genere sono latitanti]


[Da Sis-Magazine]


I “100 Indicatori sono sufficienti? (*)


Recentemente è apparsa la pubblicazione – a cura dell’Istat – “100 statistiche per il Paese. Indicatori per conoscere e valutare” (http://www.istat.it/dati/catalogo/20080507_01/). Si tratta, come viene sottolineato nella presentazione al volume nel sito dell’Istat, “... di un lavoro che arricchisce l’ampia e articolata produzione dell’Istat attraverso la selezione di alcuni indicatori, aggiornati e puntuali, raccolti in 103 schede e distribuiti su 17 settori di interesse che spaziano dall’economia (...)

Leggi l'articolo intero


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giovedì 24 luglio 2008

La punta dell’iceberg e la parte sommersa: osservazione o stima?

[Da Sis-Magazine]


[…]


Uno dei punti cruciali nello studio dei fenomeni legati all’uso di sostanze illegali è proprio la stima della dimensione del fenomeno e della sua dinamica: la dimensione è data dalla prevalenza, ovvero dal numero di soggetti implicati in un certo periodo fissato (il numero di consumatori di cannabis, o di altre sostanze in un certo anno, per esempio) che è necessario conoscere per pianificare gli interventi diretti alla dissuasione (ma anche al recupero, assistenza…); la dinamica è misurata dall’incidenza, ovvero il numero di nuovi soggetti coinvolti in un certo intervallo di tempo (il numero di quelli che iniziano a consumare cannabis, o altre sostanze, in un certo anno, o in un certo mese….). Gli interventi dissuasivi e di prevenzione dovrebbero ridurre l’incidenza del fenomeno. La difficoltà della stima di incidenza e prevalenza di questo fenomeno è dovuto al suo status di illegalità, che fa sì che i consumatori costituiscano una popolazione“nascosta”, al pari degli immigrati clandestini. La numerosità delle popolazioni nascoste può essere stimata solo per via indiretta, utilizzando appropriati modelli che descrivono come dalla popolazione si generino i dati osservati in diverse circostanze. I metodi per la stima di popolazioni nascoste sono numerosi e quasi tutti nati per stimare la numerosità di popolazioni animali in natura: metodi di cattura-ricattura, (Mascioli-Rossi, 2006), metodi di Poisson troncati, metodi di calibrazione (Rossi, 1995).

[…]

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Alabama


John Coltrane






John Coltrane, tenor saxophone
McCoy Tyner, piano
Jimmy Garrison, bass
Elvin Jones, drums



[John Coltrane compose Alabama subito dopo l'attentato dinamitardo con il quale il Ku Klux Klan, il 15 settembre 1963, distrusse la 16th Street Baptist Church di Birmingham, Alabama, affollata per la funzione domenicale. Morirono quattro bambine nere, di età fra 11 e 14 anni. Il brano, inciso nel novembre 1963, fa parte dell'album Live at Birdland, MCA/Impulse! 33109]


Fables of Faubus

Charles Mingus



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Censimenti e schedature


[Da Sis-Magazine]


È da tempo che ci stiamo abituando agli eufemismi in nome del political correct [1]. Quelle figure popolari e un po’ parsimoniose che erano gli spazzini di un tempo [2] sono diventati prima “netturbini”, da quando si è preteso che la sporcizia delle città dipenda solo dall’inciviltà dei loro cittadini e dei loro visitatori, poi “operatori ecologici”, dal momento che la spazzatura si è trasformata in un problema per tutti e in un affare per pochi. La disabilità è stata prima anglicizzata in handicap, poi in (…)

[V. anche la rubrica QUESTIONI METROPOLITANE]

mercoledì 23 luglio 2008

Wednesday Night Prayer Meeting

Charles Mingus




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Charles Mingus

Nel blog:

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[La comunissima vanità, nemica mortale di ogni concreta dedizione e di ogni distanza nei confronti di se stessi]

Max Weber



Si può dire che siano soprattutto tre le qualità decisive per un uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Passione nel senso di Sachlichkeit, dedizione appassionata ad una «causa» (Sache), al dio o al demone che è suo padrone. Non nel senso di quel contegno interiore che il mio defunto amico Georg Simmel usava definire come «sterile eccitazione» [1] (…): un «romanticismo» che si perde nel vuoto, «un romanticismo dell’intellettualmente interessante» senza un qualunque senso oggettivo di responsabilità. Infatti non è certo sufficiente la semplice passione, anche se autenticamente vissuta. Essa non crea l’uomo politico se, nel servire una «causa», non considera come stella polare dell’agire la responsabilità che ci si deve assumere nei confronti di essa. Da qui la necessità — e questa è la qualità psicologica decisiva dell’uomo politico — della lungimiranza, e cioè della capacità di far agire su di sé la realtà con calma e raccoglimento interiore, vale a dire: la distanza dalle cose e dagli uomini. La «mancanza di distacco», semplicemente in quanto tale, è uno dei peccati mortali di ogni politico e una di quelle qualità che, coltivata dalle nuove leve dei nostri intellettuali, li condannerà all’incapacità politica. Infatti il problema è proprio questo: come possono stare legate insieme nella stessa anima la passione infuocata e la fredda lungimiranza? La politica si fa con la testa, non con altre parti del corpo o dell’anima. E tuttavia la dedizione alla politica — se per politica non s’intende un frivolo gioco intellettuale, ma un agire autenticamente umano — può nascere e venire alimentata solo dalla passione. Ma quel forte controllo della propria anima, che contraddistingue l’uomo politico appassionato e lo differenzia dal mero dilettante «sterilmente eccitato», è possibile soltanto attraverso l’abitudine alla distanza, in tutti i sensi della parola. La «forza» di una «personalità» politica è legata in primissima istanza al possesso di queste qualità.

L’uomo politico deve perciò vincere dentro sé, ogni giorno e ogni ora, un nemico del tutto ordinario, fin troppo umano: la comunissima vanità, nemica mortale di ogni concreta dedizione e di ogni distanza, in questo caso, del distacco nei confronti di se stessi.

