giovedì 26 giugno 2008

[Da tempo il mondo possiede il sogno di una cosa]


Karl Marx


[Ad Arnold Ruge]


Kreuznach, settembre 1843.

[…]

Se non quanto al « donde », regna però tanto maggior confusione quanto al « verso dove ». Ciascuno dovrà confessare a se stesso non soltanto che si è manifestata una anarchia generale tra i riformatori, ma che egli stesso non ha una visione esatta di ciò che si deve fare. Del resto, questo appunto è il vantaggio del nuovo indirizzo, per cui non anticipiamo dogmaticamente il mondo, ma dalla critica del mondo vecchio vogliamo trovare quello nuovo. Fino ad ora, i filosofi avevano bella e pronta sui loro tavoli la soluzione di tutti gli enigmi, e lo stupido mondo essoterico non aveva che da spalancare le fauci perché gli volassero in bocca le colombe arrostite della scienza assoluta. La filosofia si è mondanizzata, e la dimostrazione più schiacciante di questo fatto è che la coscienza filosofica è coinvolta non soltanto esteriormente ma anche interiormente nel tormento della lotta. Se la costruzione del futuro e il ritrovamento di una soluzione valida per tutti i tempi non è affar nostro, tanto più appare chiaro ciò che dobbiamo compiere al presente, e cioè la critica spregiudicata di tutto ciò che esiste, spregiudicata nel senso che in generale la critica non si atterrisce di fronte ai suoi risultati e nemmeno di fronte al conflitto con le forze esistenti.

Perciò non sono d’accordo nell’innalzare una bandiera dogmatica; al contrario. Noi dobbiamo cercare di venire in aiuto ai dogmatici, affinché rendano chiari a se stessi i loro principi. Così, soprattutto il comunismo è un’astrazione dogmatica, e con ciò ho in mente non un qualsiasi immaginario e possibile comunismo, ma il comunismo realmente esistente, quale lo predicano Cabet [Étienne Cabet], Dézamy [Théodore Dézamy], Weitling [Wilhelm Weitling], ecc. Questo stesso comunismo è soltanto una manifestazione particolare del principio umanistico, contaminata dal suo opposto, l’essenza privata. Soppressione della proprietà privata e comunismo, perciò, non sono affatto identici, e non a caso il comunismo ha visto sorgere dinnanzi a sé altre dottrine socialiste, come quelle di Fourier, Proudhon, ecc., ma necessariamente, perchè esso stesso non è che una realizzazione particolare, unilaterale, del principio socialista.

E tutto il principio socialista, a sua volta, non è che uno degli aspetti, quello che concerne la realtà della vera essenza umana. Noi dobbiamo occuparci altrettanto dell’altro aspetto, dell’esistenza teorica dell’uomo, dunque far oggetto della nostra critica la religione, la scienza, ecc. Inoltre vogliamo influire sui nostri contemporanei, e specialmente sui nostri contemporanei tedeschi. Il problema è: come compiere tutto questo? Due fatti sono innegabili. In primo luogo la religione, e poi la politica sono gli oggetti che costituiscono l’interesse principale dei tedeschi d’oggi. Bisogna rifarsi ad essi quali sono realmente, e non offrir loro bell’e fatto un qualunque sistema, come ad esempio il Voyage en Icarie.

La ragione è sempre esistita, ma non sempre nella forma ragionevole. Il critico può dunque riannodarsi a qualunque forma della coscienza teorica e pratica, e dalle forme proprie della reaIà esistente sviluppar la vera realtà come loro dovere e loro scopo finale. Quanto alla vita reale, proprio lo Stato politico, anche là dove non sia ancora consapevolmente compenetrato di esigenze socialiste, contiene in tutte le sue forme moderne le esigenze della ragione Né si ferma a questo Dappertutto esso presuppone la ragione come realizzata. Ma parimenti, dappertutto esso incorre nella contraddizione tra la sua destinazione ideale e le sue premesse reali.

Da questo conflitto dello Stato politico con se stesso, si può sviluppare perciò dovunque la verità sociale. Come la religione è l’indice delle lotte teoriche degli uomini, lo Stato politico lo è delle loro lotte pratiche. Lo Stato politico esprime dunque all’interno della sua forma sub specie rei publicae tutte le lotte, i bisogni, le verità sociali. Non è dunque affatto al di sotto della hauteur des principes far oggetto della critica la questione politica più particolare, ad esempio, la differenza tra sistema degli stati e sistema rappresentativo. Infatti questa questione esprime soltanto in modo politico la differenza tra il dominio dell’uomo e il dominio della proprietà privata. Il critico dunque non soltanto può, egli deve entrare in questioni politiche (che, secondo l’opinione dei socialisti volgari sono al di sotto di ogni dignità). Illustrando i vantaggi del sistema rappresentativo su quello degli stati egli interessa praticamente un grande partito. Elevando il sistema rappresentativo dalla sua forma politica alla forma generale e dando risalto al significato vero che sta al fondo di esso, egli contemporaneamente costringe questo partito ad andare oltre se stesso, poiché la sua vittoria è insieme la sua perdita.

Nulla dunque ci impedisce di collegare la nostra critica con la critica della politica, con la partecipazione alla politica, quindi con lotte reali, e di identificarla con esse. Allora non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: qui è la verità, qui inginocchiati! Noi illustreremo al mondo nuovi princìpi, traendoli dai princìpi del mondo. Noi non gli diciamo: abbandona le tue lotte, sono sciocchezze; noi ti grideremo la vera parola d’ordine della lotta. Noi gli mostreremo soltanto perchè effettivamente combatte, poiché la coscienza è una cosa che esso deve far propria, anche se non lo vuole.

La riforma della coscienza consiste soltanto nel fatto che si fa conoscere al mondo la sua coscienza, che lo si ridesta dai sogni su se stesso, che gli si spiegano le sue proprie azioni. Tutto il nostro fine non può consistere in altra cosa, così come risulta anche dalla critica della religione di Feuerbach, se non nel portare nella forma umana autocosciente tutte le questioni religiose e politiche.

Il nostro motto dev’essere dunque: riforma della coscienza, non mediante dogmi, ma mediante l’analisi della coscienza mistica oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso sia in modo politico. Apparirà chiaro allora come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Apparirà chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, bensì di realizzare i pensieri del passato. Si mostrerà infine come l’umanità non incominci un lavoro nuovo, ma porti a compimento consapevolmente il suo vecchio lavoro.

Possiamo dunque in una parola riassumere la tendenza del nostro giornale: chiarificazione con se stesso (filosofia critica) del nostro tempo rispetto alle sue lotte ed ai suoi desideri. Questo è un lavoro per il mondo e per noi. Esso può essere soltanto opera di forze unite. Si tratta di una confessione, e non d’altro. Per farsi perdonare le sue colpe, l’umanità non ha che da spiegarle per ciò che esse sono.


[Da Un carteggio del 1843, in La questione ebraica e altri scritti giovanili, Editori Riuniti, Roma 1969, pp. 39-43 (traduzione di Raniero Panzieri). Il carteggio apparve nei Deutsch-Französische Jarbücher (Annali franco-tedeschi), la rivista pubblicata a Parigi sotto la direzione di Marx e Ruge, della quale uscì un solo fascicolo, doppio, nel febbraio del 1844. Una più recente edizione italiana degli Annali franco-tedeschi è quella pubblicata a cura di Gian Mario Bravo presso Massari Editore, Bolsena (VT) 2001].


[V. anche la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]

Nessun commento: