sabato 28 giugno 2008

[Una classe con catene radicali]


Karl Marx


Non la rivoluzione radicale è per la Germania un sogno utopistico, non la universale emancipazione umana, ma piuttosto la rivoluzione parziale, la rivoluzione soltanto politica, la rivoluzione che lascia in piedi i pilastri della casa. Su che cosa si fonda una rivoluzione parziale, una rivoluzione soltanto politica. Sul fatto che una parte della società civile [1] si emancipa e perviene al dominio generale, sul fatto che una determinata classe intraprende la emancipazione generale della società partendo dalla propria situazione particolare. Questa classe libera l’intera società, soltanto a condizione che l’intera società si trovi nella situazione di questa classe, dunque, ad esempio, possieda denaro e cultura, ovvero possa a suo piacere acquistarli.

Nessuna classe della società civile può sostenere questa parte, senza provocare un momento di entusiasmo in sé e nella massa, un momento nel quale essa fraternizza e confluisce nella società in generale, si scambia con essa e viene intesa e riconosciuta come sua rappresentante universale, un momento nel quale le sue esigenze e i suoi diritti sono diritti ed esigenze della società stessa, nel quale essa è realmente la testa e il cuore della società. Soltanto nel nome dei diritti universali della società, una classe particolare può rivendicare a se stessa il dominio universale. Per espugnare questa posizione emancipatrice e quindi per sfruttare politicamente tutte le sfere della società nell’interesse della propria sfera, non sono sufficienti soltanto energia rivoluzionaria e autocoscienza spirituale Affinché la rivoluzione di un popolo e la emancipazione di una classe particolare della società civile coincidano, affinché uno stato sociale valga come lo stato dell’intera società, bisogna al contrario che tutti i difetti della società siano concentrati in un’altra classe, bisogna che un determinato stato sia lo stato dello scandalo universale, impersoni le barriere universali, bisogna che una particolare sfera sociale equivalga alla manifesta criminalit dell’intera società, cosicché la liberazione da questa sfera appaia come la universale autoliberazione. Affinché uno stato divenga lo stato della liberazione par excellence, bisogna al contrario che un altro stato diventi manifestamente lo stato dell’assoggettamento. L’importanza negativa universale della nobiltà francese e del clero francese condizionò l’importanza positiva universale della classe immediatamente confinante e contrapposta, della borghesia.

Ma ad ogni classe particolare in Germania manca non soltanto la coerenza, il rigore, il coraggio, la spregiudicatezza che potrebbero contrassegnarla come rappresentante negativa della società. Ad ogni stato mancano parimenti quell’ampiezza dell’anima che si identifica, sia pure momentaneamente, con l’anima del popolo, quella genialità che ispira la forza materiale fino al potere politico, quell’ardite rivoluzionario che scaglia in faccia all’avversario le parole di sfida: io non sono nulla e dovrei essere tutto. Il sostegno principale della morale e della onorabilità tedesca, non soltanto degli individui ma anche delle classi, è costituito piuttosto da quel modesto egoismo che fa valere e lascia far valere contro di sé la sua limitatezza. Il rapporto tra le differenti sfere della società tedesca perciò non è drammatico, ma epico. Ciascuna di esse comincia a sentire se stessa e ad accamparsi accanto alle altre con le proprie particolari esigenze non quando venga oppressa, ma quando senza suo apporto le circostanze creano una base sociale sulla quale essa da parte sua possa esercitare la sua pressione. Perfino la consapevolezza morale della classe media tedesca riposa unicamente sulla consapevolezza di essere la rappresentante universale della mediocrità filistea di tutte le altri classi. Perciò non soltanto i re tedeschi sono pervenuti sul trono mal-à-propos, ma ciascuna sfera della società civile esperimenta la propria disfatta prima di aver celebrato la propria vittoria, sviluppa le sue proprie barriere prima di aver superato le barriere contrappostele, mette in luce l’angustia del proprio essere, cosicché, anche l’occasione di sostenere un grande ruolo è sempre già passata prima di esser stata presente, cosicché ogni classe, non appena inizia la lotta contro la classe che sta sopra dì essa, è implicata nella lotta con la classe che sta sotto di essa. Perciò i principi si trovano in lotta con la monarchia, il burocrate in lotta con la nobiltà, il borghese in lotta contro tutti loro, mentre il proletario comincia già a trovarsi in lotta con il borghese. La classe media osa appena concepire dal suo punto di vista il pensiero della emancipazione, e già lo sviluppo delle condizioni sociali così come il progresso della teoria politica mostrano come questo stesso punto di vista sia antiquato o almeno problematico.

