domenica 4 aprile 2010

Sandro Archetti, discepolo vigliacco di Frate Antonino da Scasazza e consigliere comunale del PD connivente con la “mafia reale” di Limbiate



Sandro Archetti ha pubblicato un’altra prosa che sicuramente merita di essere antologizzata con il resto della sua produzione à la manière de Frate Antonino da Scasazza (e anche dell’Assessore allo Sporto). La prosa è breve, ma aurea (naturalmente, il significato di questa parola è quella dell’aggettivo usato dalle persone normali, e non quello del sostantivo inventato da Archetti, al posto di “aura”). Con questa operina [Per Romeo la Legge è carta straccia], Sandro Archetti supera non solo i suoi modelli, ma anche se stesso, poiché anche in una dozzina di righe riesce ad omettere il più labile filo logico - e anche qualsiasi organizzazione sintattica. Ma in realtà gli servivano solo alcune diecine di parole per darsi la possibilità di mettere giù quelle che egli considera derisioni della mia persona, e per insultarmi. Naturalmente, Archetti non fa esplicitamente il mio nome, né rinvia ai miei testi, né (in un blog non personale) si firma.

Un discepolo vigliacco di Frate Antonino da Scasazza

Dunque, questo discepolo vigliacco di Frate Antonino da Scasazza dice che sarei noioso: non si direbbe, dalla media giornaliera di accessi al mio blog dalle località e dai siti più disparati (ma molti fissi); in ogni caso, è ben evidente che, anche se io scrivo innanzitutto per denunciare fatti e comportamenti che insozzano la politica locale, e non per cialtroni come Archetti, fra i miei obbiettivi vi è anche quello di fare in modo che questi non si divertano affatto nel leggermi, ma, al contrario, che schiattino per la rabbia di vedersi mostrati come realmente sono: una versione solo in apparenza edulcorata dell’affarismo berlusconiano. Dice anche che sarei triste: beh, avere nella rappresentanza popolare del proprio Comune figuri come Archetti non è cosa che possa mettere allegria; tuttavia, chi mi legge vede bene con quanto gusto io sghignazzi a proposito di personaggi come Ti-che-te-tarchett-i-ball. Questi crede di ferirmi definendomi “ex-professorone di un istituto professionale”. In questo istituto, nel quale io non insegno ormai da molti anni, hanno trovato collocazione sia alcuni collettori di voti per il PD e per le sue sigle antesignane, sia alcuni dei burattinai che manovrano Archetti, i quali hanno percepito per decenni e ancora percepiscono lauti stipendi come personale politico nullafacente mantenuto dalla collettività. Per quanto riguarda l’attribuzione della qualifica spregiativa di ex-professorone: sarebbe in ogni caso una condizione assai migliore di quella di ignorantone in servizio permanente effettivo quale è Archetti, che, fra le tante cose delle quali ignora tutto, annovera anche gli istituti professionali e la loro funzione.

Archetti ignora “l’arco costituzionale”

Archetti mi attribuisce anche un’altra qualifica spregiativa: “genio incompreso dell’intero ‘arco costituzionale’ locale”. Cominciamo dall’”arco costituzionale”, che è un’altra delle cose sulle quali Ti-che-te-tarchett-i-ball si avventura a parlare, riuscendo tuttavia, per causa della sua ignoranza, dei suoi limiti intellettuali, della sua malafede, ecc. solo a sproloquiare. Forse Archetti crede che il suo cognome basti a metterlo in grado di parlarne… ma, in realtà, semplicemente egli non ha nozione né di cosa fosse “l’arco costituzionale”, né del tempo in cui l’espressione aveva un senso nel linguaggio politico, perché nel deserto del retroterra di Archetti è assente anche qualsiasi memoria storica. Oggi quell’”arco” non esiste più da molto tempo, non solo perché non esistono più i partiti che lo componevano, ma anche perché non esiste più da molto tempo quella Costituzione, della cui manomissione è responsabile principale il partito di Archetti.

Ma ad ogni modo, io non ho mai voluto diventare un politicante e fortunatamente continuo ad essere un cittadino, e già solo per questo sono esterno all’”arco” locale che pullula di traditori della Costituzione repubblicana del 1948 come Archetti e come i suoi sodali di partito. Inoltre, proprio perché sono un cittadino non provo alcuna attrazione, in politica, verso alcunché di geniale, ma seppure un’idea tanto balzana dovesse frullarmi per la testa, è sicuro che accetterei più volentieri di vivere da eremita al Polo Nord, piuttosto che sentirmi considerato “genio” da persone di infimo rango intellettuale e morale come Archetti. Infine, tutti vedono (anche Ti-che-te-tarchett-i-ball, ovviamente, e proprio per questo egli schiuma rabbia…) che semmai io cerco di usare l’arme della critica (espressione che ad Archetti, ovviamente, non fa venire in mente nulla...) per distruggere tutti i conniventi con il malaffare che, più o meno coscienti, stanno in quell’”arco” – ed è questo ciò che tanto fa male ad Archetti e ai suoi amici. Altro che sentirmi incompreso! Fare lezione ad uno moralmente corrotto come Archetti? Vade retro, Satana!

Le attività proprie del “pirla” sono certamente più nobili della connivenza con la “mafia reale” di Limbiate

Archetti conclude i suoi deliranti borborigmi dandomi del “bel pirla” ed attribuendomi un’idiozia che solo lui può pensare, ma non ho alcuna difficoltà a dichiarare che considero le pratiche proprie di ciò che in Lombardia si intende con “pirla” (alle quali ho avuto la fortuna di dedicarmi spesso), sicuramente più nobili ed appaganti della pratica dell’omertà su certi affari edilizi, alla quale sistematicamente ed esclusivamente si dedica il consigliere comunale Archetti. Costui rappresenta in modo plastico (ma a dire il vero con più di una deformazione grottesca) il personale tipico del partito del neo-liberismo (non, si badi, del neo-liberalismo) moderatamente edulcorato, cioè del PD. Ovviamente, il coordinatore del PD locale, che si sente lanciato verso una radiosa carriera politica, se già non sta bene quando, a proposito di fatti precisi, mostro quanto sia ridicola la sua pretesa di rappresentarsi come il contraltare del capo della banda di affaristi che ha in mano il Comune di Limbiate, ancor più sta male quando mi metto anche a ridicolizzarlo mostrando il livello della sua deprivazione linguistica! Ma questa è indice di deprivazione culturale generale e in particolare politica, vale a dire di impreparazione ad affrontare i problemi collettivi che dovrebbero essere la materia della politica. Se, come nel caso di Archetti, ciò si aggiunge alla mancanza di vere basi morali, non è poi così stupefacente che egli si abbassi fino al punto di presentare tranquillamente la scopiazzatura della falsificazione laida di un testo di Elsa Morante. Tuttavia, questa falsificazione (che non è nemmeno farina del suo sacco), fra le manifestazioni di disonestà delle quali abbonda l’attività di Archetti, non è certo quella principale. Egli, infatti, quando si trova di fronte ad un episodio di malaffare, regolarmente fa un po’ di chiasso con alcune frasi sconnesse e superficialissime, ma altrettanto regolarmente evita (anche per incapacità) di mettere in luce la struttura interna dei vari episodi di malaffare, nei quali molto spesso hanno un ruolo rilevante certi sostenitori (e a volte certi membri) del suo partito. Infatti, la facilità con la quale, prima durante e dopo il Consiglio Comunale, passano deliberazioni che provocano danni alla cassa pubblica di centinaia di migliaia, o addirittura di milioni, di euro, è sbalorditiva; ed altrettanto sbalorditiva è l’ignoranza generale e politico-amministrativa che Archetti (ma non solo lui, beninteso) evidenzia in queste (come in altre) occasioni.

Ma se ci limitassimo a parlare genericamente di ignoranza ed inettitudine politica, attribuiremmo ad Archetti una buona fede che non ha. Archetti, infatti, è del tutto privo dei fondamentali: vale a dire che l’analfabetismo di ritorno (che, nonostante i suoi sforzi e gli aiuti che riceve, non riesce a celare) e la preparazione culturale di livello a mala pena post-elementare, la mancanza di una qualsiasi memoria storica, l’impreparazione politica (sia sotto l’aspetto della cultura, sia sotto quello dell’esperienza), l’ignoranza del ruolo e dell’organizzazione dell’ente locale, la disposizione alla più sbracata superficialità nell’affrontare un problema qualsiasi, il disprezzo per la verità (e, anzi, la naturale disposizione a falsificare, mistificare, distorcere, alterare i fatti), la disonestà nei rapporti con le persone, la visceralità, il manicheismo, il settarismo fanatico – che contraddistinguono la sua persona e le sue prese di posizione – tutte queste sono caratteristiche che non gli consentiranno mai di acquisire quell’insieme di elementi culturali di base, di criteri di giudizio, di abilità e di esperienze che sarebbero indispensabili per svolgere il ruolo di rappresentante popolare con un minimo di onestà e di decoro. Ma la somma di queste belle qualità, che Archetti realizza nella sua persona, è perfettamente funzionale alla linea politica del PD, che egli pedissequamente segue - ed ecco messa a punto la macchina capace di trasformare in aria fritta anche i problemi reali!