La vanità è un difetto molto diffuso e forse nessuno ne è del tutto libero. Nei circoli accademici e in quelli degli eruditi appare come una sorta di malattia professionale. Ma nel caso dell’erudito essa, per quanto possa sembrare antipatica, è relativamente inoffensiva nel senso che non disturba, di regola, l’esercizio scientifico. Le cose stanno in modo completamente diverso nel caso del politico. L’aspirazione al potere è il mezzo indispensabile col quale lavora. L’«istinto di potenza» — come si usa esprimersi — appartiene perciò in effetti alle sue normali qualità. Ma il peccato contro lo Spirito Santo proprio della sua professione inizia laddove questa aspirazione alla potenza perde di concretezza (wird unsachlich) e diventa oggetto dell’autoincensamento puramente personale, anziché porsi esclusivamente a servizio della «causa». Ci sono, infatti, soltanto due tipi di peccati mortali nell’ambito della politica: la mancanza di concretezza e — spesso, ma non sempre, uguale ad essa — la mancanza di responsabilità. La vanità, vale a dire il bisogno di mettersi in vista il più possibile, induce fortemente il politico alla tentazione di percorrere una delle due vie, o anche entrambe. Tanto più in quanto è costretto a far affidamento sull’«effetto» che suscita, il demagogo è costantemente in pericolo di diventare un attore o di assumersi con leggerezza la responsabilità per le conseguenze del suo agire e di preoccuparsi soltanto dell’«impressione» che egli riesce a provocare. La sua mancanza di concretezza lo spinge ad aspirare all’apparenza fascinosa del potere anziché al potere reale; la sua mancanza di responsabilità, invece, a godere del potere solo per amore del potere, senza alcuno scopo dal punto di vista del contenuto. Infatti, sebbene, o meglio proprio in quanto la potenza è il mezzo inevitabile di ogni politica e l’aspirazione alla potenza una delle sue forze motrici, non c’è stortura dell’attività politica più perniciosa del fare guascone tipico del potente parvenu e del vacuo gloriarsi del sentimento di potenza, e soprattutto di ogni culto del potere in quanto tale. Il mero «politico di potenza», come lo cerca di trasfigurare un culto praticato con zelo presso di noi, può essere fortemente efficace, ma in effetti si muove nel vuoto e nell’insensato. In questo caso, i critici della «politica di potenza» hanno pienamente ragione. Di fronte all’improvviso crollo interiore di alcuni tipici rappresentanti di questo sentimento, abbiamo potuto esperire quale debolezza interiore ed impotenza si nasconda dietro a questi gesti boriosi, ma del tutto vuoti. Questo sentimento è il prodotto di un’indifferenza estremamente misera e superficiale nei confronti del senso dell’agire umano, la quale in verità non sa nulla della tragicità a cui ogni agire, e soprattutto l’agire politico, è legato.


[Max Weber, La politica come professione, in Scritti politici, Donzelli editore, Roma 1998, pp. 216-218. Il titolo originale della conferenza weberiana è Politik als Beruf: il termine“Beruf” ha fra i suoi significati principali anche “vocazione”]


[1] G. Simmel, Der Begriff und die Tragödie der Kultur, in Philosophische Kultur. Gesammelte Essais, Dr. Werner Klinkhardt, Leipzig 1911 (trad. it. Saggi di cultura filosofica. L’estetica, la religione, la moda, la cultura femminile, a cura di M. Monaldi, Guanda, Parma 1993).


[V. anche la rubrica STILE]

Informazioni legislative (non aiazzoniche) sulla questione energetica

- Protocollo di Kyoto, 11 dicembre 1997,

- ratificato con legge 1° giugno 2002, n. 120: L. 120 n. 2002 (il governo era presieduto da Berlusconi);

- Direttiva comunitaria 2001/77/CE del 27 settembre 2001: EUR-Lex - 32001L0077 - IT,

- recepita con il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387: Dlgs 387/03 (il governo era presieduto da Berlusconi);

- Direttiva comunitaria 2006/32/CE: EUR-Lex - 32006L0032 - IT

- recepita con il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115: Dlgs 115/08 (il governo era presieduto da Berlusconi).

Energia: il Governo impugna la legge blocca rinnovabili del Molise



Legambiente, l’Associazione nazionale energia del vento (Anev) e l’Associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili (Aper) il 25 giugno scorso avevano scritto una lettera ai Ministri Scajola e Prestigiacomo per chiedere al Governo di impugnare la Legge 15/2008 della Regione Molise che pone barriere allo sviluppo di energia eolica e solare. Nella lettera si sosteneva che il provvedimento è in netto contrasto con il Decreto Legislativo 387/2003 [il governo era presieduto da Berlusconi; ndr] in materia di fonti energetiche rinnovabili. Inoltre si evidenziavano diversi problemi di legittimità costituzionale rispetto alla competenza statale in materia di ambiente. Ora giunge la notizia che annuncia la decisione del Governo di impugnare la legge regionale del Molise.



Vedi:

- l'agenzia ANSA.it - Eco-Energia - ASSOCIAZIONI, GOVERNO IMPUGNA LEGGE MOLISE del 22 luglio 2008;
- la legge della Regione Molise 21 maggio 2008 n. 15;
- la lettera inviata dall'Aper al Governo il 25 giugno scorso (Qui), con il relativo allegato;
- un Documento del 24 giugno 2008 di Legambiente, Anev e Aper;
- la Delibera del Consiglio dei ministri dell’11 luglio scorso.

Energia: informazioni padronali, ma non aiazzoniche

Dal sito http://www.anev.org/:


L'ANEV PUBBLICA IN MERITO ALLE SCORRETTE INFORMAZIONI FORNITE RISPETTO ALL'EOLICO, INFORMAZIONI E DATI REALI AL FINE DI RISTABILIRE LA CORRETTEZZA DELL'INFORMAZIONE SU QUESTA TEMATICA

martedì 22 luglio 2008

Grândola, vila morena

José Afonso

[Pilar del Río, Luis Pastor, João Afonso, José Saramago nella biblioteca di quest’ultimo, a Tías -Lanzarote, Islas Canarias].




Grândola, vila morena
Terra da fraternidade
O povo é quem mais ordena
Dentro de ti, ó cidade.

Dentro de ti, ó cidade
O povo é quem mais ordena
Terra da fraternidade
Grândola, vila morena.

Em cada esquina um amigo
Em cada rosto igualdade
Grândola, vila morena
Terra da fraternidade.

Terra da fraternidade
Grândola, vila morena
Em cada rosto igualdade
O povo é quem mais ordena.

À sombra duma azinheira
Que já não sabia a idade
Jurei ter por companheira
Grândola a tua vontade.

Grândola a tua vontade
Jurei ter por companheira
À sombra duma azinheira
Que já não sabia a idade.


[]

lunedì 21 luglio 2008

Goodnight Irene

Leadbelly (Huddie William Ledbetter)



Irene, goodnight, Irene, goodnight,
Goodnight, Irene, goodnight, Irene,
I'll get you in my dreams

I asked your mother for you
(What'd she tell him?)
She told me that you was too young
(She's 18 years old)
I wish the Lord that I'd never seen your face
I'm sorry you ever was born
(It broke his heart!)

Irene, goodnight, Irene, goodnight,
Goodnight, Irene, goodnight, Irene,
I'll get you in my dreams

Sometimes I live in the country,
Sometimes I live in town,
Sometimes I have a great notion;
Jumpin' in into the river and drown

Irene, goodnight, Irene, goodnight
Goodnight, Irene, goodnight, Irene
I'll get you in my dreams

Stop ramblin', and stop gamblin',
Quit stayin' out late at night
(What are ya gonna do?)
Go home to your wife and your family
(Where you oughta be,)
And sit down out by the fireside bright
(And people come at night)

Irene, goodnight, Irene, goodnight,
Goodnight, Irene, goodnight, Irene,
I'll get you in my dreams

I love Irene, God knows I do
(Too late)
Love her until the sea run dry
If Irene turns her back on me
(Whatcha gonna do?)
I'm gonna take a morphine and die
(She said, "go ahead and kill yourself then!")

Irene, goodnight, Irene, goodnight,
Goodnight, Irene, goodnight, Irene,
I'll get you in my dreams

·
[V. la rubrica PUEBLO QUE CANTA NO MORIRÁ]

Leadbelly (Huddie William Ledbetter)

Nel blog:

- Goodnight Irene

[Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso]

Karl Marx



L’arme della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale dev’essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse. La teoria è capace di impadronirsi delle masse non appena dimostra ad hominem, ed essa dimostra ad hominem non appena diviene radicale. Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso. La prova evidente del radicalismo della teoria tedesca, dunque della sua energia pratica, è il suo partire dal deciso superamento positivo della religione. La critica della religione finisce con la dottrina per cui l’uomo è per l’uomo l’essenza suprema, dunque con l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole, rapporti che non si possono meglio raffigurare che con l’esclamazione di un francese di fronte a una progettata tassa sui cani: poveri cani! Vi si vuole trattare come uomini!


[Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in La questione ebraica ed altri scritti giovanili, traduzione di Raniero Panzieri, Editori Riuniti , Roma 1969, p. 101]

[V. La rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]

[La filosofia è lo sforzo di resistere alla strapotenza della suggestione]

Max Horkheimer e Theodor W. Adorno



Filosofia e divisione del lavoro.

Il posto della scienza nella divisione sociale del lavoro è facilmente riconoscibile. Essa deve accumulare fatti e nessi funzionali di fatti nella massima quantità possibile. L’ordinamento dev’essere chiaro e perspicuo, dovendo consentire alle singole industrie di trovare subito la merce intellettuale richiesta nell’assortimento voluto. La raccolta stessa ha già luogo, in larga misura, in vista di precise ordinazioni industriali.

Anche le opere storiche devono fornire materiale. La possibilità di utilizzarlo e valorizzarlo non va cercata direttamente nell’industria, ma — indirettamente — nell’amministrazione. Come già Machiavelli scrisse ad uso dei principi e delle repubbliche, cosi oggi si lavora per i comitati economici e politici. La forma storica, peraltro, si è trasformata in un impaccio, e si preferisce classificare subito il materiale dal punto di vista di un determinato compito amministrativo: il controllo dei prezzi o degli stati d’animo delle masse. Accanto all’amministrazione e ai consorzi industriali, figurano, come parti interessate, anche i sindacati e i partiti.

La filosofia ufficiale serve alla scienza che funziona nel modo che abbiamo descritto. Deve contribuire, come una specie di taylorismo dello spirito, a migliorare i suoi metodi produttivi, a razionalizzare l’accumulazione delle conoscenze, a evitare lo spreco di energia intellettuale. Ha il suo posto nella divisione del lavoro come la chimica o la batteriologia. I pochi ruderi filosofici che richiamano all’adorazione medioevale di Dio e all’intuizione di essenze eterne sono tollerati nelle università laiche solo perché sono cosi reazionari. Inoltre si perpetuano ancora alcuni storici della filosofia, che spiegano senza fine Platone e Descartes, e aggiungono che sono già invecchiati. Si associa loro, qua e là, un veterano del sensismo o un personalista di ferro. Essi sarchiano, dal terreno della scienza, la gramigna dialettica, che altrimenti potrebbe crescere alta.

In contrasto coi suoi amministratori, la filosofia rappresenta — fra le altre cose — il pensiero che non capitola di fronte alla vigente divisione del lavoro e non si lascia prescrivere da essa i propri compiti. L’esistente non costringe gli uomini solo con la violenza fisica e gli interessi materiali, ma anche con la strapotenza della suggestione. La filosofia non è sintesi, base o coronamento della scienza, ma lo sforzo di resistere alla suggestione, la decisione della libertà intellettuale e reale.

La divisione del lavoro, come si è formata sotto il dominio, non viene per questo ignorata. La filosofia non fa che penetrare la menzogna per cui sarebbe inevitabile. Non lasciandosi ipnotizzare dalla strapotenza, le tiene dietro in tutti gli angoli del meccanismo sociale, che — per prima cosa — non dev’essere rovesciato né diretto ad altri fini, ma compreso al di fuori dell’incantesimo che esercita. Quando i funzionari che l’industria mantiene nei suoi ressorts intellettuali, nelle università, nelle chiese e nei giornali, chiedono alla filosofia la tessera dei suoi principi, con cui essa legittima le sue ricerche, essa viene a trovarsi in un imbarazzo mortale. Essa non riconosce norme o fini astratti, che si presterebbero ad applicazione in contrasto coi fini e con le norme vigenti. La sua libertà dalla suggestione dell’esistente consiste proprio in ciò, che essa accetta — senza starci troppo a pensare — gli ideali borghesi: quelli che sono ancora proclamati — e sia pure in forma alterata — dagli esponenti dell’attuale stato di cose, o quelli che sono ancora riconoscibili come significato oggettivo delle istituzioni, tecniche e culturali, a dispetto di ogni manipolazione. Essa crede che la divisione del lavoro esiste per gli uomini e che il progresso conduce alla libertà: e proprio per questo entra facilmente in conflitto con la divisione del lavoro e col progresso. Essa presta una voce alla contraddizione di credenza e realtà e si attiene cosi strettamente al fenomeno temporalmente condizionato. Per essa il massacro su scala colossale non conta, come per il giornale, più della liquidazione di alcuni ricoverati. Essa non antepone l’intrigo dell’uomo politico che si mette d’accordo coi fascisti a un modesto linciaggio, i turbini di réclame dell’industria cinematografica all’intimo annuncio di un cimitero. Non ha nessuna particolare inclinazione per ciò che è «grande ». Essa è ad un tempo estranea all’esistente e capace di comprenderlo intimamente. La sua voce appartiene all’oggetto, ma senza che questo lo voglia; è la voce della contraddizione, che, senza di essa, non si farebbe udire, ma trionferebbe muta.


[Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi,
Torino 1966, pp. 259-261]

[V. la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]

Theodor W. Adorno

Nel blog:

- [La filosofia è lo sforzo di resistere alla strapotenza della suggestione] (con M. Horkheimer)

Max Horkheimer

Nel blog:

- [La filosofia è lo sforzo di resistere alla strapotenza della suggestione] (con Th. W. Adorno)

Libertà e tecnologia


Contro il contatto mentale
solo la propria energia mentale autorganizzata
offre protezione



[…]


Perché dovremmo aspettarci che in una civiltà tecnologica debba verificarsi una perdita di libertà? Questo ci porta a esaminare il nesso tra i tre termini potere, paura e libertà.

a) È ovvio che il potere può causare paura. Il potere arbitrario, come il potere di persone su altre persone non limitato dalla legge, lo fa necessariamente. E così pure il potere anonimo di un’opinione pubblica costituita che soffoca e uccide esattamente come un plotone di esecuzione.

b) Ma il nesso tra potere e paura non è a senso unico. Che il potere causi paura è ragionevole. Ma è vero anche il contrario, anzi è ancora più vero. Non nel senso volgare che tanto maggiore è la paura causata dal potere tanto più efficace diventa naturalmente il potere. Questo è solo un altro modo di dire che il potere è appoggiato e sorretto dal timore delle sue vittime. Ma non mostra come la paura crei il potere. Eppure, una delle fonti primarie del potere stesso è la paura: la paura non del potere militare, ma la spontanea, autonoma paura dell’annientamento.

Questo potere è un riflesso della paura; si nutre della paura; è la paura trasposta in un’altra chiave, perché dove c’è questo tipo di paura la mente genera potere, per proteggersi e liberarsi della paura. Tale paura è al cuore del problema della libertà oggi. In due modi: la tendenza di una civiltà tecnologica a creare un potere illimitato, sia quello del governo sia quello dell’opinione; la sua capacità di provocare una volontà di conformismo attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.

A questo punto è necessario scusare un uso alquanto libero dei termini. Paura è un termine psicologico; si riferisce a uno stato di coscienza. Ci prenderemmo una libertà se parlassimo di paura inconscia. Usiamo il termine metaforicamente, per designare lo stato di una persona come se provasse paura. Di rado la paura della morte è presente in una mente sana. Eppure il bisogno di garantire la continuità di noi stessi dopo la morte nel nostro lavoro, nei nostri figli, nella memoria di coloro che amiamo, nei frutti delle buone opere, nelle forme disinteressate dell’arte e del sapere è comune a noi tutti, fa parte della vita: come se vivessimo nel timore costante della morte. La nostra [paura] è allora condizione di creatività, e la paura della morte come parte della vita ci accompagna sempre.

c) Anche il termine potere è usato qui nello stesso modo metaforico. Non si fa alcuna differenza tra il potere personale esercitato consapevolmente (il potere di una persona su altre persone) e il potere anonimo (gli effetti dovuti all’agente anonimo «opinione»). Il potere è semplicemente l’elemento costrittivo nella mente, nonché la compulsione ch’esso esercita su di essa. I « comandi » dell’opinione pubblica non sono meno interiorizzati di quanto non lo siano i valori dichiarati e le norme imposte dalla Chiesa e dallo Stato. La pressione silenziosa del vicinato e del pubblico generale è potere, potere inesorabile, contro il quale non c’è appello. Certo, è possibile che l’individuo eroico sfidi l’opinione come si può sfidare il plotone di esecuzione; eppure c’è una differenza: non si può ignorare l’opinione, come si può ignorare il plotone di esecuzione. La forza fisica non ha accesso diretto alla mente; l’opinione sì. All’opinione, la mente è costretta a reagire, che la sfidi o no. È possibile isolarsi dal contatto fisico e non avere a che fare con esso; contro il contatto mentale solo la propria energia mentale autorganizzata offre protezione: la volontà di libertà.

Ma perché una società tecnologicamente complessa dovrebbe causare paura? La tecnologia non è altro che gli strumenti materiali grazie ai quali l’uomo domina la natura; essa conferisce all’uomo il potere di eliminare le cause dei suoi timori, e gli fornisce sicurezza. E l’incarnazione materiale della libertà; è creatrice di vita e della sua abbondanza. Ciò è manifesto in cento modi. È pura malignità aggrapparsi a inconvenienti secondari e transitori quando finalmente l’uomo sta uscendo dall’ignoranza e dall’impotenza all’alba di una civiltà tecnologica.

Ciò è perfettamente vero. Ma al tempo stesso — durante la transizione — stiamo attraversando le strette della paura a causa di alcuni pericolosi effetti della tecnologia sulla nostra società complessa. Tale società può essere distrutta. La sua esistenza è precaria. Da questo punto di vista è simile ad alcune comunità primitive: pochi raccolti andati a male possono distruggerle. Si è spesso affermato che la superstizione primitiva è un prodotto della paura che i selvaggi avevano delle calamità naturali. Questa paura era giustamente chiamata irrazionale. Comunque è del tutto possibile che una grande società la cui esistenza dipende da chi schiaccia i bottoni generi paura. Una civiltà tecnologica vive in una pace che dipende da chi schiaccia i bottoni. L’effetto crea necessariamente potere. In tal caso, può darsi che la tecnologia abbia a che fare con i moderni problemi della libertà più di quanto si possa pensare. In effetti, il pericolo può essere del tutto razionale. A meno che non si disponga di un potere sufficiente, non può essere contrastato.

Una società complessa differisce infine da una condizione familiare o tribale in quanto gli effetti sociali delle nostre azioni non sono facilmente individuabili. La libertà individuale assoluta non è possibile nella società (ancor meno fuori di essa, naturalmente). Noi non siamo liberi di abbandonare la società secondo la nostra volontà. E nessuna persona ragionevole si lamenta delle restrizioni alla sua libertà derivanti dal fatto di essere membro della società umana.

Ma quando la complessità sociale è sorretta dai fatti artificiali della tecnologia, nasce una situazione molto diversa. In molti modi la tecnologia rende precaria l’esistenza stessa della società. La vita può dipendere dal successo di una fonte centralizzata di energia perché sorga un’industria dove non ce n’era. Nella normale società moderna la vita sta andando verso uno stato di cose in cui il riscaldamento, l’illuminazione, i trasporti, la comunicazione e l’alimentazione, e inoltre la trasmissione di notizie e direttive, il coordinamento e l’applicazione della legge sono funzioni di qualche lontana istanza tecnica il cui venir meno equivale a sicura distruzione oppure, peggio ancora, a un tipo d’incertezza che combina totale impotenza ed estrema angoscia.

(1955)


[Karl Polanyi, La libertà in una società complessa, Bollati Boringhieri, Torino 1987, pp. 174-176]


[V. la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]

Karl Polanyi

Nel blog:

- Libertà e tecnologia

domenica 20 luglio 2008

Partono gli emigranti

Giovanna Marini



Non piangere bella se devo partire,
se devo restare lontano da te;
non piangere bella, non piangere mai
che presto, vedrai, ritorno da te.

