mercoledì 3 febbraio 2010

[«Rubare» significa prosciugare, con l’aiuto delle leggi, le tasche a milioni di uomini e donne, in modo che essi non se ne accorgano]


Gaetano Salvemini (1873-1957)


«Rubare» nel linguaggio di Ernesto Rossi, come in quello di Luigi Einaudi, che, con scandalo dei ben pensanti, tirò giù dalla soffitta questo comandamento qualche tempo fa, non vuol dire mettere brutalmente le mani nella tasca del vicino per alleggerirla del portafoglio: operazione della quale il vicino subito si avvede, e si mette a strillare, e chi la tenta può finire al fresco. «Rubare» significa prosciugare, con l’aiuto delle leggi, le tasche a milioni di uomini e donne, in modo che essi non se ne accorgano. Questa operazione avviene continuamente, e per vie infinite come quelle della provvidenza, grazie ai provvedimenti che ministri, deputati e senatori approvano, spesso senza averli neppure letti, e grazie a funzionari sconosciuti, i quali — in combutta con chi è interessato al sullodato prosciugamento — inventano quei provvedimenti, aspettano che siano approvati dai ministri, deputati e senatori, e poi li applicano, facendo magari dir loro tutto il contrario di quanto si supponeva che dicessero.


[Da Settimo, non rubare, in “Critica sociale”, 1952, 8, pp. 466-468, poi in Opere, VIII, Scritti vari (1900-1957), a cura di Giorgio Agosti e Alessandro Galante Garrone, Feltrinelli, Milano 1969, pp. 372-377 (il brano riportato è a p. 373, ed è parte di un articolo su uno dei libri più belli di Ernesto Rossi (1897-1967), Settimo: non rubare, Laterza, Bari 1952)]


Ernesto Rossi. Nota biografica

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