martedì 3 marzo 2009

“Si riconosca l’illegittimità dei partiti retti autocraticamente dai capi, dai duci, dalle élites o dalla burocrazia dei partiti”

Carlo Esposito (1902-1964)*




Accanto ai limiti derivanti dall’oggetto della attività dei partiti e dall’ambito della loro azione (…) stanno i limiti derivanti dalla finalità dei partiti (di consentire ai singoli cittadini di concorrere alla determinazione della politica stessa).

Deriva da tale finalità, innanzi tutto, che la struttura dei partiti deve essere interiormente democratica. Per la verità in assemblea costituente fu esplicitamente rigettata la proposta di imporre ai partiti una interiore struttura democratica. Tuttavia la solenne dichiarazione che i singoli possono associarsi in partiti «per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (se ha un significato e non consta di parole in libertà) implica innanzi tutto che i partiti siano organizzati in modo che i singoli cittadini associati determinino essi l’indirizzo dei partiti, attraverso cui dovrebbero concorrere in seconda istanza a determinare l’indirizzo politico dello Stato. L’interpretazione razionale della disposizione [Cost. It., art. 49; ndr] vuole dunque che si riconosca l’illegittimità dei partiti retti autocraticarnente dai capi, dai duci, dalle élites o dalla burocrazia dei partiti, anche se in assemblea costituente si rigetta la proposta di farne esplicita dichiarazione.

Non varrebbe ricordare in contrario che, secondo note dottrine, malgrado ogni esterna organizzazione democratica, i partiti, come gli Stati, non sarebbero mai guidati dalla maggioranza dei partecipi e degli iscritti o dalle masse, ma sempre da una piccola élite o minoranza che, con salvezza delle forme democratiche, eserciterebbe la sostanza del potere. Si vogliono ritenere esatte queste dottrine? E allora, poichè il diritto potrebbe imporre solo una formale partecipazione della massa degli iscritti alla determinazione delle direttive di partito, esso anche nel caso in esame, malgrado le ulteriori velleità, avrà solo imposto ai partiti una esteriore forma democratica.

Si vuole ritenere invece in senso opposto che quando esiste una organizzazione democratica si raggiunge (nei partiti come nello Stato) una sostanziale partecipazione dei cittadini alla vita degli enti? Ma allora la regola che i cittadini debbono attraverso i partiti avere la possibilità di influire sulla vita politica dello Stato, significa che i .partiti debbono avere una struttura democratica. Le opposte concezioni coincidono insomma nel risultato che la regola costituzionale, che andiamo esaminando, impone ai partiti una organizzazione democratica. Tale coincidenza nei risultati pratici esclude che si sosti ulteriormente nell’esame della fondatezza delle premesse divergenti.

[Da I partiti nella Costituzione italiana, in La Costituzione italiana. Saggi, CEDAM, Padova (1954) 1979, pp. 234-236]


* Carlo Esposito è stato uno dei più grandi costituzionalisti italiani. Altri suoi importanti saggi si trovano, oltre che nella raccolta citata in calce all’estratto, in Diritto costituzionale vivente. Capo dello Stato ed altri saggi, a cura di Damiano Nocilla, Giuffrè, Milano 1992, con ampia Presentazione (pp. VII-LII) e Nota bio-bibliografica (pp. LIII-LXIII) del curatore. Per un primo approccio al suo pensiero a partire da un tema centrale anche in altri due grandi costituzionalisti, v. Giuseppe Ugo Rescigno, Sovranità del popolo e fonti del diritto nel pensiero di Carlo Esposito, Vezio Crisafulli e Livio Paladin, in AA. VV., La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, a cura di Lorenza Carlassare, CEDAM, Padova 2004.


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