Addio alla mia casa, addio alla mia terra,
addio a tutto quello che lascio quaggiù;
o tornerò presto, o tornerò mai,
soltanto i ricordi io porto con me.

Partono gli emigranti, partono per l'Europa
sotto lo sguardo della polizia;
partono gli emigranti, partono per l'Europa
i deportati della borghesia.

Mia bella lontana, chissà quanto tempo
dovremo restare finché tornerò;
le notti son lunghe, non passano mai,
e non posso mai averti per me.

Ovunque fatica, violenza, razzismo,
ma questa violenza coscienza ci dà ;
consumo le mani e mi cresce la voglia,
la voglia di avere il mondo per me.

Partono gli emigranti, partono per l'Europa
sotto lo sguardo della polizia;
partono gli emigranti, partono per l'Europa
i deportati della borghesia.

[Parole e musica di Alfredo Bandelli (1972)]


[]

Giovanna Marini

[V. http://www.giovannamarini.it/]

Nel blog:

- Partono gli emigranti
-
-
-
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Pueblo que canta no morirá

- Ry Cooder How can a poor man stand such times and live ?
- Giovanna Marini Partono gli emigranti
- Leadbelly (Huddie William Ledbetter) Goodnight Irene
-

[Lo stato di paura esploso negli Usa ultimamente ha avuto inizio negli anni 50]

[Intervista di Silvia Boschero, «l’Unità», 27/06/2005]

Un personaggio come Ry Cooder è magnificamente difficile da inquadrare. Non si sa se ricordare prima il suo virtuosismo chitarristico, le sue colonne sonore, il suo lavoro di produttore e di antropologo musicale capace di far rivivere musiche dimenticate. Dopo aver fatto scoprire a noi comuni mortali un gigante come Ali Farka Tourè grazie a quel bellissimo disco (Talkin’ Timbuktu) che incrociava il corso blues del Mississipi con quello limaccioso del Niger, ha fatto fare il giro del mondo ai nonni del Buena vista social club, poi ha voluto riscoprire la musica cubana pre-castrista, infine è tornato nella sua meticcia Los Angeles. Il nuovo disco di Ry Cooder porta il nome di un quartiere, Chavez Ravine, popolato da una folta comunità messicana che negli anni 50 fu raso al suolo per lasciare spazio a un enorme stadio di baseball. Chavez Ravine è la colonna sonora di un film immaginario tra pugili, amministratori corrotti, politici, musicisti, cittadini, che narra di quei chicanos cacciati a forza.

Mister Cooder, negli anni 50 lei era un bambino.

La mia famiglia aveva molti contatti con la comunità messicana e in generale con tante persone che subivano pressanti investigazioni da parte dell'Fbi perché considerate "diverse".

Perché il quartiere di Chavez Ravine fu spazzato via?

È molto più semplice far passare un'autostrada su un quartiere povero piuttosto che su Beverly Hills. È una storia di perdita di identità, come d'altronde è successo in tutta la città diventata un enorme centro commerciale a cielo aperto. In America funziona così, dove la gente esiste solo in quanto consuma. È l'effetto della globalizzazione nella nostra vita intima. Se parli con Lalo Guerrero, che negli anni 40 era leader di una famosa band di pachuco, ti accorgi che ancora esistono persone che vivono realtà completamente diverse e riescono ad essere veramente felici. Come d'altronde Compay Segundo a Cuba: è in pace con se stesso. Questa felicità la trovo solo negli anziani, o in alcuni musicisti. Vedi, nella musica il consumismo non serve… la musica trova dentro se stessa il suo conforto.

È anche un'America che tende a far sparire le differenze?

Lo stato di paura esploso negli Usa ultimamente ha avuto inizio proprio negli anni 50: una chiusura in nome della sicurezza. Allora si iniziò sistematicamente a etichettare alcuni gruppi e a darne un'immagine negativa, nel nostro caso i messicani. Ti dicevano: sono diversi da te, non parlano come te e non ti assomigliano, dunque non sono buoni americani. Ora l'estremizzazione: un governo che tiene stretto il suo potere facendo la guerra e imtimidendo le persone in nome della sicurezza nazionale. Una bugia assoluta. Un'arma contro il suo stesso popolo.

Saul Bellow scrive della "città degli angeli": "qualcuno ha detto che a Los Angeles sono raccolti tutti gli oggetti perduti della nazione, come se l'America avesse fatto tilt e ogni cosa non avvitata bene fosse scivolata nel sud della California". Che ne pensa?

Se l'avessi letto prima l'avrei usato perché è proprio così: chiunque è arrivato qui da ogni dove, agricoltori falliti, neri in cerca di lavoro, messicani che scappavano dalla rivoluzione, così come l'industria cinematografica, quella della difesa e poi quella spaziale e quella della tecnologia… universi distanti anni luce tra loro, tutti caduti a Los Angeles. E la mia musica preferita è quella della gente che arriva in America, lascia indietro la sua cultura e poi la riscopre. È il mix delle persone che ha fatto la musica americana.

Poi però è arrivato il business.

Il denaro ha distrutto tutto: si trova il suono che vende e ci si appiattisce su quello. La musica "latina" in classifica mi fa ridere: nient’altro che pop cantato in spagnolo. Industriale come il cheeseburgher.


[]

Ry Cooder

[V. http://it.wikipedia.org/wiki/Ry_Cooder]


Nel blog:

- How can a poor man stand such times and live ? (2 video)

- [Lo stato di paura esploso negli Usa ultimamente ha avuto inizio negli anni 50] (intervista)


[]

How Can A Poor Man Stand Such Times & Live ?

Ry Cooder


[Questa canzone, incisa nel 1929 da Blind Alfred Reed, ha un testo quanto mai attuale. Ry Cooder ne ha fatto due versioni: una "bluesy" (purtroppo non più liberamente disponibile) e un'altra in forma di struggente ballad "latina" (accompagnato, fra gli altri, da Flaco Jimenez)].







I remember a time when every thing was cheap
Now prices nearly puts a man to sleep
Well, when we get our grocery bill
We feel like making our will
Tell me, how can a poor man stand such times and live ?

Well, the doctor comes around with his face all bright
And he says, In a little while you'll be all right!
Well, all he gives is a humbug pill
Dose of dope and a great big bill
Tell me, how can a poor man stand such times and live ?

Most preachers, well, they preach for gold and not for soul
Well, that's what keeps us poor folks always in a hole
Now, we can hardly get our breath
Taxed and schooled and preached to death
Tell me, how can a poor man stand such times and live ?








