venerdì 11 luglio 2008

Come Wojtyła


Salvatore Ricciardi



Era prevedibile. Il politico del K crede di essere come un grande della storia. Come Napoleone? Ma no, dai! Quello, in fin dei conti, richiama un periodo rivoluzionario. Un altro, un personaggio che stride assai meno con la politica di destra del suo partito e le cui parole, data la sua funzione, erano dogmi: Karol Wojtyła. E allora, postosi sul capo, invece dello scolapasta con la N, un sacchetto di carta del Carrefour piegato come una mitria, il nostro ha scritto un “fatterello” analogico: Un altro salvatore. Solo che il “rapporto di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi di due fatti od oggetti, tale da far dedurre mentalmente un certo grado di somiglianza tra i fatti e gli oggetti stessi” (così definiscono l’analogia gli odiatissimi dizionari) - il rapporto, si diceva, c’è solo nella testa del politico del K, che di certi fatti ha solo la percezione prodotta dai flashes che fa passare “Blob”.

Il 16 ottobre del 1978 io avevo già compiuto 27 anni, da tredici ero militante comunista, lavoravo già da molto tempo e, con tutta la mia famiglia, attraversavo un periodo dolorosissimo. Il politico del K di anni ne aveva all’incirca 7, giocava con la palla ed era… com’è attualmente.

“Blob” non andava ancora in onda. La “demenzialità” televisiva era solo agli inizi e limitata ad alcune trasmissioni di varietà. Non era ancora debordata per ogni dove e su ogni argomento. Si diventava “uomini politici” dopo lunghe esperienze di organizzazione di lotte e di movimenti politici e sociali, e non asserragliandosi, ancora in fasce, nei consigli comunali. Per criticare la religione e la Chiesa cattolica, nella sinistra si usava ancora studiare le opere di Feuerbach e del giovane Marx, i saggi di Arturo Carlo Jemolo, di Ernesto Buonaiuti, di Ambrogio Donini e, ovviamente, le note sulla religione e sulla Chiesa dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci. Era ben diffusa, allora, la consapevolezza che la critica del cattolicesimo e dei papi non si fa con l’ortoepia, e che i lazzi dei clowns servono a poco, o addirittura possono produrre l’effetto opposto a quello voluto (v. [Quando fare entrare i clowns] ).

Quando, quella sera, la televisione diffuse le parole del nuovo Papa si verificò esattamente quello che Wojtyła voleva che si verificasse: un’immediata, enorme ondata di simpatia. Rise divertita la folla di Piazza San Pietro, risero tutti gli italiani davanti agli schermi televisivi. Il geniale coup de théâtre chiarì subito che Giovanni Paolo II aveva il talento del comunicatore di eccezionale valore. Egli sapeva benissimo che il suo italiano era pieno di strafalcioni, ma, mettendo a profitto la sua giovanile esperienza di autore teatrale ed attore, volse il difetto a suo favore. Ipotetici frizzi e lazzi furono immediatamente depotenziati. Nessuno divenne paonazzo, nessuno si mise a correggere Wojtyła, anche se lui, quasi fosse un qualsiasi turista straniero in visita a Roma, dichiarava simpaticamente di essere disponibile. E infatti quella risata di massa non era affatto derisoria, bensì piena di calore e di simpatia.

Wojtyła, che non sapeva un italiano perfetto, ovviamente sapeva benissimo che il Verbo si diffonde con il verbo, ma sapeva anche che non sempre questo è quello. E infatti, a differenza del minuscolo politico del K, non pretendeva di spacciare il verbo colloquiale, che a volte usava, per il Verbo di altri, più importanti, suoi discorsi. Quando usava il primo, spesso si concedeva momenti di umanissima colloquialità, nei quali gli poteva anche capitare di mostrare un notevole sense of humour. E quindi non si curò del fatto che lo strafalcione volutamente esibito nel 1978 fosse poi mandato in onda da "Blob" fino alla noia, per diversi lustri. Mai la sala stampa vaticana diffuse una nota di protesta. Roberto Benigni ripeté il suo “Wojtylaccio” per ogni dove senza il benché minimo biasimo ufficiale. In molte altre occasioni, invece, a proposito di fatti ed idee che davvero potevano minare la solidità dell’edificio ecclesiastico, il papa polacco impose con durezza spietata il rispetto del suo Verbo e del suo potere assoluto. Ne sanno qualcosa i teologi della liberazione (per esempio, il frate francescano Leonardo Boff ridotto allo stato laicale) e le Comunità Ecclesiali di Base dell’America Latina.