Con dirigenti come Sandro Archetti il PD è condannato a non vincere mai

Sandro Archetti è giunto alla politica a quarant’anni, portando con sé l’unico credito dell’attività pro-bambini di Černobyl' ma, come ha poi rivelato, essendo privo di qualsiasi preparazione per affrontare, all’interno di un’istituzione come il Comune, i problemi della vita collettiva. (E che una simile prassi sia ormai divenuta costante nella formazione delle liste elettorali di tutti i partiti, non la rende affatto accettabile). Egli è stato eletto quando, non lo si dimentichi, un terzo dell’elettorato del suo partito, posto di fronte a un gran numero di candidati manifestamente inetti (anche quelli ormai ultrasessantenni), ha preferito votare per il centro-destra (e così, ormai da anni, preferisce continuare a votare). Lo sfascio del suo partito è stato poi evidenziato dalla perdita, già un anno dopo le elezioni, di tre (degli otto) consiglieri comunali, fra i quali il candidato a sindaco e il coordinatore del circolo locale; e dopo altri due anni, dalla perdita (in piena campagna per le elezioni provinciali!) di altri due consiglieri, uno dei quali era il successivo coordinatore del partito. Ecco, Archetti è diventato il rappresentante principale di un partito in queste condizioni, ma il suo ruolo è tale solo nei confronti dell’opinione pubblica, poiché nel PD di Limbiate i capi-cricca sono altri. In questo partito egli può dare sfogo alla sua naturale predisposizione a fare l’orang-outang della politica locale. L’orang-outang riesce ad imparare rapidamente alcuni comportamenti umani, ma non sarà mai un uomo; Archetti è qualcosa di simile nella politica locale. Sono mille gli episodi nei quali, nonostante tutto il suo chiassoso gesticolare, egli si è rivelato del tutto inetto a svolgere davvero la funzione di rappresentante popolare: o facendosi infinocchiare nelle riunioni del consiglio comunale da una banda di squallidi affaristi e da alcuni funzionari di livello non propriamente eccelso (ma ad ogni modo infinitamente più preparati di lui), o facendosi connivente con il malaffare edilizio, oppure coprendo con la sua omertà gli affaristi legati al suo partito che sottraggono denaro alla cassa pubblica. In un modo o nell’altro, in sostanza, Archetti ha collaborato e collabora attivamente – come ho più volte dimostrato e ancora dimostrerò – al governo del Comune di Limbiate come se fosse un’agenzia d’affari.

Archetti è l’ideal-tipo a livello locale dell’involuzione della rappresentanza politica

Sandro Archetti è l’epitome dell’involuzione coatta alla quale, nell’epoca della restaurazione neo-liberista della società e delle istituzioni rappresentative, è stato sottoposto l’istituto della rappresentanza politica in ambito locale. La preparazione culturale e quella politica non si possono inventare dall’oggi al domani, a quarant’anni; l’esperienza politica non si acquisisce cominciando direttamente dai banchi del consiglio comunale. Al contrario, chi riesce a farsi eleggere, ma è privo di uno straccio qualsiasi di preparazione, e inoltre è pervaso dalla frenesia scomposta che denota Archetti, anche se è animato dalle migliori intenzioni (delle quali, come è noto, è lastricata la strada che porta all’inferno) finisce per incastrarsi da solo in un meccanismo che gli preclude qualsiasi possibilità di miglioramento. Alcuni decenni addietro avveniva che nei partiti di sinistra consiglieri provenienti dalla classe operaia si mettessero a studiare per migliorare le loro capacità come consiglieri comunali, ma erano persone che, fra le altre cose, avevano già appreso l’abitudine alla fatica dello studio nel corso di una lunga esperienza politica precedente l’incarico istituzionale, nel corso della quale avevano forgiato, inoltre, una moralità fermissima e alta. Ma ormai anche questa tradizione culturale, propria dei partiti operai, è finita da decenni, e non è certo uno come Archetti che potrà farla rivivere. E quindi, anche per la mancanza di qualcuno che, almeno con l’esempio, lo richiami ad un minimo di ritegno, Archetti sarà sempre condannato ad offrire di sé lo spettacolo di volta in volta pietoso o desolante che egli ha finora offerto – uno spettacolo insopportabile, se si vuole conservare un minimo di senso al concetto e alla funzione della rappresentanza politica.

Naturalmente egli continuerà a funzionare benissimo per i burattinai che, in realtà, lo hanno manovrato finora, e che continueranno a manovrarlo; egli potrà continuare a rappresentare (ma maldestramente; e mi risulta che anche nel suo “partito” vi è qualcuno che glielo rimprovera) le esigenze affaristico-elettorali del suo PD e della casta della quale ormai fa parte con tanto compiacimento. Ma non rappresenta e non rappresenterà mai i bisogni, le esigenze di eguaglianza e di giustizia, di pulizia e di rigore morale - di vero vivere urbano - dei cittadini comuni. Fra i quali, purtroppo per lui, potrà sempre capitare che, oltre ad alcuni beoti che si pascono di frasi del tipo: “Ma Archetti attacca Romeo!”, si trovi anche chi non solo è indisponibile a farsi infinocchiare da simili superficialità, ma, avendo avuto la cura (ormai da alcuni decenni) di dotarsi di alcuni strumenti culturali (non è proibito, e nemmeno è peccato!) ed avendo accumulato alcune esperienze, se ne serve per praticare l’esercizio della critica anche su imbecilli pieni di boria come Archetti. Naturalmente, i tipi come lui non hanno contezza del significato del nome e del concetto di critica, assolutamente centrale nella democrazia – ma questa è una ragione in più per esigere che dalla politica locale siano spazzati via i cumuli di quella materia organica, utile esclusivamente come ammendante naturale per terreni poco fertili, della quale è fatto Archetti.


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