domenica 4 settembre 2011

Dai bus alla Serravalle, ecco il "Sistema Penati"




La tela di rapporti tra l'esponente Pd e l'imprenditore che ora lo accusa è tale che non si capisce chi è il ragno e chi la preda. Il punto chiave della vicenda è nella caparra da due milioni che Di Caterina trattiene da una società del gruppo Gavio.

A volte viene da dire, leggendo le carte giudiziarie: ma come si permette questo imprenditore semisconosciuto di infangare, senza fornire prove incontrovertibili, un leader regionale come Filippo Penati? La risposta, proseguendo nella lettura delle carte, arriva nitida: e chi è stato, se non lo stesso Filippo Penati, a esporsi così tanto? Chi, se non Filippo Penati da Sesto, Pd, si è messo alla mercé delle accuse e delle vanterie di uno come Piero Di Caterina, molto lesto a cambiare bandiera? "Il cuore del processo - dicono al palazzo di giustizia di Monza - sta nei favori che i due si sono fatti".

Quindi non facciamoci frastornare dal rumore di fondo di cifre in lire e in euro, fogliettini di carta spacciati per verità assolute, metri cubi e metri quadri delle aree dismesse, dal "già detto". Concentriamoci su questo fatto. Sottolineando che non riceve ancora spiegazioni sensate dall'ex presidente della provincia di Milano ed ex candidato pd alla Regione. Succede che, con la sua aria da camionista bullo, Di Caterina diventa un ex amico di Penati e va a bussare a quattrini. Rivuole indietro dei "contributi", dei "prestiti", come li chiama lui. Non viene mandato a quel paese. Anzi ottiene, in cambio di niente, un guadagno di ben 2 milioni di euro sull'unghia. Questa magia dipende da una compravendita che non si realizza. L'attenzione degli investigatori si concentra sul contratto preliminare d'acquisto di un immobile: risale al 2008, Di Caterina (venditore) riceve dalla società Codelfa (compratore) la promessa di una sostanziosa caparra. La vendita non si fa e, come vuole la prassi, nel dicembre 2010 la bella sommetta viene definitivamente incamerata dall'ex amico di Penati. Il punto cruciale è: questa generosa Codelfa, che perde senza dolersene così tanti soldi, a chi appartiene? Risposta: al gruppo di Marcellino Gavio, imprenditore già comparso in Tangentopoli, insieme con il suo manager Bruno Binasco, e spesso in connection con uomini del Pci. Il corto circuito diventa lapalissiano se si legge in controluce (viene da dire in filigrana) una storia molto famosa a Milano.

L’articolo di Piero Colaprico completo:

http://www.repubblica.it/cronaca/2011/09/04/news/sistema_penati-21201313/index.html?ref=search

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