Il misero raccontino del politico del K è inventato, ma non è verosimile. Oltre all’enorme presunzione di stabilire una analogia tra sé e Wojtyła, dimostra soprattuto che da questi non ha imparato nulla. È solo l'ennesimo, deprimente esempio dell’uso che egli fa della lingua italiana e della scrittura. Un uso eticamente scorretto (ma spesso anche grammaticalmente scorretto). I testi sono lì (v. Il politico del K, La nuova battaglia di Montecassino, Teoria dell’argomentazione, Wishful thinking, Coazione a ripetere, Coazióne - coazióne a ripetere, A futura memoria), a dimostrare che non mi sono affatto servito del dizionario del De Mauro a proposito di ortografia o di ortoepia, bensì a proposito di semantica. Mi sono riferito proprio a ciò che era stato detto, e non a come era stato detto. È un procedimento retorico che evidentemente lascia tracce brucianti nell’animo costantemente perturbato del nostro politico del K.

Una critica politica del meschino ed infantile “programma” per la conquista dell'egemonia che egli ha annunciato urbi et orbi (demolire Romeo e Mestrone con il “chiacchiericcio”! Quale intuito politico! Quale conoscenza della società!) era evidentemente impensabile. Quindi ho solo riportato tali e quali le sue parole, limitandomi ad accostarle, a modo di commento, a titoli miei, a precise definizioni di significato, a una parafrasi. (Il giovanotto auspica ironia e sarcasmo… ma evidentemente solo a danno degli altri, v. i commenti a Mestrone meglio di Don Franco). Per i miei scopi era più che sufficiente, e quindi non ho usato prescrizioni di grafia o di pronuncia, delle quali lo stenterello mi accusa. Come fanno tutte le persone oneste quando scrivono, ho indicato la fonte di tutti i testi usati. Di più: ho messo i lettori in condizione di leggere immediatamente, senza fatica, il testo originale dello stenterello lì dove è pubblicato. Invece, costui, che vorrebbe ostentare un’aria di sdegnata (ma è solo ridicola) superiorità non si cura di dire chi è la persona che lui vorrebbe satireggiare con il suo “fatterello inventato” e quali sono i testi ai quali si riferisce. Del resto lui sostiene che la politica si può fare anche raccontando frottole (v. Gavroche nella Villa Mella)

Il giovanotto vorrebbe ironizzare su una mia solo “formale santità”, ma lui che dice di fare del “chiacchiericcio alla luce del sole e dicendo la verità” non ha il coraggio di dire apertamente quale sarebbe la (opposta) mia condizione sostanziale, che, sempre secondo gli odiati (da lui) dizionari, si dovrebbe definire così: (a scelta, ma lui certamente vorrebbe che i termini fossero usati in blocco) disonestà, impurità, corruzione, corruttela, depravazione, malvagità, pervertimento, vizio (tutti contrari di "santità").

Ma se anche fosse vero che mi sono messo a ”misura(re) le persone da come parlano”, si potrebbe facilmente rispondere: da quale pulpito! Uno degli sport preferiti del politico del K, infatti, è quello di infierire sulla consigliera Cappello (si veda Io non c'entro niente) per come parla. Ma in verità, nemmeno lui è del tutto a suo agio, per esempio, con i congiuntivi e con il periodo ipotetico. Ecco il primo esempio che mi capita sottomano, così potrà dire su di me qualcosa di fondato: “[Gli USA] sarebbero capaci anche di sostenere che l’assessore Mestrone nasconde armi nucleari in casa se ciò farebbe [recte: facesse; ndr] loro comodo” (v. Gesù e l'effetto serra).

Di esempi di uso disonesto della lingua e della scrittura se ne potrebbero ricordare altri. Qualche settimana fa il nostro politico del K è arrivato a dare della mignotta a una fanciulla che non sarà un esempio di virtù e di signorilità, ma certo non deve rispondere a lui dei suoi costumi sessuali. L’elegante titolo "Dopo Laricchia Lamignotta" è stato poi rapidamente corretto, probabilmente per sollecitazione (o intimazione?) di qualcuno provvisto di maggior senno, ed è stato trasformato in un meno pericoloso Dopo Laricchia Lagnocca (ma nel Web chi ci sa fare può ancora reperire la vecchia cache).