In Francia è sufficiente che uno sia qualcosa perchè voglia essere tutto. In Germania non si può essere qualcosa se non si rinuncia a tutto. In Francia l’emancipazione parziale è il fondamento di quella universale. In Germania l’emancipazione universale è conditio sine qua non di ogni emancipazione parziale. In Francia è la realtà, in Germania l’impossibilità della liberazione progressiva che deve generare la libertà totale. In Francia ogni classe del popolo è un idealista politico, e innanzi tutto sente se stessa non come classe particolare, ma come rappresentante dei bisogni sociali in generale. La funzione di emancipatore passa successivamente con movimento drammatico alle differenti classi del popolo francese, finché perviene infine alla classe che realizza la libertà sociale non più sotto il presupposto di condizioni che sono al di fuori dell’uomo, e tuttavia sono create dalla società umana, ma piuttosto organizza tutte le condizioni della esistenza umana sotto il presupposto della libertà sociale. In Germania invece, dove la vita pratica è altrettanto priva di spirito quanto poco pratica è la vita spirituale, nessuna classe della società civile h il bisogno e la capacità della emancipazione generale, finché non sia a ciò costretta dalla sua immediata situazione, dalla necessità materiale, dalle sue stesse catene.

Dov’è dunque la possibilità positiva della emancipazione tedesca?

Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile la quale non sia una classe della società civile, di i. o stato che sia la dissoluzione di tutti gli stati, di una sfera che per i suoi dolori universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitato non una ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro, la quale può fare appello non più ad un titolo storico ma al titolo umano, che non si trov in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico tedesco, di una sfera, infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere della società e con ciò stesso emancipare tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, è la perdita completa dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa soltanto attraverso il completo riacquisto dell’uomo. Questa dissoluzione della società in quanto stato particolare è il proletariato.

Il proletariato comincia per la Germania a diventar tale soltanto con l’irrompente movimento industriale, poiché non la povertà sorta naturalmente bensì la povertà prodotta artificialmente, non la massa di uomini meccanicamente oppressa dal peso della società ma la massa di uomini che proviene dalla sua acuta dissoluzione, anzi dalla dissoluzione del ceto medio, costituisce il proletariato sebbene gradualmente entrino nelle sue file, com’è naturale, anche la povertà naturale e la cristiano-germanica schiavitù della gleba.

Se il proletariato annunzia la dissoluzione dell’ordinamento tradizionale del mondo, esso esprime soltanto il segreto della sua propria esistenza, poiché esso è la dissoluzione effettiva di questo ordinamento del mondo. Se il proletariato richiede la negazione della proprietà privata, esso eleva a principio della società solo ciò che la società ha elevato a suo principio, ciò che in esso è già impersoflato senza suo apporto, in quanto risultato negativo della società. Il proletariato quindi rispetto al mondo in divenire si trova nello stesso diritto in cui il re tedesco si trova rispetto al mondo già divenuto, quando egli chiama suo popolo il popolo, così come chiama suo cavallo il cavallo. Il re dichiarando il popolo sua proprietà privata, esprime soltanto il fatto che il proprietario privato è re.

Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, cosi il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali, e una volta che il lampo del pensiero sia penetrato profondamente in questo ingenuo terreno popolare, si compirà l’emancipazione dei tedeschi a uomini.

Riassumiamo il risultato.

L’unica possibile liberazione pratica della Germania è la liberazione dal punto di vista di quella teoria che proclama l’uomo la più alta essenza dell’uomo. In Germania l’emancipazione dal Medioevo è possibile unicamente in quanto sia insieme l’emancipazione dai parziali superamenti del Medioevo. In Germania non si può spezzare nessuna specie di servitù senza spezzare ogni specie di servitù. La Germania radicale non può fare la rivoluzione senza compierla dalle radici. L’emancipazione del tedesco è l’emancipazione dell’uomo. La testa di questa emancipazione è la filosofia, il suo cuore è il proletariato. La filosofia non può realizzarsi senza l’eliminazione del proletariato, il proletariato non può eliminarsi senza la realizzazione della filosofia.

Quando siano adempite tutte le condizioni interne, il giorno della resurrezione tedesca verrà annunziato dal canto del gallo francese.


[Da Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in La questione ebraica ed altri scritti giovanili, traduzione di Raniero Panzieri, Editori Riuniti , Roma 1969, pp. 105-110]
Nota
[1] Su questa espressione si veda il post (che riporta un testo di Johannes Agnoli; n.d.r.) [“Società civile”, un’espressione nient’affatto "largamente imprecisa", ma precisamente errata]

[V. anche la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]

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