sabato 28 giugno 2008

[Mio povero bufalo, mio povero, amato fratello…] La compassione di una socialdemocratica rivoluzionaria polacca*


[Lettera a Sonja Liebknecht [1]]

[Breslavia, dicembre 1917 [2]]



[Sonička, passerotto mio, la vostra lettera mi ha fatto tanto piacere, volevo rispondervi subito, avevo però molto da fare, ecco perché in quel momento non mi sono concessa questo lusso. Poi ho preferito aspettare l’occasione migliore, perché è tanto più bello poter discorrere tra noi in modo del tutto spontaneo.

Leggendo le notizie dalla Russia ho pensato a voi ogni giorno e mi sono tormentata nell’immaginare come, a ogni assurdo dispaccio, l’angoscia vi abbia colta senza motivo. Quel che veniamo a sapere da laggiù sono in gran parte notizie false, e questo vale in particolare per il sud della Russia. Le agenzie di stampa (le nostre così come le loro) hanno interesse a esagerare il più possibile i disordini e gonfiano in modo tendenzioso ogni voce senza fondamento. Fino a quando la situazione non si sarà chiarita, non ha senso e non c’è motivo di agitarsi così, alla cieca, prima ancora che accadano le cose. In generale, sembra che tutto proceda colà senza spargimenti di sangue, e in ogni caso nessuna voce su presunti massacri ha mai trovato conferma. Si tratta soltanto di una dura lotta di partito, dipinta sempre, nella prospettiva offerta dai corrispondenti dei giornali borghesi, come uno scatenarsi della follia e un inferno. Quanto poi ai pogrom, tutte queste voci sono pure menzogne. In Russia il tempo dei pogrom è finito per sempre. Il potere dei lavoratori e dei socialismo è troppo grande. La rivoluzione ha ripulito l’aria dai miasmi e dall’atmosfera soffocante della reazione, il tempo di Kišinev [3] è finito per sempre. Riesco piuttosto a immaginarmi dei pogrom in... Germania. Di certo vi è l’atmosfera giusta, fatta di bassezza, vigliaccheria, reazione e ottusità. In questo senso potete dunque sentirvi del tutto tranquilla riguardo alla Russia meridionale. Dal momento che lì le cose sono sfociate in un aspro conflitto tra il governo di Pietroburgo e la Rada, la soluzione e il chiarimento dovranno arrivare molto presto, e diii si potrà avere un quadro completo della situazione. Da qualsiasi punto di vista non ha assolutamente senso né scopo che voi vi consumiate per l’angoscia e l’agitazione sulla base di notizie incerte. Siate coraggiosa, mia piccola ragazza su la testa, mantenetevi calma e salda. Tutto si volgerà al meglio, non bisogna temere sempre il peggio!

Speravo davvero di vedervi qui presto, a gennaio. Ora mi si dice che in gennaio vuole venire Mathilde Wurm. Per me sarebbe difficile rinunciare a una vostra visita nel prossimo mese, ma certo non sono io a decidere. Se voi dite che vi riesce di venire soltanto a gennaio, forse le cose potrebbero restare così, magari Mathilde Wurm potrebbe venire a febbraio. In ogni caso vorrei sapere al più presto quando vi rivedrò].


È ormai un anno che Karl è rinchiuso a Luckau [4]. Ci ho pensato spesso in questo mese e proprio un anno fa voi eravate da me a Wronke e mi regalaste quel bell’albero di Natale... Quest’anno me ne sono procurata uno qui, ma è misero, spoglio di molti rami — non c’è paragone con quello dell’anno scorso. Non so proprio come farò a metterci gli Otto lumini che ho rimediato. E il mio terzo Natale in gattabuia, ma non fatene una tragedia. Sono calma e serena come sempre. Ieri sono rimasta a lungo sveglia — adesso non riesco ad addormentarmi prima dell’una, però devo essere a letto già alle dieci —, così, al buio, i miei pensieri vagano come in sogno. Ieri dunque pensavo: quanto è strano che, senza alcun motivo particolare, io viva sempre in un’ebbrezza gioiosa. Me ne sto qui, ad esempio, in questa cella oscura, sopra un materasso duro come la pietra, intorno a me nell’edificio regna come di regola un silenzio di tomba, sembra di essere rinchiusi in un sepolcro: attraverso la finestra si disegna sul soffitto il riflesso della lanterna accesa l’intera notte davanti al carcere. Di tanto in tanto si sente, cupo, lo sferragliare di un treno che passa in lontananza; oppure, più vicina, proprio sotto la finestra, la guardia che si schiarisce la voce e per sgranchirsi le gambe fa lentamente qualche passo con i suoi stivaloni. La sabbia stride in modo così disperato, sotto quei passi, che nella notte scura e umida si sente risuonare tutta la desolazione e lo sconforto dell’esistenza. Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigionia invernale — e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità. E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non ne trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto, a saperci guardare. E anche nello stridere della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della guardia risuona un canto di vita piccolo e bello, se solo ci si presta orecchio. In quei momenti penso a voi, a quanto mi piacerebbe potervi dare la chiave di questo incanto, perché vediate sempre e in ogni situazione quel che nella vita è bello e gioioso, perché anche voi possiate sentire questa ebbrezza e camminare su un prato dai mille colori. Non intendo in alcun modo saziarvi d’ascetismo, di gioie immaginarie. Vi concedo, anzi, ogni reale piacere dei sensi. Vorrei soltanto donarvi, in aggiunta, la mia inesauribile letizia interiore, così da poter essere serena riguardo a voi, pensando che attraversate l’esistenza avvolta in un mantello tra- punto di stelle, in grado di proteggervi da quanto è meschino, dozzinale e angosciante.

Avete raccolto un bel mazzo di bacche, nere e rosaviolacee, nello Steglitzer Park? Quanto alle bacche nere potrebbe trattarsi di sambuco, i suoi frutti pendono in grappoli fitti e pesanti tra grandi foglie pennate e a ventaglio, di certo li conoscete. Oppure, più probabilmente, si tratta di ligustro: dritte pannocchiette di bacche, slanciate e graziose, e foglioline verdi lunghe e sottili. Le bacche rosaviolacee, nascoste sotto minute foglioline, potrebbero essere quelle del cotognastro; invero dovrebbero essere rosse, ma in questa tarda stagione sono già un po’ troppo mature, cominciano a guastarsi e spesso allora assumono un colore tra il rosso e il viola; le foglioline somigliano a quelle del mirto, sono pìccole, appuntite alle estremità, sulla parte superiore sono di color verde scuro e di consistenza coriacea, mentre sulla parte inferiore sono ruvide.

[Sonjuša, conoscete la commedia di Platen La forchetta fatale? Potreste mandarmela oppure portairmela? Karl una volta disse di averla letta a casa vostra. Le poesie di George sono belle, ora so da dove viene quel verso che voi spesso recitavate quando passeggiavamo nei campi: « Und unterm Rauschen ròtlichen Getreides» («E nel fniscio di spighe rosseggianti»). Se ne avrete l’occasione, potreste ricopiarmi Il nuovo Amadigi? Amo tanto quella poesia — naturalmente grazie al Lied di Hugo Wolff— e non l’ho qui con me. Continuate a leggere la Leggenda di Lessing?[5] Io ho ripreso in mano la Storia del materialismo di Lange, che mi è sempre di stimolo e di conforto. Mi piacerebbe se anche voi la leggeste un giorno].

Ahimè, Sonička, qui ho provato un dolore molto intenso. Nel cortile dove vado a passeggiare arrivano di frequente carri dell’esercito, zeppi di sacchi o vecchie giubbe e casacche militari, spesso con macchie di sangue. Vengono scaricate, distribuite nelle celle per i rattoppi e quindi di nuovo caricate e rispedite all’esercito. Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Di struttura sono più robusti e più grandi rispetto ai nostri buoi, hanno teste piatte e corna ricurve verso il basso, il cranio è più simile a quello delle nostre pecore, completamente nero e con grandi occhi mansueti. Vengono dalla Romania, sono trofei di guerra... I soldati che conducono il carro raccontano quanto sia stato difficile catturare questi animali bradi, e ancor più difficile farne bestie da soma, abituati com’erano alla libertà. Furono presi a bastonate in modo spaventoso, finché non valse anche per loro il detto «vae victis »... Soltanto a Breslavia, di questi animali, dovrebbe esservene un centinaio; avvezzi ai grassi pascoli della Romania, ora ricevono cibo misero e scarso. Vengono sfruttati senza pietà, per trainare tutti i carichi possibili, e assai presto si sfiancano.

Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo in- vestì chiedendogli se non avesse un po’ di compassione per gli animali. « Neanche per noi uomini c’è compassione » rispose quello con un sorriso maligno e battè ancora più forte... Gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo, ma uno di loro sanguinava... Soniéka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava,guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta... gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime — erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! Quanto erano diversi, laggiù, lo splendore del sole, il soffio del vento, quanto era diverso il canto armonioso degli uccelli o il melodico richiamo dei pastori! E qui... questa città ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseabondo e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili e... le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta. Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l’edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia. E tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti agli occhi...
Scrivetemi presto

Vi abbraccio, Sonička.

La vostra R.

Sonjuša, carissima, siate nonostante tutto calma e lieta. Così è la vita, e così bisogna prenderla, con coraggio, impavidi e sorridenti — nonostante tutto. Buon Natale!


* [Nel luglio 1920, di ritorno da un ciclo di letture e conferenze tenuto in diverse città europee, Karl Kraus riporta sulla « Fackel » una lettera scritta da Rosa Luxemburg nel dicembre 1917, introducendola con le seguenti parole.

L’emozione più intensa, mai prodotta prima in una sala di lettura, la suscitò la lettera di Rosa Luxemburg. La trovai sulla «Arbeiter Zeitung» [Gazzetta Operaia] la domenica di Pentecoste e decisi di portarla in viaggio con me. Nella Germania dei Socialisti Indipendenti era del tutto sconosciuta. Sia coperta di onta e disonore qualsiasi repubblica che, nonostante ogni cristianesimo dei catechismi e delle granate, non accolga nei suoi libri di scuola, tra Goethe e Claudius, questo documento di umanità e poesia, unico nel mondo di lingua tedesca, e che non insegni alle generazioni future, affinché provino orrore per gli uomini di questo tempo, che il corpo in cui era racchiusa un’anima così elevata fu massacrato a colpi di calcio di fucile. Non si danno, nell’intera letteratura tedesca del presente, lacrime simili a quelle di questa rivoluzionaria ebrea e non vi sono pause simili a quella che segue la descrizione della pelle del bufalo: « ma quella era lacerata». Nella mia lettura ho tralasciato il paragrafo di argomento letterario — in sé non meno incantevole e qui racchiuso tra parentesi — così da far risaltare in modo più coeso l’osservazione delle piante e degli animali come un abbraccio amoroso all’intera natura; ho inoltre accostato direttamente il postscriptum alla conclusione della lettera, senza la firma.

A Berlino, Dresda e Praga ho introdotto la lettura con le seguenti parole: “Dedico alla memoria della più nobile tra tutte le vittime la lettura di questa lettera, scritta da Rosa Luxemburg a Sonja Liebknecht a metà dicembre del 1917, dal carcere femminile di Breslavia”].
Note
[Ho letto per la prima volta uno stralcio di questa lettera quando avevo sedici anni, nell’antologia di lettere di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, Lettere 1915-1918, Editori Riuniti , Roma 1967 (edizione fuori commercio per gli abbonati di “Rinascita”). Lo stralcio tradotto si trova alle pp. 172-176 (da “Ahimè, Sonička, qui ho provato un dolore…” alla fine). Una successiva traduzione completa fu poi inserita in Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti , Roma 1979, pp. 248-252. Recentemente il testo completo della lettera, nuovamente tradotto, è stato pubblicato separatamente a cura di Marco Rispoli: Rosa Luxemburg, Un po’ di compassione, Adelphi Edizioni, Milano 2007, pp. 13-21. Il libretto comprende anche testi di Karl Kraus, Franz Kafka, Elias Canetti, Joseph Roth. (S.R.)]
[1] Seconda moglie di Karl Liebknecht

[2] Si dà qui fra parentesi quadre l’inizio della lettera, non pubblicato da Kraus su “Die Fackel” [La Fiaccola] [N. d. T.].

[3] Allusione al massacro di ebrei compiuto nel capoluogo della provincia imperiale russa della Bessarabia nel 1903 [Nd.T].


[4] Karl Liebknecht era stato accusato di alto tradimento e condannato a due anni e mezzo di prigione per aver organizzato una dimostrazione contro la guerra tenuta a Berlino il 1° maggio 1916.

[5] Die verhiingnisuolle Gabel [La forchetta fatale] di August von Platen è una commedia del 1826, volta a satireggiare la moda, allora imperante nella letteratura tedesca, del “dramma del destino”. Il verso di George è tratto da una poesia della raccolta Der siebente Ring [Il settimo anello], del 1907. Con Der neue Amadis [Il nuovo Amadigi] Rosa Luxemburg si riferisce a una poesia di Goethe (“Als ich noch ein Knabe war...”), musicata tra gli altri da Wolff. La Lessing-Legende (1893) è un testo di critica letteraria con cui Franz Mehring sottrasse la figura del grande illuminista tedesco alle letture di stampo nazionalistico, frequenti nella Germania guglielmina [N.d. T].

[V. anche la rubrica Questo pugno che sale - questo canto che va]

1 commento:

gk ha detto...

ogni volta che la leggo mi commuovo di più