mercoledì 4 marzo 2009

Riscoprire la differenza della democrazia, la sua estraneità rispetto ai fenomeni di dominio, che tentano di dissimularsi dietro il suo nome

Miguel Abensour*



In un momento storico in cui il nome di democrazia è associato a guerre omicide, alla crociata del bene contro il male, alla tortura, diventa necessario e urgente qualificare nel modo migliore la democrazia per dissociarla da queste iniziative evidentemente antidemocratiche, “cancro della democrazia” per usare i termini di [Pierre] Vidal-Nacquet. Così già da molto tempo — nell’intento di strappare la democrazia alla sua neutralizzazione, di sottrarla alla banalizzazione — alcuni autori hanno scelto aggettivi tali da indurla a riscoprire la sua differenza, la sua estraneità rispetto ai fenomeni di dominio, che tentano di dissimularsi dietro il suo nome. Tra questi aggettivi, merita la nostra attenzione quello di democrazia selvaggia di Claude Lefort, o di democrazia radicale.

In ogni caso, se non si cerca di qualificare la democrazia, essa rischia di perdere ogni volto riconoscibile, e sarebbe trascinata nella zona grigia della banalizzazione universale. Nel linguaggio quotidiano delle nostre società, essa non viene forse continuamente confusa con lo Stato di diritto o con il regime rappresentativo?

Da parte mia, propongo l’espressione “democrazia insorgente”. Ma (…) il problema è che il termine “insorgente” in francese non esiste, se non in forma pronominale. Perché scegliere quest’aggettivo qualificativo, ricorrendo a un participio presente, che sfiora il neologismo? Ho preferito democrazia insorgente a democrazia insurrezionale perché, grazie alla forma verbale, potevo sottolineare due particolarità:

— la democrazia non è un regime politico, ma innanzitutto un’azione, una modalità dell’agire politico, specifica nel senso che l’irruzione del demos, del popolo sulla scena politica, in opposizione a coloro che Machiavelli chiama “i Grandi”, lotta per instaurare uno stato di non-dominio nella città.

— l’azione politica di cui parliamo non avviene in un momento, ma è un’azione continuata che si iscrive nel tempo, sempre pronta a riprendere slancio in ragione degli ostacoli incontrati. Si tratta della nascita di un processo complesso, di una istituzione del sociale orientata verso il non-dominio, che si inventa in permanenza per meglio perseverare nel suo essere e dissolvere i contromovimenti, che minacciano di annientarla e di ritornare a uno stato di dominio. Democrazia insorgente è più efficace di democrazia insurrezionale, perché questa evoca sì un modo di agire del popolo, ma senza prendere in considerazione l’inserimento continuato nel tempo.


Siamo condannati a un’alternativa, i cui termini sarebbero: o un esercizio moderato della democrazia, o l’antidemocraticismo classico? In tal caso, saremmo posti di fronte alla scelta seguente: o la democrazia potrebbe essere accettata e valorizzata a patto di praticarla con moderazione, per esempio riducendola allo statuto di quadro politico insuperabile — oppure non ci sarebbe alcun motivo di scegliere la democrazia ed eventualmente di salvarla in caso di pericolo; perché essa funzionerebbe come un’illusione e rivelerebbe di essere una forma di dominio tanto più perniciosa, quanto più nascosta sotto le apparenze della libertà.


[…]

Prima ancora di sotto-mettere la democrazia all’esigenza della moderazione o di rifiutarla senza appello, occorre porsi una questione preliminare, e interrogarsi sulla democrazia come è in verità; scoprirne cioè le caratteristiche, che rendono inadeguate sia la soluzione della moderazione, sia quella del rifiuto, senza procedere in modo essenzialista, ma riflettendo sul destino della democrazia nella modernità.


[Da La democrazia contro lo Stato. Marx e il momento machiavelliano, Cronopio, Napoli 2008]



* Miguel Abensour insegna Filosofia politica all’Université Paris VII. Ha curato l’edizione delle Œuvres complètes di Saint-Just (Gallimard 2004), di cui ha ridisegnato la figura in una prefazione destinata a segnare una svolta interpretativa. Tra le ultime pubblicazioni ricordiamo Hannah Arendt contre la philosophie politique? (Sens&Tonka, Paris 2006). In Italia è stato pubblicato un suo saggio in Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo di E. Levìnas (Quodlibet, Macerata 2002).

Nessun commento: