venerdì 16 dicembre 2011

Bova non deve entrare nel Consiglio Comunale! I boriosi e gli inetti chiedano scusa ai cittadini di Limbiate!




Non è l’intelligenza che manca agli italiani. Essi ne hanno da esportare. Manca il carattere. (…) A che parlare di civiltà superiore quando questa è incarnata da uomini la cui vita è un dualismo costante fra pensiero ufficiale e pensiero interiore, fra interesse generale e interesse personale, fra l’idea universale e il «proprio individuo», fra l’ideale alato e il successo terrestre? È alla scuola del carattere che dovremo formarci noi tutti che combattiamo per la rivoluzione e per una differente civiltà.

Emilio Lussu, «Quaderni di ”Giustizia e Libertà”», dicembre 1932, p. 41




Possono ben gloriarsi, i delegati boriosi della lista del PD che, al momento della convalida dei risultati elettorali, hanno perorato con un esposto l’assegnazione abusiva al loro partito di un 15° consigliere, caso unico in tutta l’Italia. [click file] Quanto fosse sincera la loro perorazione si può giudicare dal fatto che nessuno dei consiglieri del PD, ai quali il ricorso di Bova e Carrara era stato notificato, si è costituito nel giudizio. Ora non solo si ritrovano con un seggio in meno, che è stato assegnato dal TAR al maggiore partito del centro-destra, il PDL - mentre invece doveva essere assegnato all’UDC - ma, poiché nessuno ha avuto l'intelligenza politica di costituirsi, nessuno può più fare ricorso al Consiglio di Stato per far correggere l’errore del TAR di Milano.

Come mai il TAR ha commesso questo errore, pur rigettando la tesi, sostenuta interessatamente dai delegati del PD ma fatta propria dall’ufficio centrale elettorale per il turno di ballottaggio costituito nel Comune di Limbiate, “che l’attribuzione di soli 14 seggi alla maggioranza (… ) su 24 totali (…) non rispetterebbe previsione e “ratio” dell’art. 73 comma 10 del D.lgs n. 267/2000” ? Si tratta di un errore favorito dal verbale dell’ufficio? Secondo questo verbale (cito da uno dei ricorsi) “è risultato eletto alla carica di sindaco il signor Raffaele De Luca (…) con attribuzione alle liste collegate (…) complessivamente nr. 15 seggi-consiglieri (9 al PD; 3 a Limbiate Solidale; 2 a La Sinistra; 1 a Italia dei Valori). Alle liste collegate al candidato alla carica di sindaco (…) signor Eugenio Picozzi (…) sono stati attribuiti n. 8 seggi. Infine, alle liste collegate alla carica di sindaco (…) Carlo Schieppati 1 seggio (assegnato allo stesso candidato … )”. Ma in questo verbale, pur accettando l’interessata interpretazione abusiva del citato comma 10, perorata dai delegati del PD, l’ufficio avrebbe dovuto registrare innanzitutto la classifica decrescente dei seggi attribuibili alle coalizioni o alle liste di maggioranza e di minoranza, e quindi anche che il 10° quoziente era della coalizione guidata da Schieppati, e non della coalizione di centro-destra. [click file] Se tutto ciò fosse stato riportato, sarebbe dovuto essere evidente, agli occhi dei giudici, che non al PDL doveva essere attribuito un seggio, bensì all’UDC. Nel verbale, invece, c’è un errore che ha mandato fuori strada i giudici del TAR? Chi l’avrebbe commesso? Come mai? E come mai, invece, al Ministero dell’Interno sono stati trasmessi altri dati (corretti)?

Il sindaco sbruffoneggia per ogni dove che lui avrebbe avuto il coraggio di mandar via il segretario Gennaro Cambria. Mi permetto di dubitare che De Luca alberghi nel suo petto un cuore leonino, e che abbia “mandato via” Cambria per qualche grave scorrettezza, secondo l’allusione espressa con grande sprovvedutezza anche in Consiglio Comunale. Sarà più probabile che, nonostante lo squalificante incidente (per questa volta chiamiamolo così) occorsogli con la mancata costituzione di parte civile nei processi contro la ‘Ndrangheta, si sia limitato, entro i termini di legge, a non rinnovargli l’incarico.

Dopo la sbruffonata su Cambria, De Luca aggiunge, su per giù: “Ma da quando c’è il nuovo segretario, tutto funziona bene”. Invece questa vicenda (anche questa vicenda) dimostra il contrario. De Luca continua anche ad ostentare, tra l’untuoso e il gigionesco, frasi penose del tipo: “Non avevo mai partecipato ad un consiglio comunale, ma sto imparando”. Un’altra delle sue frasi patetiche è: “Sentirò i partiti”, ed è evidente che lo fa davvero, sempre. Ma siccome certe cose non si imparano a sessant’anni, prima dell’arrivo del nuovo segretario succede che, pur avendo un dirigente, l’avvocato Micaela, assunto con il requisito di essere iscritto all’ordine degli avvocati, quella “grande persona” (come dicono alcuni) del Sig. Sindaco di Limbiate Dr. Raffaele De Luca non riesce proprio ad infischiarsene dell’arroganza dei capataces del PD, e non riesce ad ordinare, per esempio, nemmeno di presentare istanza per costituire il Comune nel giudizio sui due ricorsi elettorali. L’avvocato Micaela, da cui dipende anche l’Ufficio Elettorale del Comune, per la seconda volta è aspirante alla carica di sindaco di Senago per il PD, della cui assemblea provinciale, dicono i giornali, fa parte. Noi gli paghiamo uno stipendio di 78.000 euro/anno.

Ma anche dopo l’arrivo di un nuovo segretario (primi di settembre) succede che il sindaco, legale rappresentante pro tempore del Comune di Limbiate, nemmeno tenti di presentare, seppure in extremis, prima dell’udienza del 18 e del contraddittorio del 26 ottobre, uno straccio di istanza-memoria per sostenere non questo o quell’aspirante consigliere, bensì che la volontà popolare doveva essere rispettata attenendosi rigorosamente ai risultati delle votazioni, così come erano stati trasmessi al Ministero dell’Interno. È chiaro che il nuovo segretario è soprattutto una specie di commissario politico messo accanto ad una persona che proprio non ha nessuna delle qualità necessarie per fare il sindaco. Non si sa quale stipendio gli dovremo pagare, ma se fosse come quello di Cambria sarebbero 112.500 euro/anno.

Un giudizio altrettanto severo deve essere dato su tutti gli altri che, abilitati dalle procedure formali delle votazioni a prendere decisioni per tutta la città, non si sono minimamente preoccupati di esercitare questa delega intervenendo per salvaguardare la credibilità della forma più importante della democrazia in ambito locale: quell’istituto che si chiama Consiglio Comunale, nel quale dovrebbero essere rappresentati (= resi presenti) i cittadini e al quale accedono solo coloro che per questa rappresentazione sono stati delegati con un voto. Mi vengono in mente tutte le scemenze che circolavano in giugno e luglio sulla “nuova qualità” del Consiglio Comunale, dopo la vittoria del centrosinistra! I ricorsi sono stati notificati oltre che al Comune e alla signorina Federica Soldati, anche a tutti gli altri consiglieri della maggioranza. Ma nessuno ha fatto né detto qualcosa affinché il Comune si costituisse nel giudizio. Nemmeno dopo che io, pur senza immaginare con quanta superficialità avrebbe giudicato il TAR, avevo segnalato sia come stavano veramente le cose, sia, nei fatti, il pericolo di far entrare nel consiglio comunale un candidato non eletto. (Anzi, no: qualcuno ha detto qualcosa, ma solo per tentare di giustificare con il solito manicheismo del PD il diritto ad avere, se non proprio 24, almeno 15 consiglieri!). Il solo pensiero di contestare Ripamonti, Caturelli, Fortunati, Simonini & C. provoca tremolii e fenomeni intestinali.

La vicenda torna a disdoro anche del consigliere che esercita la funzione di presidente del consiglio comunale. È una persona che conosco da forse quarant’anni, ma non posso esimermi dal dire che ha perso un’altra occasione per dimostrare autonomia politica ed autorevolezza. Egli, come candidato sindaco della coalizione nella quale era pure candidato [...] Tino Grassi, era direttamente interessato ad intervenire nel giudizio, e come presidente del Consiglio Comunale poteva e doveva prendere carta e penna per far presente al segretario comunale (sia a quello vecchio che a quello nuovo), e al sindaco e alla maggioranza che gli hanno dato la sua carica, la necessità, per non correre il rischio di non poter garantire la piena legittimità dell’assemblea legislativa locale, di costituire il Comune nel giudizio. Il fatto è che la coalizione del cosiddetto Terzo Polo nelle recenti elezioni era quella più raccogliticcia, e stava in piedi, come i risultati hanno dimostrato, soprattutto grazie all’UDC. Il ritorno di questo “partito” nell’alveo del centro-destra dopo il primo turno ha reso ancor più evidente il fallimento del cosiddetto Terzo Polo che, improvvisato due settimane prima della presentazione delle liste e partito con l’ambizione di andare addirittura al ballottaggio, non era riuscito ad arrivare nemmeno all’11%. Ridotte obbligatoriamente le proprie ambizioni al posto di presidente del Consiglio Comunale, meglio non rischiare la ritorsione di essere relegato alla visibilità marginale delle sedute consiliari. Per acquisire autonomia politica ed autorevolezza, e soprattutto per essere veramente garante della regolarità del funzionamento del consiglio comunale, l’abito blu, l’inno di Mameli, i sermoni, gli epitaffi non bastano.

Chi potrebbe intervenire per buttare nella pattumiera questo bel pasticcio della cucina politico-istituzionale di Limbiate, dalla quale provengono i suoi ingredienti e nella quale si sono svolte le prime fasi di cottura? L’eleggibilità di Bova può essere contestata con un ricorso da qualsiasi elettore del Comune di Limbiate, nonché dal Prefetto (art. 82 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570). I tempi del giudizio naturalmente sarebbero abbastanza lunghi. Ma lunedì 19 dicembre, quando Bova dovrebbe entrare nel Consiglio Comunale, tutti i consiglieri della maggioranza avranno uno scatto di orgoglio presentando una mozione per contestarne l’eleggibilità, nonché le loro scuse ai cittadini di Limbiate per non essersi decisi prima a fare davvero i consiglieri comunali? Ne dubito fortissimamente.

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