domenica 13 luglio 2008

[La coscienza politica si forma attraverso una lotta di «egemonie» politiche]


Antonio Gramsci



L’uomo attivo di massa opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto con il suo operare. Si può quasi dire che egli ha due coscienze (o una coscienza contraddittoria), una implicita nel suo operare e che realmente lo unisce a tutti i suoi collaboratori nella trasformazione pratica della realtà e una superficialmente esplicita o verbale che ha ereditato dal passato e ha accolto senza critica. Tuttavia questa concezione «verbale» non è senza conseguenze: essa riannoda a un gruppo sociale determinato, influisce nella condotta morale, nell’indirizzo della volontà, in modo più o meno energico, che può giungere fino a un punto in cui la contraddittorietà della coscienza non permette nessuna azione, nessuna decisione, nessuna scelta e produce uno stato di passività morale e politica. La comprensione critica di se stessi avviene quindi attraverso una lotta di «egemonie» politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo dell’etica, poi della politica, per giungere a una elaborazione superiore della propria concezione del reale. La coscienza di essere parte di una determinata forza egemonica (cioè la coscienza politica) è la prima fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza in cui teoria e pratica finalmente si unificano. Anche l’unità di teoria e pratica non è quindi un dato di fatto meccanico, ma un divenire storico, che ha la sua fase elementare e primitiva nel senso di «distinzione», di «distacco», di indipendenza appena istintivo, e progredisce fino al possesso reale e completo di una concezione del mondo coerente e unitaria. Ecco perché è da mettere in rilievo come lo sviluppo politico del concetto di egemonia rappresenta un grande progresso filosofico oltre che politico-pratico, perché necessariamente coinvolge e suppone una unità intellettuale e un’etica conforme a una concezione del reale che ha superato il senso comune ed è diventata, sia pure entro limiti ancora ristretti, critica.


[Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. II, pp.1385-86]


[V. la rubrica CHI PENSA ASTRATTO?]


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