[]

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lunedì 14 luglio 2008

[Stato di diritto e stato d’eccezione (o di polizia)]





[Il doppio Stato di Ernst Fraenkel] è un’analisi e un’interpretazione dello stato nazionalsocialista, ma è anche, per i problemi teorici che solleva, per gli strumenti concettuali di cui si serve, e per le soluzioni proposte, un notevole contributo alla teoria generale dello stato moderno. Pubblicato in edizione inglese nel 1941, quando l’autore era esule negli Stati Uniti, col titolo The Dual State, ma scritto originariamente in tedesco, è stato ripubblicato nel 1974 in Germania, col titolo Der Doppelstaat, in una nuova edizione, dalla quale è tratta la presente traduzione italiana.

[…]

La rottura che lo stato nazista compì rispetto allo stato di diritto fu sin dall’inizio giustificata in base al principio che regola lo stato d’eccezione (o di emergenza o di necessità o di pericolo pubblico o di assedio, come viene variamente chiamato), in base cioè al principio universalmente riconosciuto dalla dottrina giuridica secondo cui in situazioni eccezionali i legittimi detentori del potere politico hanno il diritto di sospendere le garanzie giuridiche previste dalla costituzione e sono quindi investiti dei «pieni poteri». Si può commentare questo principio giuridico col detto popolare che la necessità non ha legge: una norma giuridica, la cui funzione è quella di determinare un obbligo e rispettivamente un diritto, può valere soltanto nella sfera delle azioni possibili, giacché non avrebbe alcun esito proibire un’azione necessaria o comandare un’azione impossibile. Si veda come l’autore entra nell’argomento sin dalle prime righe del libro: « La Costituzione del Terzo Reich è lo stato d’assedio. La sua carta costituzionale è il decreto d’emergenza per la difesa del popolo e dello stato del 28 febbraio 1933» (p. 21). E spiega subito dopo che l’applicazione di questo decreto aveva lo scopo di sottrarre il settore politico della vita pubblica tedesca al dominio del diritto. Dunque il punto di partenza dell’analisi è la netta contrapposizione fra stato nazista e stato di diritto.

Siccome non sempre è chiaro che cosa s’intenda per «stato di diritto», che è espressione usata in molteplici accezioni, ritengo utile precisare che nell’accezione che qui può servire a intendere l’uso che ne fa Fraenkel, anche se non lo rende mai esplicito, per stato di diritto s’intende lo stato in cui il potere politico anche nelle sue più alte istanze è regolato e limitato da norme giuridiche (sub lege) e viene esercitato prevalentemente, salvo casi eccezionali previsti dalla stessa costituzione, mediante emanazione di norme generali (per legem). In antitesi allo stato di diritto così inteso, le caratteristiche dello stato d’eccezione sono due: a) i detentori dei pieni poteri non si ritengono più vincolati a rispettare le norme costituzionali generali che stabiliscono le funzioni e i limiti di competenza degli organi di governo; b) si ritengono autorizzati ad esercitare il potere, non solo in casi eccezionali, ma abitualmente, non mediante leggi generali, ma mediante provvedimenti concreti presi di volta in volta, in base a un mero giudizio di opportunità. Di conseguenza in contrasto col governo doppiamente legale dello stato di diritto, il governo nello stato d’eccezione è un potere doppiamente illegale, cioè arbitrario in due sensi: rispetto al modo con cui viene esercitato, ovvero senza vincoli costituzionali, e rispetto al mezzo con cui questo esercizio viene attuato, overo in base a meri giudizi di opportunità.

Che Fraenkel metta in particolare evidenza soprattutto questo secondo aspetto dello stato nazista, che chiama «Stato discrezionale» (Massnahmenstaat) contrapponendolo allo « Stato normativo » (Normenstaat), non vuol dire che trascuri il primo. Ciò che risulta chiarissimo è che, a ogni modo, nello stato d’eccezione il rapporto tra politica e diritto è completamente invertito rispetto allo stato di diritto: nello stato di diritto il potere è sottoposto al diritto; nello stato d’eccezione (o di polizia, volendo adottare una vecchia espressione) il potere è il creatore (a proprio assoluto arbitrio) del diritto. In altre parole, nello stato di diritto è potere legittimo solo quello esercitato in conformità di un’autorizzazione (nel senso letterale di attribuzione di « autorità») da parte di una norma giuridica; nello stato di polizia è diritto quello prodotto in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità da coloro che detengono il potere politico. Si veda la netta e perentoria conclusione cui giunge Fraenkel che presenta la propria interpretazione con una ampia analisi di casi concreti tratti da sentenze di tribunali di vario ordine e grado: «Pertanto possiamo formulare nel modo seguente la distinzione tra Stato di diritto e Terzo Reich: nello Stato di diritto i tribunali controllano l’amministrazione dal punto di vista della legalità; nel Terzo Reich le autorità di polizia le autorità di polizia controllano i tribunali dal punto di vista dell’opportunità (p. 62).

Tale inversione di termini può essere espressa anche con altre antitesi non meno tradizionali. Ne ho individuate due: quella tra giustizia formale e giustizia materiale cui Fraenkel si riferisce là dove afferma a più riprese che l’essenza dello Stato discrezionale va ricercata tra l’altro, nella pretesa di attuare una giustizia materiale in contrapposto alla giustizia formale, la quale, secondo la famigerata formula di Forsthoff, è l’espressione di «una comunità priva d’onore e di dignità»; e quella tra politica, intesa come attività che non riconosce altro criterio della propria condotta che l’opportunità, e politica come amministrazione e giudizio che dovrebbero ricevere la loro legittimazione esclusivamente dall’essere esercitati in conformità di leggi prestabilite. Una volta riconosciuti come atti politici, e quindi sottratti alle leggi generali, quegli atti che vengono considerati tali dall’autorità politica la quale, essendo legibus soluta, è libera di stabilire ciò che rientra nella sfera della politica e ciò che non vi rientra, l’indebita estensione degli atti politici rispetto agli atti amministrativi e giudiziari è uno degli espedienti di cui si serve lo stato di polizia per delimitare, sino ad eliminarlo arbitrariamente, lo spazio dello stato di diritto. Per dare un esempio della documentazione di cui si serve l’autore, ecco che cosa si può leggere in una decisione dell’Alta Corte amministrativa prussiana del 28 gennaio 1937: «Nella lotta per l’autoaffermazione che il popolo tedesco oggi è chiamato a condurre, non esiste più come in passato un ambito di vita non politico» (p. 65). Con un’affermazione di questo genere, secondo cui non esiste un ambito di vita non politico, non si potrebbe esprimere meglio la quintessenza dello stato totalitario.