Altri esempi. Il tronfio mocciosetto sul suo blog pubblica commenti e auto-commenti in gara a chi sproloquia di più. Si possono trovare, fra gli altri: un auto-commento dal quale apprendiamo che lui non è come quel tale “Promoteo” (sic!; recte: Prometeo; ndr) che si roderebbe il fegato per invidia del potere (ed è significativo il travisamento in chiave di politica corrente del mito democratico-rivoluzionario; v. i commenti a Mestrone meglio di Don Franco); un commento di un anonimo che ha letto in chissà quale bignamino, e riporta, che Hegel “era un acceso sostenitore della guerra e della difesa della razza germanica” (v. ancora i commenti a Mestrone meglio di Don Franco); oppure quello di un altro anonimo che sostiene “se torniamo indietro con gli anni anche il sindaco Terragni ha fatto la stessa cosa, ville di qua ville di là, soldi sopra e soldi sotto…”; v. i commenti a Chiacchiericcio demolitorio). Ebbene, il politico del K pubblica senza nemmeno una riga di commento! Ora, alle giunte Terragni si possono e si devono fare molte feroci critiche, ma discendenti da un’analisi storico-politica. Nessuno, invece, può dire, e nessuna persona onesta dovrebbe pubblicare senza una sdegnata rimbeccata, che Terragni si è arricchito amministrando il Comune, PERCHÉ NON È VERO! Ecco dove porta la scelta del “chiacchiericcio demolitorio”!

Questo è lo stile del politico del K. Uno come lui, evidentemente, non prenderà mai esempio dalle lavandaie di Alagoas (v. Graciliano Ramos ).

Questo stucchevole narcisista, inanellando due o tre frasi di seguito, pronunciate con le gorge turgide e con tono ieratico-sapienziale, riesce ad incantare un certo numero di persone e a far dimenticare, soprattuto ai più giovani di lui, le sue enormi responsabilità per il degrado ambientale, urbanistico, civile, politico e culturale di Limbiate, che è stato causato già dalle scelte della giunta Fortunati. Basti per il momento ricordarne una sola, ma da Guinness dei primati (categoria: “dissennatezza urbanistica”): la cementificazione di Piazza della Repubblica, votata come un pecorone anche da lui, che allora era fac-simile di capo-gruppo del PDS. Proprio quelle scelte (e anche altre, ma vi ritornerò prossimamente) hanno spianato la strada a Romeo-Mestrone. Altro che la "fortuna", sulla quale mistifica questo bugiardo! 2/3 delle edificazioni fatte nel primo mandato di Romeo erano state decise dalla giunta Fortunati! Ecco come è stato creato il bacino elettorale, necessario per vincere, da aggiungere ai voti del centro-destra! Chi ne è responsabile non ha le carte in regola per parlare delle cementificazioni degli altri. Almeno per decenza dovrebbe starsene zitto, dedicarsi ad altro, non creare ingombro con la sua presenza. Meglio: dovrebbe auto-ostracizzarsi (v. Ostracismo) .

Il giovanotto, civettuolo, dice che vorrebbe che lo lasciassi vivere in pace con i suoi “peccati”. Vivere in pace con i propri peccati: bella pretesa, per uno che si vanta di avere rapporti con Gesù! Quanto al confronto: ma io preferirei farmi monaco piuttosto che “confrontarmi” con lui! È evidente (anche a lui) che contro di lui sto facendo altro. Io lo ignorerei molto volentieri, se egli non peccasse anche in politica. Purtroppo, le conseguenze dei suoi peccati politici hanno devastato e ancora devastano lo spirito pubblico limbiatese e la vita di chi non è “uomo delle istituzioni” (così, pomposamente, egli ama definirsi), ma semplice cittadino. In politica, però, i peccati non possono essere riservati al segreto del confessionale. Quindi, lasci da parte quest’altro wishful thinking e si rassegni: subirà ancora per molto tempo la mia critica (sia nel significato originario, poi ripreso da Kant, di “giudizio dopo esame”, sia in quello marxiano di “disvelamento”).
Per quanto riguarda la sua coda di paglia: si procuri una bagneruola, la riempia d'acqua e se la tenga vicina.



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