domenica 20 luglio 2008

[Lo stato di paura esploso negli Usa ultimamente ha avuto inizio negli anni 50]

[Intervista di Silvia Boschero, «l’Unità», 27/06/2005]

Un personaggio come Ry Cooder è magnificamente difficile da inquadrare. Non si sa se ricordare prima il suo virtuosismo chitarristico, le sue colonne sonore, il suo lavoro di produttore e di antropologo musicale capace di far rivivere musiche dimenticate. Dopo aver fatto scoprire a noi comuni mortali un gigante come Ali Farka Tourè grazie a quel bellissimo disco (Talkin’ Timbuktu) che incrociava il corso blues del Mississipi con quello limaccioso del Niger, ha fatto fare il giro del mondo ai nonni del Buena vista social club, poi ha voluto riscoprire la musica cubana pre-castrista, infine è tornato nella sua meticcia Los Angeles. Il nuovo disco di Ry Cooder porta il nome di un quartiere, Chavez Ravine, popolato da una folta comunità messicana che negli anni 50 fu raso al suolo per lasciare spazio a un enorme stadio di baseball. Chavez Ravine è la colonna sonora di un film immaginario tra pugili, amministratori corrotti, politici, musicisti, cittadini, che narra di quei chicanos cacciati a forza.

Mister Cooder, negli anni 50 lei era un bambino.

La mia famiglia aveva molti contatti con la comunità messicana e in generale con tante persone che subivano pressanti investigazioni da parte dell'Fbi perché considerate "diverse".

Perché il quartiere di Chavez Ravine fu spazzato via?

È molto più semplice far passare un'autostrada su un quartiere povero piuttosto che su Beverly Hills. È una storia di perdita di identità, come d'altronde è successo in tutta la città diventata un enorme centro commerciale a cielo aperto. In America funziona così, dove la gente esiste solo in quanto consuma. È l'effetto della globalizzazione nella nostra vita intima. Se parli con Lalo Guerrero, che negli anni 40 era leader di una famosa band di pachuco, ti accorgi che ancora esistono persone che vivono realtà completamente diverse e riescono ad essere veramente felici. Come d'altronde Compay Segundo a Cuba: è in pace con se stesso. Questa felicità la trovo solo negli anziani, o in alcuni musicisti. Vedi, nella musica il consumismo non serve… la musica trova dentro se stessa il suo conforto.

È anche un'America che tende a far sparire le differenze?

Lo stato di paura esploso negli Usa ultimamente ha avuto inizio proprio negli anni 50: una chiusura in nome della sicurezza. Allora si iniziò sistematicamente a etichettare alcuni gruppi e a darne un'immagine negativa, nel nostro caso i messicani. Ti dicevano: sono diversi da te, non parlano come te e non ti assomigliano, dunque non sono buoni americani. Ora l'estremizzazione: un governo che tiene stretto il suo potere facendo la guerra e imtimidendo le persone in nome della sicurezza nazionale. Una bugia assoluta. Un'arma contro il suo stesso popolo.

Saul Bellow scrive della "città degli angeli": "qualcuno ha detto che a Los Angeles sono raccolti tutti gli oggetti perduti della nazione, come se l'America avesse fatto tilt e ogni cosa non avvitata bene fosse scivolata nel sud della California". Che ne pensa?

Se l'avessi letto prima l'avrei usato perché è proprio così: chiunque è arrivato qui da ogni dove, agricoltori falliti, neri in cerca di lavoro, messicani che scappavano dalla rivoluzione, così come l'industria cinematografica, quella della difesa e poi quella spaziale e quella della tecnologia… universi distanti anni luce tra loro, tutti caduti a Los Angeles. E la mia musica preferita è quella della gente che arriva in America, lascia indietro la sua cultura e poi la riscopre. È il mix delle persone che ha fatto la musica americana.

Poi però è arrivato il business.

Il denaro ha distrutto tutto: si trova il suono che vende e ci si appiattisce su quello. La musica "latina" in classifica mi fa ridere: nient’altro che pop cantato in spagnolo. Industriale come il cheeseburgher.


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