[Un’altra] tesi [del libro] è quella più originale e anche più discutibile (nel senso che può invitare maggiormente alla discussione): nonostante la indebita estensione dello stato di polizia, il regime nazista non ha soppresso del tutto il governo attraverso le leggi, o «Stato normativo». La ragione per cui il regime ha conservato seppure in una sfera ampia ma ben delimitata, lo stato attraverso le leggi risiede nella protezione che esso ha offerto al sistema economico capitalistico, il quale ha bisogno per sopravvivere e per svilupparsi di un ordinamento legale, vale a dire di quella sicurezza nell’esercizio a lunga scadenza delle attività gli sono proprie, e quindi della possibilità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, che solo un ordinamento legale può garantire assicurando con norme giuridiche generali, sottratte all’ingerenza occasionale e imprevedibile del potere politico, la stabilità della proprietà individuale, la libertà dell’impresa e dell’iniziativa economica, l‘inviolabilita dei contratti, la regolarità della concorrenza, il dominio dell’imprenditore in fabbrica sui suoi dipendenti. Con diversa ma equivalente formula giuridica si può esprimere lo stesso concetto dicendo che, a differenza del diritto pubblico sottoposto al dominio dello Stato discrezionale, il diritto privato è sottratto all’arbitrio del potere politico diretto, e continua a essere regolato dallo Stato normativo, salvo nel caso, peraltro eccezionale, e quindi sottoposto allo stato d’eccezione, del diritto privato degli ebrei.


[Introduzione a Ernst Fraenkel, Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, Einaudi, Torino 1983, pp. IX; XII-XV]

Ernst Fraenkel



Ernst Fraenkel, nato a Colonia nel 1898 da famiglia ebraica, compì gli studi giuridici presso l’università di Francoforte, allievo, come Franz Neumann, di Hugo Sinzheimer; insegnò per qualche anno in scuole per funzionari sindacali e fu consulente giuridico del Partito socialdemocratico tedesco; in seguito all’avvento del nazismo svolse attività di avvocato in difesa di vittime dei soprusi del regime. Costretto ad emigrare negli Stati Uniti nel 1938, si addottorò nel 1942 presso la Law School di Chicago. Dopo un periodo trascorso nella Corea del Sud come esperto in problemi del diritto di occupazione tra il 1945 e il 1951, tornò in Germania come docente presso la Scuola superiore di politica allora fondata a Berlino da Otto Suhr. Dal 1953 al 1967 fu professore ordinario di scienza politica presso la Libera Università di Berlino. Mori il 28 marzo 1975 a Berlino.

Negli anni drammatici della fine della Repubblica di Weimar prende parte attiva alla controversia sui caratteri, sui difetti e gli errori, del regime democratico instaurato dopo la sconfitta; interviene autorevolmente nel dibattito sulla riforma della costituzione di cui è fautore, prendendo posizione sia contro i critici della costituzione di destra come Carl Schmitt, sia contro i critici di sinistra come Otto Kirchheimer. Alcuni suoi saggii, come Kollektive Demokratie (Democrazia collettiva), 1929; Abschied von Weimar? (Addio a Weimar?), 1932; Um die Verfassung (Sulla costituzione), 1932; Verfassungsreform und Sozialdemokratie (Riforma costituzionale e socialdemocrazia), 1932; fanno ormai parte essenziale di quella vastissima e dottrinalmente molto elevata letteratura giuridica e politica, che è ridiventata in questi anni oggetto di rinnovato interesse, anche in Italia, essendo la «crisi di Weimar » esemplare e ammonitrice per chiunque voglia rendersi ragione de1 modo cui può avvenire la disintegrazione di una democrazia.

Ritornato in Germania dopo la caduta dei regime nazista, Fraenkel, non senza una diretta influenza della scienza politica americana, sviluppatasi e arricchitasi a partire dagli anni trenta con decisivi contributi della scienza politica europea, e col preciso intento di combattere vecchie e nuove forme di totalitarismo ebbe una parte di protagonista nella elaborazione e nella diffussione della teoria pluralistica della democrazia divenuta dottrina quasi ufficiale della Repubblica federale tedesca contestata peraltro, come vent’anni prima la difesa ch’egli aveva assunto della «democrazia collettiva», tanto da critici di destra quanto da critici di sinistra, con numerosi saggi teorici e interventi polemici, di cui basti qui ricordare Der Pluralismus als Strukturelement der freiheitlich-rechtstaatlichen Demokratie (Il pluralismo come struttura della democrazia liberale e legalitaria), 1964, e Strukturanalyse der modernen Demokratie (Analisi strutturale della democrazia moderna), 1970, dove le caratteristiche della democrazia pluralistica cui s’ispira la Repubblica federale tedesca vengono illustrate in continua contrapposizione coi principi cui è informata la Repubblica democratica tedesca. Nonostante la radicale differenza tra le due epoche storiche, tra la repubblica di Weimar e quella di Bonn, il pluralismo di cui Fraenkel si è fatto fautore nel dopoguerra non sembra rappresentare, secondo alcuni critici, una rottura rispetto alla teoria della democrazia collettiva, che egli chiamò in un secondo tempo anche « dialettica», del periodo weimariano.


[Dall’Introduzione di Norberto Bobbio a Ernst Fraenkel, Il doppio Stato, Einaudi, Torino 1983, pp. IX-XI]

Altri saggi di Ernst Fraenkel tradotti in italiano:

- Democrazia collettiva, in AA.VV., Laboratorio Weimar, Edizioni Lavoro, Roma 1982, pp. 89-104;
- La componente rappresentativa e plebiscitaria nello Stato costituzionale democratico, G. Giappichelli Editore, Torino 1994.

Norberto Bobbio



[Scheda provvisoria]



Norberto Bobbio (Torino 1909-2004), filosofo, giurista e scrittore politico, è stato tra i più autorevoli protagonisti del dibattito politico e culturale italiano. Ha insegnato Filosofia del diritto nelle università italiane per più di trent’anni, e a Torino dal 1948 al 1972, passando poi all’insegnamento della Filosofia politica, tenuto fino al 1979. Agli studi di teoria del diritto e della politica ha alternato ricerche di storia del pensiero politico e filosofico e di storia della cultura. Nel 1984 è stato nominato Senatore a vita della Repubblica.

