martedì 22 febbraio 2011

Lo scioglimento anticipato delle Camere tra difesa della democrazia e "tradimenti"



Massimo Villone



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La funzione di motore istituzionale nel caso di crisi è da sempre riconosciuta dai costituzionalisti anche al capo dello stato nella forma di governo parlamentare. Ed è una funzione che non necessita di una traduzione in formule di poteri straordinari, come pure esistono in alcune Costituzioni. Possiamo considerarla una funzione intrinseca di sistema, da leggere ricostruttivamente nei poteri attribuiti. In sostanza, è nell’ambito di questa funzione che vediamo nascere nella nostra esperienza i governi “tecnici” o “del presidente”. Nella grande crisi dei primi anni ’90 fu certamente fondamentale il ruolo svolto dal presidente della Repubblica. E una lettura strettamente formale della Costituzione e delle prassi fino ad allora seguite condurrebbe alla conclusione che si trattò di un ruolo in ampia parte extra ordinem. Viviamo oggi una condizione di crisi probabilmente non meno grave. E di nuovo il capo dello stato è un punto focale della vicenda istituzionale.

Lo scioglimento anticipato è strumento primario della funzione del capo dello stato di motore istituzionale nel caso di crisi. È la risorsa estrema, che chiama il popolo sovrano a pronunciarsi per ripristinare la buona salute delle istituzioni democratiche. Un potere da utilizzare con parsimonia, ma laddove necessario senza esitazioni o ritardi. E indubbiamente nell’esercitarlo il capo dello stato dispone di un ambito di irriducibile discrezionalità. La prova di ciò viene dal modello scritto in Costituzione, che prevede il parere dei presidenti delle camere. Che senso avrebbe tale parere – per di più obbligatorio e non vincolante – se lo scioglimento si legasse solo alla certificazione della sufficienza o insufficienza dei numeri parlamentari? Basterebbe a tal fine la lettura dei verbali d’aula. Proprio la previsione di tali pareri, invece, certifica la sussistenza di situazioni politiche e istituzionali suscettibili di valutazioni diverse, e dunque idonee a sostenere scelte e decisioni parimenti diverse, che rimangono affidate al capo dello stato, destinatario dei pareri medesimi.

Va appunto notato che la disfunzionalità per il governo di centrodestra in carica non riguarda i numeri parlamentari. E un eventuale scioglimento anticipato non si giustificherebbe con riferimento a questo dato. Nemmeno le esecrabili consuetudini di vita del presidente del consiglio potrebbero di per sé sostenere un rinvio alle urne. La disfunzionalità che può offrire fondamento all’esercizio di un potere di ripristino istituzionale da parte del capo dello stato è data dallo scontro con la magistratura, che il presidente del consiglio alimenta senza cesura di continuità ed inasprendo toni già inaccettabili. Scontro che ha generato e genera una distorsione grave del processo politico-legislativo, tradotta in una legislazione ad personam volta a sottrarre il capo del governo al giudizio, o ad impedire lo scrutinio giudiziario sulle sue attività. Una distorsione certificata da molteplici sentenze della corte costituzionale (lodo Schifani, lodo Alfano, legittimo impedimento). Tale da provocare danni gravi e di portata estesa molto al di là dei casi personali. Che non trova fine, e vede pienamente impegnato il governo e la maggioranza parlamentare (lodo costituzionale, processo breve, intercettazioni). Una distorsione non impedita dalle assemblee parlamentari svuotate di ogni potere reale, dagli istituti della responsabilità politica dissolti, dalla rappresentanza parlamentare resa addomesticata ed obbediente dalla legge elettorale. Condizioni tali da creare una vera e propria emergenza democratica, determinata da un presidente del consiglio che sovverte le istituzioni a fini di autodifesa.

Qui il danno viene dalla permanenza in carica del governo, e non dalla sua caduta. Certo l’emergenza verrebbe attenuata se, con le dimissioni del presidente del consiglio, si desse vita a un nuovo governo pur con la stessa maggioranza. E in tale caso è sostenibile l’argomento che verrebbero meno le condizioni per lo scioglimento anticipato. Ma l’ipotesi non sembra al momento realistica. E dunque possiamo mai sostenere che al capo dello stato non sia consentito esercitare il proprio ruolo di custode della Costituzione e di motore del sistema nel caso di crisi, rimanendogli precluso lo scioglimento anticipato e il ricorso ad un nuovo voto popolare? Non possiamo. Lo scioglimento deve ritenersi ammesso, anche in presenza di una maggioranza numericamente sufficiente. In presenza di ferite già gravi inferte alle istituzioni, è strumento volto a prevenire ulteriori – e maggiori – danni.

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