lunedì 11 giugno 2012

Un terrificante attentato alla salute psichica e fisica della spocchiosissima ed incompetentissima vice-sindachessa Ripamonti e l'inettitudine dell'Asinistra





    La sentenza n. 147/2012 della Corte Costituzionale [per il testo integrale click Ricerca sulle pronunce] ha dichiarato che era illegittima la norma, voluta dal ministro Gelmini, che obbligava a raggruppare le scuole dalle materne alle medie inferiori in Istituti Comprensivi di almeno 1000 alunni. Il PD e la spocchiosissima, incompetentissima, inetta e sempre più imbufalita vice-sindachessa Ripamonti, e Ti-che-te-tarchett-i-ball e tutti i loro amici, possono mettersi dove si capisce anche se non lo scrivo la delibera con la quale riuscivano a fare ancor peggio della già pessima norma nazionale: abusando di una legge finanziaria berlusconiana, al tempo già impugnata da sette Regioni, volevano cedere due scuole al Comune di Solaro e creare a Limbiate, come conseguenza obbligatoria, due enormi I.C., uno di 1.300 e l’altro di 1.700 alunni! Un’aberrazione che nessun altro sarebbe riuscito a concepire.
La vice-sindachessa spocchiosissima ora lamenterà, probabilmente, che anche i giudici della Consulta esprimono una “visione di radicale disistima politica e personale” di lei Angela Ripamonti, come quella che esprime il sottoscritto, della quale si è lamentata nel corso di una delle tante violazioni del regolamento del Consiglio Comunale sulle quali non osa aprir bocca la servile Wanda Osiris presidente; l’orang-outang della politica limbiatese concionerà invece che lui resta convinto della giustezza del provvedimento comunale, ecc. ecc. Tralasciamo, però, di infierire su questa corte dei miracoli; concediamo una tregua alla vice-sindachessa, che in queste ore, poverina, dev’essere sconvolta da un travaso di bile. Vale la pena, invece, di fare qualche considerazione, alla luce del modo in cui si è conclusa la vicenda, sull’ormai evanescente Comitato Scuola Città e sulla lista elettorale dell’Asinistra, che occupa il C.S.C. e lo egemonizza con i metodi tipici della partitocrazia.
La sentenza, infatti, non è una sconfitta solo per il PD e per il gruppo di potere sovracomunale del quale fa parte la Ripamonti; essa mette in chiaro, anche, il fallimento del Comitato Scuola Città, che dopo il Consiglio Comunale aperto del 26 ottobre 2011 ha rifiutato di scontrarsi con la giunta, come l’evolversi dei fatti avrebbe imposto, non solo perché la maggioranza dei suoi membri aveva votato per il centrosinistra, ma soprattutto in ossequio al volere dell’Asinistra di Limbiate, che su alcuni membri del C.S.C. esercita, più che un’egemonia, un vero e proprio plagio. A Limbiate, oltre ad alcuni gruppetti di politicanti (o aspiranti politicanti) non c’è niente. I cittadini ogni tanto sono convocati per sorbire la brodaglia retorica di Pellegata e per scrivere pizzini. Niente di più. In questa situazione, il C.S.C. ha gettato al vento l’occasione irripetibile di avviare, finalmente anche a Limbiate, la costruzione di una forma di organizzazione dei cittadini autonoma dalle cerchie dei politicanti. Un’esperienza che, se fosse stata portata avanti con coerenza, ora vedrebbe confermato il suo valore, ed anzi sarebbe esaltata, dalla decisione della Consulta. Invece, “maestri”, eminenze grige e consiglieri comunali dell’Asinistra, che si fanno venire l’itterizia al solo pensiero di dover fare opposizione ad un partito ultraliberista come il PD, hanno consigliato e favorito l’auto-insabbiamento del C.S.C. Piuttosto che favorire lo sviluppo di una coscienza autonoma dei cittadini, consiglieri comunali e “maestri” dell’Asinistra, hanno preferito consigliare e favorire l’atrofizzazione dell’unica esperienza associativa degli ultimi decenni che dalla concretezza dei fatti era spinta a reclamare  una reale partecipazione alle decisioni politico-amministrative. (Lo riconosceva un filosofo della politica come Norberto Bobbio, liberale ma onestissimo: la partecipazione c’è solo quando si partecipa ad una decisione; tutto il resto, nella migliore delle ipotesi, è solo bric-à-brac “consultivo” o, peggio ancora, banale “ascolto”). 
   Il vuoto lasciato dal C.S.C. è oggi occupato spregiudicatamente dal centro-destra, al quale è lasciata l'organizzazione e la guida della protesta per l'aumento delle tariffe dei servizi pubblici: vale a dire che l'opposizione sociale è stata consegnata nelle mani di chi a suo tempo ha firmato i contratti per i servizi con i soggetti privati che oggi pretendono, ed ottengono, dall'inetta Ripamonti e dal centrosinistra il rispetto delle clausole-capestro che impongono di aumentare le tariffe dei servizi pubblici! Di questo risultato possono gloriarsi i vari Ongaro, Iannone, Gibertini, una maestra ottusa dalla weltanschauung casearia e altri del C.S.C., insieme ai loro mentori e referenti dell'Asinistra.
Ovviamente, ancora una volta, soprattutto gli ultimi appena nominati millantano il contrario, ma la sentenza, che giunge mentre il C.S.C. e l’Asinistra non sono riusciti, neanche lontanamente, ad avvicinarsi all’obiettivo, evidenzia anche che la vicenda degli I.C. sarebbe potuta essere, per una sinistra priva della A, un’occasione d’oro per provare a contendere al PD l’egemonia dell’elettorato del centrosinistra. Se sulla questione degli I.C. fosse stata fatta la scelta di praticare un’opposizione coraggiosa e coerente, da portare avanti, se necessario, anche fino alla rottura della coalizione del centrosinistra, come l’importanza della questione avrebbe richiesto e giustificato (una rottura che tuttavia sarebbe stata del tutto ininfluente per quanto riguarda la maggioranza necessaria per governare il Comune) - quella scelta oggi risulterebbe convalidata, in modo implicito ma evidentissimo, dalla sentenza della Corte Costituzionale. L’assetto politico della coalizione sarebbe modificato; i rapporti di forza diventerebbero più favorevoli per entrambi i consiglieri dell’Asinistra, che appartengono a partiti diversi e si muovono sempre separatamente, a parte qualche comunicato stampa congiunto.
Ma questa scelta è stata rifiutata con terrore. Il fatto è che entrambi i consiglieri dell’Asinistra partecipano alla coalizione con la preoccupazione angosciosa e corrosiva di, e solo per, ottenere un po’ di visibilità, che non sarebbero in grado di procurarsi diversamente, non avendo mai fatto nella loro vita, né conosciuto, e men che meno studiato, una qualsiasi esperienza di prassi sociale. Una preoccupazione che prevale su qualsiasi considerazione politica, della quale del resto non sono capaci, poiché della politica riescono ad immaginare solo le mistificazioni più o meno consolatorie nelle quali quotidianamente si avvoltolano, e ne disconoscono la vera natura. (Questo modo di stare nella coalizione risulta proficuo più per Traina che per l’altro, che è solo grant, gross, pussé ciula che baloss, ma crede di essere un  Atlante con il mondo sulle spalle).
Una diversa situazione dei rapporti di forza avrebbe positive conseguenze su molte altre questioni, a proposito delle quali l’Asinistra ha un mancamento al solo pensiero di fare davvero l’opposizione interna (infatti non la fa). Su questioni come le tariffe dei servizi, in particolare quella del trasporto scolastico, il fisco comunale, il PGT, l’area di Via Ravenna, il P.L. Euronics, gli OO.UU, ecc., con rapporti di forza più favorevoli si potrebbe contrastare il neo-liberismo selvaggio della vice-sindachessa, di Ti-che-te-tarchett-i-ball, dello sbrodolante neo assessore alla speculazione edilizia, dell’improbabile e desolante De Luca. Ma, lo diceva già Don Abbondio (o meglio Alessandro Manzoni, che nel 1848, tuttavia, essendo troppo vecchio per andare sulle barricate milanesi, consigliò al figlio di andarci): il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare.

***

Per chi non ha la pazienza di fare una lettura integrale della sentenza della Corte Costituzionale, ne riporto le parti essenziali dopo aver premesso, per una migliore comprensione, l’articolo 19, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011:

«Per garantire un processo di continuità didattica nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall’anno scolastico 2011-2012 la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado; gli istituti compresivi per acquisire l’autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche».

Le parti essenziali della sentenza:

[…]

Il (…) D.P.R. 20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), mirava a modificare il quadro normativo, disponendo, all’art. 1, che alla definizione «dei criteri e dei parametri per il dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei punti di erogazione del servizio scolastico, si provvede con decreto, avente natura regolamentare, del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata» tra lo Stato e le Regioni. Il medesimo art. 1, peraltro, stabilisce che, fino all’emanazione del menzionato decreto ministeriale, continui ad applicarsi la disciplina vigente, in particolare il d.P.R. n. 233 del 1998, ivi compreso il relativo art. 3 da considerarsi abrogato soltanto all’atto dell’entrata in vigore del predetto decreto ministeriale (art. 24, comma 1, lettera d, del d.P.R. n. 81 del 2009).

Non risulta (…) che tale decreto sia mai intervenuto, tanto che alcune delle Regioni ricorrenti hanno fatto presente, negli odierni ricorsi, che l’art. 19, comma 4, in esame è stato emanato quando esse avevano già provveduto all’approvazione dei piani regionali di dimensionamento in vista dell’inizio dell’anno scolastico 2011/2012, piani evidentemente formulati secondo lo schema di cui al d.P.R. n. 233 del 1998.

4.— Alla luce delle osservazioni che precedono, la questione avente ad oggetto l’art. 19, comma 4, è fondata.

La disposizione censurata mostra, anzitutto, un certo margine di ambiguità perché, mentre impone l’aggregazione delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, in istituti comprensivi, non esclude la possibilità di soppressioni pure e semplici, cioè di soppressioni che non prevedano contestuali aggregazioni. Ma, comunque, anche volendo disattendere questa possibile lettura, è indubbio che la disposizione in esame incide direttamente sulla rete scolastica e sul dimensionamento degli istituti, materia che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 200 del 2009, n. 235 del 2010 e n. 92 del 2011), non può ricondursi nell’ambito delle norme generali sull’istruzione e va, invece, ricompresa nella competenza concorrente relativa all’istruzione; la sentenza n. 200 del 2009 rileva, in proposito, che «il dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche» è «ambito che deve ritenersi di spettanza regionale». Trattandosi di ambito di competenza concorrente, allo Stato spetta soltanto di determinare i principi fondamentali, e la norma in questione non può esserne espressione.

L’art. 19, comma 4, infatti, pur richiamandosi ad una finalità di «continuità didattica nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione», in realtà non dispone sulla didattica: esso, anche con questa sua prima previsione, realizza un ridimensionamento della rete scolastica al fine di conseguire una riduzione della spesa, come, del resto, enunciato dalla rubrica dell’art. 19 («Razionalizzazione delle spese relative all’organizzazione scolastica. Concorso degli enti locali alla stabilizzazione finanziaria»), dalla rubrica del Capo III del decreto-legge («Contenimento e razionalizzazione delle spese in materia di impiego pubblico, sanità, assistenza, previdenza, organizzazione scolastica»), nonché dal titolo del medesimo («Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»). L’aggregazione negli istituti comprensivi, unitamente alla fissazione della soglia rigida di 1.000 alunni, conduce al risultato di ridurre le strutture amministrative scolastiche ed il personale operante all’interno delle medesime, con evidenti obiettivi di risparmio; ma, in tal modo, essa si risolve in un intervento di dettaglio, da parte dello Stato, in una sfera che, viceversa, deve rimanere affidata alla competenza regionale.

Il carattere di intervento di dettaglio nel dimensionamento della rete scolastica emerge, con ancor maggiore evidenza, dalla seconda parte del comma 4, relativa alla soglia minima di alunni che gli istituti comprensivi devono raggiungere per ottenere l’autonomia: in tal modo lo Stato stabilisce alcune soglie rigide le quali escludono in toto le Regioni da qualsiasi possibilità di decisione, imponendo un dato numerico preciso sul quale le Regioni non possono in alcun modo interloquire. Va ribadito ancora una volta, invece, come questa Corte ha chiarito nella sentenza n. 200 del 2009, che «la preordinazione dei criteri volti all’attuazione del dimensionamento» delle istituzioni scolastiche «ha una diretta e immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali e alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualità dell’offerta formativa e, dunque, sulla didattica».

Occorre rilevare, per completezza, che l’Avvocatura dello Stato ha invocato, nei propri scritti difensivi, oltre ai titoli di competenza esclusiva ed ai principi fondamentali in tema di competenza concorrente in materia di istruzione, anche quello di competenza concorrente relativo al coordinamento della finanza pubblica. 
 La Corte osserva, al riguardo, che, pur perseguendo la disposizione in esame – come si è detto – evidenti finalità di contenimento della spesa pubblica, resta pur sempre il fatto che anche tale titolo consente allo Stato soltanto di dettare principi fondamentali, e non anche norme di dettaglio; e, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 326 del 2010). 
 Sulla base delle precedenti considerazioni, va rilevato che la disposizione sottoposta a scrutinio non risponde alle condizioni necessarie per costituire un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.

[…]
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011;

[…]

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