Alcuni libri:

Politica e cultura, Einaudi,Torino 1955;
Italia civile, Lacaita, Manduria 1964; nuova ediz. aumentata: Maestri e compagni, Passigli Editori, Firenze 1984;
Da Hobbes a Marx, Morano, Napoli 1965;
Profilo ideologico del Novecento italiano, Einaudi, Torino 1986; nuova ed. aumentata: Garzanti, Milano 1990;
Diritto e Stato nel pensiero di E. Kant, G. Giappichelli Editore, Torino 1969;
Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Einaudi,Torino 1971;
Quale socialismo, Einaudi, Torino 1977;
I problemi della guerra e le vie della pace, il Mulino, Bologna 1979;
Studi hegeliani, Einaudi,Torino 1981;
Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984;
Thomas Hobbes, Einaudi, Torino 1989;
L'età dei diritti, Einaudi, Torino 1989;
Eguaglianza e libertà, Einaudi, Torino 1995;
Destra e sinistra, Donzelli editore, Roma 1994;
De senectute, Einaudi, Torino 1996;
Né con Marx né contro Marx, Editori Riuniti, Roma 1997;
Autobiografia, Laterza; Roma-Bari 1999;
Teoria generale della politica, Einaudi, Torino 1999;
Dialogo intorno alla repubblica, Laterza, Bari 2001;
Liberalismo e Democrazia, Libreria Simonelli, Milano 2006
Contro i nuovi dispotismi. Scritti sul berlusconismo, Edizioni Dedalo, Bari 2008.


Nel blog:

domenica 13 luglio 2008

Prodromi di conversione?


Salvatore Ricciardi



Chi ha detto che i politici del K non hanno nemmeno un microgrammo di umiltà e non sono capaci di imparare? I malfidenti chiudano subito il becco.

Dopo il mio articolo Come Wojtyła il politico del K limbiatese, per esempio, ha occultato le tracce della sua ignoranza della mitologia greca, della sua ritrosia a servirsi almeno di Wikipedia, e della sua presunzione. Quindi, via ogni traccia (o quasi) dell’inventato Promoteo che si rode il fegato perchè tenuto lontano dal potere, fatto passare per il Prometeo punito per aver osato ribellarsi a Zeus a favore degli uomini. Poi, collocato il congiuntivo giusto in un periodo ipotetico, addirittura (udite! udite!) ringraziamenti a me per “avergli fatto notare lo strafalcione”, seppure (ma cosa volete, le conversioni possono essere dolorose e lunghe) ancora secondo il vecchio costume untuoso, ipocrita e gesuiticamente maligno: dopo avermi “diminuito” scrivendo il mio nome con l’iniziale minuscola, questa volta la maiuscola me la lascia, ma … mi accorcia di due terzi: Ric., e accontentati! (v. i commenti a Chiacchiericcio demolitorio).

Tuttavia, ancora non andiamo oltre i prodromi della conversione a un più rispettabile costume scrittorio (che in realtà farebbe tutt’uno con il costume politico). Sono ancora lì, infatti, senza una sua riga di commento, le accuse infamanti e false a Mario Terragni di essersi arricchito amministrando il Comune di Limbiate. Terragni, al quale il “maestro” del nostro, che allora era candidato a fare il fac-simile di capogruppo del PDS, chiese (ed ottenne) l’appoggio per essere eletto nel 1996. Terragni, che fu suo compagno di partito e che fu candidato sindaco della coalizione capeggiata dai DS nel 2006. Terragni, che vive in una casa vecchia come il cucco.


Possibile che non ci sia nessuno, vicino a questo ragazzo malcresciuto, che possa amorevolmente convincerlo a fare una cosa di sinistra, cioè a rispettare la verità, cioè a togliere o almeno rimbeccare questa sozzeria?


P.S. Al momento di pubblicare il post, scopro che il politico del K annuncia che dalla mezzanotte di oggi rinuncerà a quelli che lui chiama divertimenti bloggistici (v. È tempo di morire). Dato l’abituale modo narcisistico dell’annuncio, è da dubitare che tale rinuncia comporti anche l'ingresso nell'ordine dei frati Trappisti. Ad ogni modo, prima dimostri il coraggio di buttar via la spazzatura. [Aggiunta: il video inserito nel post che annuncia il suicidio, e che vedo solo adesso, h. 21 (due ore fa l'avevo trascurato), è un vero spasso].


[V. la rubrica STUPIDERA]

[Universalità di una verità teorica]


Antonio Gramsci



Si pone la quistione se una verità teorica scoperta in corrispondenza di una determinata pratica può essere generalizzata e ritenuta universale in una epoca storica. La prova della sua universalità consiste appunto in ciò che essa diventa: 1) stimolo a conoscere meglio la realtà effettuale in un ambiente diverso da quello in cui fu scoperta, e in ciò è il suo primo grado di fecondità; 2) avendo stimolato e aiutato questa migliore comprensione della realtà effettuale, si incorpora a questa realtà stessa come se ne fosse espressione originaria. In questo incorporarsi è la sua concreta universalità, non meramente nella sua coerenza logica e formale e nell’essere uno strumento polemico utile per confondere l’avversario. Insomma deve sempre vigere il principio che le idee non nascono da altre idee, che le filosofie non sono partorite da altre filosofie, ma che esse sono espressione sempre rinnovata dello sviluppo storico reale. L’unità della storia, ciò che gli idealisti chiamano unità dello spirito, non è un presupposto, ma un continuo farsi progressivo. Uguaglianza di realtà effettuale determina identità di pensiero e non viceversa. Se ne deduce ancora che ogni verità, pur essendo universale, e pur potendo essere espressa con una formula astratta di tipo matematico (per la tribù dei teorici), deve la sua efficacia all’essere espressa nei linguaggi delle situazioni concrete particolari: se non è esprimibile in lingue particolari è un’astrazione bizantina e scolastica, buona per i trastulli dei rimasticatori di frasi.


[Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. II, p. 1134]


[V. la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]




[Il grande politico non può che essere «coltissimo»]

Antonio Gramsci



Alcune cause d’errore. Un governo, o un uomo politico, o un gruppo sociale applica una disposizione politica od economica. Se ne trae troppo facilmente delle conclusioni generali d’interpretazione della realtà presente e di previsione sullo sviluppo di questa realtà. Non si tiene abbastanza conto del fatto che disposizione applicata, l’iniziativa promossa ecc. può essere dovuta a un errore di calcolo, e quindi non rappresentare nessuna «concreta attività storica». Nella vita storica come nella vita biologica, accanto ai nati vivi, ci sono gli aborti. Storia e politica sono strettamente unite, sono anzi la stessa cosa, ma pure occorre distinguere nell’apprezzamento dei fatti storici e dei fatti e atti politici. Nella storia, data la sua larga prospettiva verso il passato e dato che i risultati stessi delle iniziative sono un documento della vitalità storica, si commettono meno errori che nell’apprezzamento dei fatti e degli atti politici in corso. Il grande politico non può che essere «coltissimo», cioè deve conoscere il massimo di elementi della vita attuale; conoscerli non «librescamente» come «erudizione» ma in modo «vivente», come sostanza concreta di «intuizione» politica (tuttavia perché in lui diventino sostanza vivente di «intuizione» occorrerà apprenderli anche «librescamente»).


[Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. I, pp. 310-311]


[V. la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]